Con l’ingresso di Giuseppe, i personaggi sono presenti tutti e tre sulla scena ma sono separati. Ognuno ha il suo spazio e nessuno invade quello dell’altro. Sul palco tripartito si racconta una sola storia ma con i diversi punti di vista dei protagonisti.
Quello che colpisce della messinscena di Io mai niente con nessuno avevo fatto è la forza sprigionata dai corpi. Si ha come l’impressione che essi vivano più di noi, che sentano più di noi, che provino emozioni più forti e con più forza amino la vita. Così anche i sorrisi imbarazzati di Giovanni sono più grandi dei nostri. I corpi degli attori pulsano. La musica scorre loro nelle vene e ballano perché non possono star fermi. La passione vibra e detta loro le azioni. Quei corpi ci sono offerti anche seminudi, privi dei vestiti che malamente li ingabbierebbero. I seni e le gambe di Rosaria, il sedere di Giovanni e quello di Giuseppe.
Emozioni spinte all’estremo affiancano le situazioni estreme vissute da questi personaggi, tanto che in una sola pièce è possibile a Joele Anastasi trattare più di un tema sociale, come l’abbandono del genitore, l’omosessualità, la violenza sui minori, l’omofobia, la violenza sulle donne, i pregiudizi, l’AIDS. Come un bambino che si diverta a torturare i suoi giocattoli lanciandoli dal balcone, tagliandogli le mani, staccandogli la testa. Nell’entroterra siciliano, continua la maledizione degli sfortunatissimi personaggi alla Verga. Nessuno potrebbe però affermare che non possano essere realistici: come ho già scritto, sembrano più vivi di noi.
Giovanni, puro e ingenuo ragazzo di provincia, ha il suo primo rapporto sessuale con Giuseppe, dopo aver difeso (da vero eroe) la cugina Rosaria violentata in strada dai suoi amici. Scoprirà, qualche tempo dopo, di essersi ammalato di AIDS. Pur sentendosi fisicamente bene e ancora attaccato alla vita con tanta voglia di continuare a ballare, Rosaria lo considera già un morto. Dopo la violenza subita, la scoperta della malattia del cugino la fa cadere in una disperazione che non può essere che estrema. Non c’è rimedio se non la morte, insieme, in mare, tentando di scappar via, fingendo di nuotare con i delfini. Pur amando Giuseppe come nessun altro, Giovanni deve sentirsi mortificato da lui, picchiato. Giuseppe ha paura dell’AIDS e di essere contagiato dall’amante, non vuole sentire ragioni, non ascolta Giovanni che ripete che lui mai niente con nessuno aveva fatto. Piange Giuseppe nella sua disperazione estrema. Prega. Non lo farà più, dice.Si rimane scossi da quel modo di recitare e da tutta quell’energia profusa. Nessuno degli attori si risparmia, ci donano tutto. Più di un pensiero ci frulla nella testa e pur non volendo soffermarsi sulla sfortuna per la quale a questi personaggi ne capitino di tutti i colori, perché potrebbe accadere, qualche disavventura sembra essere di troppo. È un peccato che una storia così intensa possa cadere in qualche stereotipo: i due ragazzi omosessuali sono entrambi cresciuti senza un padre, quasi potesse esistere una causa. Le madri, se non sono assenti perché genitori deboli, sono causa di rovina. A parte questo che vorrei chiamare un incidente compositivo sulla famiglia patriarcale, lo spettacolo è molto bello e merita di essere visto e ascoltato e ogni premio che ha ricevuto. La compagnia è giovane ma si comporta da veterana e per tutto il tempo è padrona non solo del palco ma di ognuno di noi.
Allo spettacolo, in scena al teatro Elicantropo segue un dibattito con gli attori, l’associazione a sostegno dei malati di AIDS e con l’Arcigay. Si discute dei molteplici temi trattati ma in particolare dell’AIDS. È, quella dello spettacolo, un’occasione per tenere desta l’attenzione su una malattia che non è debellata ma di cui non si vuole più parlare. I casi di AIDS continuano a crescere non solo tra gli omosessuali e i tossicodipendenti. Le cure riducono quasi a zero la viralità ma non distruggono il virus.
Lo spettacolo è ambientato negli anni ’80, quando non esisteva ancora nessuna medicina. Questo permette di spiegare la disperazione di Rosaria all’annuncio della malattia del cugino tanto amato e permette a noi di ricevere, nel dibattito, informazioni utili sul progresso scientifico. Si parla delle tesi negazioniste, secondo le quali l’HIV non esiste e di persone che convivono con la malattia da più di trent’anni. Si parla dei media che tacciono, delle pubblicità ministeriali discriminatorie e piene di pregiudizi. Dall’Arcigay arriva una sola domanda: “Credete che possano esistere persone come Giovanni e Giuseppe?”.
La risposta che danno gli attori ma anche una signora del pubblico è stata “Si, assolutamente!”.
Io mai niente con nessuno avevo fatto
scritto e diretto da Joele Anastasi
con Joele Anastasi, Enrico Sortino, Federica Carrubba Toscano
aiuto-regia Nicole Calligaris
costumi Giulio Villaggio
video Giuseppe Cardaci, Elia Bei, Davide Maria Marucci
produzione Vuccìria Teatro
distribuzione RAZMATAZ
foto di scena Dalila Romeo
durata 1h 10'
Napoli, Teatro Elicantropo, 23 marzo 2014
in scena dal 20 al 23 marzo 2014