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Thursday, 27 February 2014 00:22

Nulla avviene mai… improvvisamente

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Un’imponente scenografia composta da fitte colonne di foglie verdi che cadono dal soffitto in più punti, grossi cespugli sul fondo ed un cinguettio soave rappresentano la serra-giungla in cui si svolge il dramma scritto da Tennessee Williams nel 1958. Il resto della scena è diviso a metà: a sinistra vi sono delle sedie ed un tavolino basso da giardino, a destra sullo sfondo un piccolo tavolo con due sedie e l’ingresso della ricca casa di Mrs. Venable, con dei larghi gradini ricoperti qua e là di verde. Una luce bianca e chiara illumina la scena.

Questo dramma, come evoca la scenografia, è diviso in due: da una parte la menzogna, la maschera borghese della vedova Violet Venable, e dall’altra la verità spietata di sua nipote Catherine Holly. Una lettura psicanalitica potrebbe considerarlo uno scontro sulla scena tra l’Io e l’Es. Al centro, non solo sulla scena quindi, vi è un tabernacolo in cui è custodita una pianta insettivora, la Trappola di Venere, oggettivazione di una madre possessiva e castrante.
Siamo nel 1935. “Improvvisamente, l’estate scorsa…” Mrs. Venable ha perso il figlio Sebastian ucciso da un infarto mentre era in vacanza in Spagna con la cugina Catherine. È Violet ad entrare subito in scena con un bastone più scenografico che utile, vestita di bianco, il colore preferito dall’amato figlio a cui tributa la cura della serra. Tutti i personaggi sono vestiti di bianco o nelle sue sfumature dal grigio chiaro al cremisi, un bianco che nasconde il nero nascosto dietro la finzione della società americana di quegli anni con i quali lo stesso autore dovette fare i conti.
Violet entra in scena dialogando con il dottor Cukrowick, abile neurologo dell’ospedale pubblico di New Orleans. Il suo tono è fastidiosamente monocorde, leggero, quasi civettuolo, marcando ogni tanto le battute con riflessioni terribili sull’esistenza. “La vita è una ladra, ti ruba tutto”. ”Perdi il tuo unico figlio e non sei niente”. Dalla lunga conversazione tra i due che copre una buona prima parte della pièce, è chiaro il motivo della presenza del medico. La donna vuole offrire un cospicuo finanziamento all’ospedale che agevolerebbe anche il lavoro del dottore sulle sue cure all’avanguardia delle isterie, ma è ovvio che in cambio gli chiede di lobomotizzare la nipote Catherine, che, dopo aver assistito alla morte del cugino, soffre di allucinazioni, crisi di panico e di crisi isteriche incontrollabili e sconvenienti tanto da averla fatta rinchiudere in una clinica psichiatrica. Il medico, però, intuisce subito qualcosa di strano nel racconto che Violet fa del figlio e di come sia reticente nel parlare dell’evento luttuoso che ha colpito Sebastian. Incalza la donna a narrare i fatti dell’estate precedente, le chiede il perché non avesse accompagnato il figlio in vacanza come faceva abitualmente, lascia che lei racconti quel legame esclusivo con il figlio poeta (che lascia i taccuini vuoti però), dalla rara sensibilità, casto come una candida divinità a quarant’anni. La chiave di volta è nell’episodio in cui Sebastian dichiara di aver visto Dio. Alle isole Galapagos assistono alla posa delle uova delle tartarughe marine giganti. Assistono anche allo schiudersi di esse, quando poche tartarughe arrivavano in mare perché uccelli rapaci si avventavano sulle carni ancora tenere dopo averle capovolte con il becco. La madre non resiste a tale spettacolo e va via, ma Sebastian rimane sconvolto da quella che sembrerebbe una visione premonitrice. “Siamo prigionieri della creazione, tutti!” querula Violet al dottor Cukrowicz, che sembra diventare sempre più un detective che voglia ricomporre uno strano puzzle, prima di distruggere con un bisturi la vita di una ragazza.
La seconda parte della pièce è il lungo dialogo-monologo tra il dottore e Catherine, portata a casa della zia per poi essere trasferita all’ospedale per l’operazione.
Sulla scena vi sono anche la madre di Catherine, Mrs. Holly, cognata di Violet, e il fratello George. Le battute tra madre e figlio e poi con Catherine chiariscono subito quali sono i legami di dipendenza della loro famiglia da Violet. Dopo la crisi del ‘29 vivono di ciò che dà loro la zia con malcelato disprezzo ed ora madre e figlio non vogliono rinunciare all’eredità di Sebastian di centomila dollari solo perché la sorella è impazzita e non concorda con la zia sulla versione della morte del figlio. La volitiva Catherine già prima della partenza per la Spagna era schiacciata dai sensi di colpa per aver ceduto alle richieste sessuali di un giovane sconosciuto, scoperto poi sposato, con una leggerezza non consentita dalla società puritana che frequentava. Su questo peso poggerà la morte di Sebastian rimuovendo così una parte dell’estate precedente che ora la zia Violet vuole cancellare chirurgicamente con una certa fretta. Rimasti soli, il dottore e Catherine, si avviano alla conclusione del dramma. Aiutata da un’iniezione, forse il siero della verità, Catherine tratteggia il ritratto del cugino che è tutto l’opposto di quello fatto poco prima dalla madre.
Al bianco candore dell’una si oppone il nero profondo dell’altra.
Sebastian era gay, era un pederasta che comprava con il suo denaro le prestazioni di chiunque. Era un manipolatore scaltro, amorale, che aveva usato prima la madre come esca durante i viaggi per attirare gli uomini, poi la cugina, quando Violet non aveva potuto accompagnarlo per una paresi temporanea al volto. Poteva non saperlo la madre, possibile che non se ne fosse accorta? O fingeva di non sapere? I cinguettii soavi si sono trasformati in suoni di lugubri uccelli, che ritroviamo anche in qualche stridulo acufene della madre che spalanca la bocca in alcune parti del racconto ora che sono ritornati sulla scena tutti i personaggi. Nel caldo abbagliante di quell’estate in Spagna, Sebastian, dopo aver dato sfogo a tutti i suoi istinti, fugge da una folla di ragazzini affamati, macilenti e poverissimi. Alcuni di essi erano stati le sue prede, ma i ruoli si sono invertiti e in una sorta di macabro baccanale si sono avventati su di lui in un rito antropofago. Catherine, fuggita per chiedere aiuto, torna indietro ad assistere alla scena che la destabilizzerà. Vedendo l’immobilismo di Violet dopo questa rivelazione ci si chiede chi abbia rimosso, e cosa? Catherine è salva e torna ad una famiglia risanata dalle parole del fratello che cercherà la dignità in un lavoro, mentre Violet, la mamma carnivora, si rivolge al dottore chiamandolo Sebastian. Esce di scena e ci si immagina vederla entrare nella clinica psichiatrica. Gli uccelli della serra riprendono il loro cinguettare leggero.
“Improvvisamente, l’estate scorsa…” è il mantra ripetuto dai protagonisti che copre l’ipocrisia di una società castrante e antropofaga, non molto diversa da certi aspetti attuali. La scelta del regista Elio De Capitani nel rileggere alcuni testi di Tennesee Williams in occasione del centenario della sua nascita nel 1911, si spiega con l’estrema modernità di un dramma che appartiene al mondo di oggi, ancora ossessionato dai pregiudizi.

 

 

 

 

Improvvisamente, l’estate scorsa
di Tennessee Williams
traduzione di Masolino D’Amico
regia Elio De Capitani
con Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Cristian Giammarini, Corinna Augustoni, Edoardo Ribatto, Sara Borsarelli 
scene Carlo Sala
costumi Ferdinando Bruni
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
produzione Teatro Dell’Elfo
durata 1h 30'
Napoli, Teatro Bellini, 25 febbraio 2014
In scena dal 25 febbraio al 2 marzo 2013

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