“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 01 March 2014 00:00

Un artefice filmico

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In un’atmosfera insolita per un convegno, scevra dal paludato pontificare ex catherda, si rendeva omaggio alla figura di Eduardo De Filippo. Occasione d’incontro e di dibattito, nello specifico, era il Sik-Sik riportato in scena nel corso della attuale stagione teatrale e che si avvale, grazie ad una registrazione audio “di contrabbando” (ovvero effettuata senza il consenso di Eduardo), di una rappresentazione eduardiana del Sik-Sik, appunto, andato in scena al Teatro San Ferdinando nel 1979 e la cui copia audio è stata gelosamente custodita da Giulio Baffi per un trentennio e più per poi essere messa a disposizione come documento unico di una messinscena che differiva dalla partitura originaria.

Dunque Sik-Sik, l’artefice magico era viatico per parlare della drammaturgia eduardiana, ma non solo: documento filmato di quello che da un copione di scena divenne pellicola per lo schermo è stato gustoso antipasto alla riproposizione teatrale del Sik-Sik riallestito da Pierpaolo Sepe, con Benedetto Casillo a vestire i panni che furono di Eduardo, spettacolo del quale in altro articolo di questo giornale quest’oggi diffusamente si ragiona.
In questo scritto si parla invece della forma filmica in cui il copione del 1929, scritto per la scena sui sedili di un treno che da Roma riportava a Napoli Eduardo, sarebbe poi diventato plot di partenza nel 1935 per un film intitolato Quei due, i cui protagonisti cui si fa cenno nel titolo sono Eduardo e Peppino. Plot di partenza formalmente tradito nella sua riproposizione per lo schermo, nella quale il dettato originale dell’atto unico partorito dalla penna di Eduardo su un sedile di treno, conosce variazioni significative di impianto e di registro, trasformando quello che era (è) un atto unico su unica scena in una pluralità di scene che si snodano fra interni (domestici, teatrali) ed esterni.
La versione cinematografica omaggia quella teatrale autocitandosi con un grande manifesto della messinscena che compare su un muro della casa che i fratelli De Filippo, nella parte di due scalcinati saltimbanchi in perenne lotta con la fame, abitano; manifesto in cui appare Eduardo nelle vesti dell’artefice magico (Sik-Sik, riferimento nominale ed evocativo alla sua fisica magrezza), cui pure darà luogo nel film, ma che è necessariamente meno centro di scena che nella forma teatrale. In più, numerose sono le variazioni di ruoli e personaggi, a partire da quello dell’assistente di Sik-Sik, nella versione teatrale una donna che l’accompagna, in Quei due il buon Peppino nel solido ruolo di sodale, compagno di sventura e soprattutto inarrivabile spalla comica.
Ed è anche in questo che sostanzialmente risiede la differenza fra quanto scritto per il teatro e quanto riportato su celluloide: la sostanza drammaturgica si condensa di temi, significati e simbologie ben più profonde di quanto invece la trasposizione sullo schermo intenda fare, sviluppandosi quest’ultima soprattutto come prodotto leggero, d’evasione, ancorché documento godibilissimo di come si rideva negli anni ’30 del secolo scorso, ma tutto sommato pellicola che definiremmo “di cassetta”, frutto di un artigianato povero (ma validissimo) di quell’epoca del cinema italiano che s’accingeva ad imboccare la strada dei telefoni bianchi e che è esplicitamente tributaria all’esperienza dell’avanspettacolo.
La regia è firmata da Gennaro Righelli, traghettatore italico dal muto al sonoro (sua la prima pellicola italiana in cui attori emettono suono di voce, La canzone dell’amore, 1930), il quale dirige con mestiere e pure con felici intuizioni quanto sceneggiato da Eduardo, confezionando un film di poveri mezzi, sì ma che si offre allo spettatore con una fruibilità comica tale da farne, pure al più smaliziato sguardo odierno, un piccolo gioiello di comicità d’altri tempi, pure nella sua forma rifinita che si conclude in un finale che ha tutta l’aria di essere stato lavorato con la fregola di giungere al più presto al cartello “Fine”.
Eppure la destrutturazione del testo teatrale e la sua ristrutturazione in formato cinematografico non solo funzionano, componendosi come una sequenza ben legata di sketch nei quali il talento comico dei De Filippo si esalta in una serie di gag, corporee e di parola, ma raggiungono vertici comici notevoli, in particolar modo nella scena in cui, per compiacere un folle omicida evaso da un manicomio, i due, affamati da giorni e giorni d'inedia, fingono di mangiare in piatti vuoti spacciati per pieni, espediente prettamente metateatrale che, trasposto su pellicola va ad incrementare il senso del comico. Come pure memorabile è l’ultima scena del film, che resta negli occhi col suo sapore agrodolce ed in cui i due fratelli De Filippo, abbattuti dalla comune delusione d’amore, cedono ben presto alle lusinghe della fame e dei supplì imbanditi sulla loro mensa.
A completare il cast, oltre ai fratelli De Filippo, Assia Noris, diva italiana del periodo, un piccolo manipolo di caratteristi (fra cui spicca Luigi Almirante – ai più noto come “Gigetto” – attore pirandelliano dell’epoca), ed un cameo anche di una giovane Anna Magnani, alle sue prime apparizioni cinematografiche.
Visione d’un piccolo gioiello, si diceva, che fa da prodromo alla visione dell’allestimento scenico, cui ci accompagna la voce di Eduardo in un’intervista registrata, in cui racconta di Sik-Sik, della sua genesi, del suo senso e del suo impatto. E fa effetto quella voce arrochita e cadenzata che racconta di sé suscitando suggestione, accompagnando da una visione alla successiva, dallo schermo alla ribalta.
Il resto è teatro.

 

 

 

 

I Giorni e le Notti: l'Arte di Eduardo. Atto secondo. Eduardo con gli attori: forme della messinscena
Retrovisioni
Quei due
regia
Gennaro Righelli
soggetto
Eduardo De Filippo
sceneggiatura
Eduardo De Filippo, Giuseppe Amato
con
Eduardo De Filippo, Peppino De Filippo, Assia Noris, Lamberto Picasso, Luigi Almirante, Maurizio D’Ancora, Franco Coop, Anna Magnani, Giuseppe Pierozzi, Ugo Ceseri, Aristide Garbini
produzione Gai
fotografia Massimo Terzano
musiche Armando Fragna
paese Italia
lingua italiano
colore bianco e nero
anno 1935
durata 75 min.
Fisciano (SA), Università degli Studi di Salerno, 26 febbraio 2014

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