“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 15 February 2014 00:00

A certi livelli il giudizio è ininfluente

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Si può morire per eccesso di semplificazione.
L’habitat di Flavia Mastrella, illuminato da una sanguigna luce rossa, è osteso in scena prima che lo spettacolo cominci. Rigorosa ed essenziale. Pesi e contrappesi. Corde, bande di stoffa, reti. Una struttura bianca, aerea e leggera. Una promessa di volteggi ed evoluzioni che si libra già nello spazio con la pulizia formale di un ideogramma. “Improvvisamente cessa il legame con il passato: corde, reti e lacci tengono in piedi la situazione. Si gioca alla vita in un ideogramma. Il tratto, tradotto in tre dimensioni, sviluppa volumi triangolari diretti verso l’alto che coesistono con linee orizzontali: ma in verticale si muove solo l’uomo”.

Nel proscenio una sorta di bilanciere. La luce trascolora in bianco per poi spegnersi. resta solo la traccia bianca della struttura. E poi entra in scena Antonio Rezza, questa volta in calzoncini e stivali da pugile rossi, il viaggio ha inizio.
L’uomo si dondola sull’altalena. La gente ride. L’uomo si dondola con aria soddisfatta. La gente ride. L’uomo continua a dondolarsi, seduto, in piedi, di sguincio, sorridente. La gente ride. L’uomo continua a dondolarsi senza dire una parola, emettendo solo suoni inarticolati. L’uomo sembra un primate appeso ad un albero. La gente ride. Finalmente l’uomo dice qualcosa, con la sua buffa e inconfondibile voce: “Io sto bene. Da fuori non sembra, ma io mi sento bene. (...) È evidente che oggi sto meglio”. Meraviglie della farmacologia. Lo psichiatra in sala ride di gusto e sonoramente.
Placare l’ansia e diventare normale. Placare l’ansia e costruire una famiglia borghese. Scendere dall’altalena e fare un figlio, da spingere sull’altalena, sempre più forte, sempre più in alto, facendo attenzione a tenersi bene alla cordicella, senza mai staccarsi dalla cordicella. “Attento, a papà”, o magari “Attendo a papà”, in senso cautelativo. Stai attento a papà. La gente ride.
Placare l’ansia e diventare normale. Trovare una donna e sposarla. “Una donna bianca vestita di rete e di illusione, rimpiange il tempo degli inizi, quando l’amore è solo affanno e poco ancora”. Due personaggi, lui/lei, un solo corpo. Due voci o meglio due toni. Ancora una volta si esplorano le ragioni dell’unione di un uomo e una donna. Così futili, così banali, così grottesche. Cosa resta? Il seggiolino dell’altalena da sbattere furiosamente sulla struttura... ”Ancora respirava ‘sto stronzo!”. La gente ride.
Politica. Candidati. L’attualità supera sempre la rappresentazione. Urla belluine. Grugniti scomposti. Si può solo scegliere tra somiglianti differenze, o differenze somiglianti se si preferisce. La gente ride, amaramente. “Il non senso civico sfugge a chi governa come bestie questo ammasso di carne alla malora. Si vota con la gola gonfia delle urla di chi ha votato prima, ci si lascia sovrastare dall’istituzione che detta convenzione e cancella dignità”.
Autoerotismo/Pedofilia. Giochi di parole sugli occhiali da solo (ché se ci fosse l’altro non sarebbe solo), che si mette da solo (ché se ci fosse l’altro glieli metterebbe lui), la crema da solo, che si spalma da solo (ché se ci fosse l’altro gliela spalmerebbe lui), e infine, ovviamente il doposolo, che si spalma da solo. Necessità di confessare l’atto solitario, Sacerdote sta sopra, ci mette una sorta di sigillo sacro. Il crocifisso penzola davanti agli occhi. Da bambino, quando Sacerdote stava sopra, penzolava lontano il crocifisso. Tanti i modi per avvicinarsi a Dio... Variazioni su un unico tema. Si ride. La gente ride.
“È bona l’acqua?”. Domanda che sembra affermazione. Domanda che si scambia per affermazione. E intanto si continua a bere. L’acqua viene porta. Si continua a chiedere. E si continua a bere. Circolo vizioso della incomunicabilità e della coazione a ripetere. “Con la gola secca e il corpo in avaria si emette un altro suono. Fine delle parole. Inizio della danza macabra”.
La fabbrica e il suo rumore. Una pedana oscillante sintetizza la fabbrica che impiega cinquecento precari. Il rimbombo ritmico dei piedi sul legno restituisce il rumore e l’alienazione. L’uomo oscilla sulla pedana, l’uomo-macchina, ossessionato dal rumore, il vocione dell’informazione.
Luciano e Luciana. Due corpi (Antonio Rezza e Ivan Bellavista) una voce declinata per due. Gigino e Gigetto. La danza dei numeri. La favola dei principi zoppi che inseguono il capriolo. Ancora variazioni sul tema. La gente ride.
E dunque? Cosa resta al termine di questa rutilante performance? “Civiltà numeriche a confronto. La sconfitta definitiva del significato. Malesseri in doppia cifra che si moltiplicano fino a trasalire: siamo a pochi salti di distanza dalla sottrazione che ci fa sparire. Oscillazioni e tentennamenti in ideogramma mobile”. Raffinata operazione intellettuale. Teatro non narrativo, non consolante, nemmeno rassicurante. “Qui non si racconta la storiella della buonanotte, qui si porge l’altro fianco”. La battaglia è già persa. Nichilismo. Autoreferenzialità. Pulizia formale, soluzioni sceniche, mestiere. Resta l’amaro, il catarro, il grido disarticolato. Resta la passività del pubblico, la coscienza di essere il pretesto per la rappresentazione. Restano le risate di chi ride per partito preso, a prescindere. Ma tanto, come afferma significativamente Antonio Rezza dopo gli applausi, “a certi livelli il giudizio è ininfluente”.

 

 

 

7-14-21-28
di
Flavia Mastrella e Antonio Rezza
con Antonio Rezza e Ivan Bellavista
(mai) scritto da Antonio Rezza
regia Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
habitat Flavia Mastrella
disegno luci Maria Pastore
consulente tecnico Mattia Vigo
organizzazione Stefania Saltarelli
produzione TSI La fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Fondazione TPE, Teatro 91, RezzaMastrella
lingua italiano
durata 1h 15’
Napoli, Teatro Bellini, 12 febbraio 2014
in scena dal 12 al 16 febbraio 2014

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