“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 03 February 2014 00:00

Il mio regno per uno scellino!

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Con una voce fuori campo che legge la lettera di ringraziamento del re di Inghilterra Giorgio VI a Lionel Logue inizia Il discorso del re che la maggior parte del pubblico ricorda per lo splendido film omonimo per la regia di Tom Hooper e con Colin Firth e Geoffrey Rush. Non tutti sanno, però, che lo sceneggiatore David Seidler ne aveva scritto una prima versione come testo teatrale. Luca Barbareschi, quindi, ne ha tradotto il testo e lo ha diretto affidandosi la parte di Lionel, l’eccentrico logopedista del Duca di York che era affetto da una balbuzie devastante e poco aristocratica, destinato in seguito, suo malgrado, a succedere al trono inglese come Giorgio VI.

Dopo l’incipit con la voce fuori campo accompagnata da proiezioni di filmati originali degli anni Trenta su una vetrata che separa il proscenio dal palco, sempre attraverso altre proiezioni assistiamo al discorso pubblico del Duca di York, Albert, a Wimbledon nel 1925, quando la sua balbuzie aveva imbarazzato sia il governo inglese che i sudditi. Scomparsa la vetrata sollevata in alto, attraverso pannelli laterali scorrevoli e tre grossi prismi posti in senso orizzontale che ruotano su loro stessi alternando il verso l’uno con l’altro, il pubblico assiste ai diversi luoghi dove la storia, realmente accaduta, è narrata.
Dopo quel discorso, la moglie di Albert, Elisabeth, di sua iniziativa cercherà un logopedista che possa aiutare il marito e, in seguito ad una ricerca assai poco convenzionale (cercando tra gli annunci del giornale), Elisabeth si troverà di fronte un personaggio insolito, insolente e sufficientemente anticonformista che detterà le regole della cura. Scommettendo uno scellino sulla riuscita della sua terapia, costringe Albert a chiamarlo Lionel e ad essere da lui chiamato Bernie, soprannome consentito solo agli stretti familiari reali. Inizia in questo modo brusco e ruvido un rapporto non facile tra i due fatto da alcuni ripensamenti del Duca che da una parte si affida al logopedista anticonvenzionale, dall’altra sente che ciò che sta facendo non è degno dell’augusto ruolo che ha degli obblighi ben precisi. L’altro personaggio, Lionel, è un australiano che con la famiglia si è recato a Londra per cercare il successo come attore teatrale, ma, avendo fallito, per mantenersi cura chi è affetto da disturbi del linguaggio mettendo in pratica una sua intuizione, che aveva trasformato in tecnica, che aveva funzionato con successo con i reduci della Prima Guerra Mondiale. Da uomo intelligente qual era, aveva intuito che la balbuzie non era un problema meccanico, ma psicologico, che aveva la sua origine in una infanzia fatta di costrizione, di mancanza di affettività, di disistima. Con grande difficoltà e facendo un gran lavoro su se stesso, durante la terapia emerge il problema di Bernie/Albert, cresciuto in una famiglia anaffettiva, chiuso in un ruolo che non gli permetteva di far emergere i suoi veri ed autentici bisogni. Così Bernie migliora, impara a gestire il suo problema mentre sullo sfondo Hitler sta preparando un’altra guerra, mentre il re, Giorgio V, muore e mentre il fratello di Albert, Edward, sale al trono. Il nuovo re creerà molti problemi al governo inglese incarnato in Churchill, alla nazione, all’Arcivescovo di Canterbury Cosmo Lang e perfino alle colonie inglesi: Edward ha una relazione con la pluridivorziata Wallis Simpson che non nasconde simpatie naziste che metterebbero in serio pericolo la secolare democrazia inglese. Intenzionato anche a sposarla, il problema esplode in tutta la sua gravità. Convinto ad abdicare, il trono passerà ad Albert che, in vista dell’incoronazione e poi del discorso alla nazione in cui informerà il Paese dell’ingresso in guerra dell’Inghilterra, si affiderà nuovamente a Lionel nonostante il fatto che nel frattempo abbia scoperto che il logopedista non possedeva alcun titolo accademico. Come è noto, il discorso del re alla BBC fu un successo e l’Inghilterra da quel momento ha molto amato il suo sovrano e la sua regina.
La storia è molto bella, è un quadro non solo biografico, ma anche un affresco storico su un periodo molto agitato e difficile della storia nazionale inglese e mondiale. Due uomini intelligenti, pratici, si incontrano e si stimano diventando ottimi amici nonostante i ruoli che avrebbero dovuto invece dividerli.
È una storia che esalta il ruolo del linguaggio che è espressione, è comunicazione innanzitutto tra un mondo interiore ricco di creatività ed un mondo esterno costruito su regole di gesso.
I personaggi comprimari sono affidati ad attori particolarmente dotati che hanno ben descritto cosa si agitava nell’animo di Churchill, dell’Arcivescovo di Canterbury, le logiche della ragion di stato, forse oggi un poco incomprensibili. Molto bravo nel ruolo del sovrano è Filippo Dini davvero protagonista sulla scena. Per inciso, ha raccolto più applausi degli altri.
Il personaggio di Lionel è incarnato da un Barbareschi leggermente cialtronesco, parecchio gigionesco e fastidiosamente molleggiante sulle ginocchia e gesticolante in modo davvero poco British (forse perché australiano?).
Nel complesso si ha l’impressione che rida del suo personaggio che, per quanto sia stato un uomo dai modi e dalla vita poco ortodossa, era pur sempre dotato di un’intelligenza non comune, perciò non meritava tale irriverenza soprattutto nelle scene che lo vedono sostenere due provini come attore, quando non lesina battute e gesti volgari recitando Shakespeare. Scelta che probabilmente il pubblico non ha condiviso non cadendo nella facile risata da cabaret. Applausi, quindi, di pura cortesia.

 



Il discorso del re
di
David Seidler
traduzione e regia Luca Barbareschi
con Luca Barbareschi, Filippi Dini, Ruggero Cara, Chiara Claudi, Roberto Mantovani, Astrid Meloni, Giancarlo Previati, Mauro Santopietro
scene Massimiliano Nocente
costumi Andrea Viotti
luci Ivraj Saleri
musiche Marco Zurzolo
produzione Casanova Multimedia
lingua italiano
durata
2h 30’
Salerno, Teatro Verdi, 30 gennaio 2014
in scena dal 30 gennaio al 2 febbraio 2014

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