“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 25 June 2013 02:00

Sul concetto d'arte

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Il monologo della brava Cristiana Minasi propone molti spunti sul tema dell’arte. La riduzione ad unum degli attori non è una volta tanto solo l’espressione di una parodia o dello spettacolo di un comico che di battuta in battuta diverte il pubblico. Il contenuto si unisce perfettamente alla forma con la quale l’attrice l’ha esposto, una conferenza.

La frase di Tadeusz Kantor che guida i ragionamenti della Minasi “È dal limite che viene fuori l’opera d’arte”, sprigiona una forza immane.
Così, immaginando il pubblico come una platea di ascoltatori intervenuti ad una giornata di studi sul tema dell’opera d’arte, ha iniziato la sua Conferenza tragicheffimera sui concetti ingannevoli dell’arte. Non sono stati trattati ovviamente concetti quali il bello e il sublime nell’opera d’arte, ma nonostante ciò il monologo ha tentato di definire che cosa essa sia: il famoso quid, ovvero l’essenza stessa della natura artistica, poiché non ci si può interrogare su cos’è l’arte senza imbattersi nell’ulteriore domanda di cosa è o chi sia l’artista. Ecco che il tema trattato diventa subito qualcosa di strettamente personale, di intimo. L’attrice ci compare dinanzi con un paio d’ali, molto usate al giorno d’oggi, e tenta disperatamente di imparare ad usarle. Quelle ali rappresentano il sogno, l’alterità, quel limite che appartiene alla natura umana e che l’artista non riesce a soffocare. Raccontando alcuni episodi dell’infanzia, la Minasi sottolinea spesso quest’aspetto di ostracismo nel quale viene gettato l’artista dalla società. Tuttavia è proprio questa condizione di duplice sofferenza a far sì che il sentimento travolga con le forme dell’arte chi la compie, infatti l’artista si ritrova ad essere, suo malgrado, ad un tempo soggetto agente dell’arte e suo passivo interlocutore. Il contrasto si acuisce quando il limite inteso come parzialità e materialità dell’essere umano viene trasceso.
Ritorna allora il sentimento di Dio o di qualcosa che va oltre la normale percezione alla quale siamo abituati. Da qui nasce quel contrasto di cui si è detto tra individuo-artista e società. Quest’ultimo può risolversi solo con la benevola accettazione da parte della società verso l’artista del suo misero stato di ‘svanito’. Eppure l’accento posto dalla Minasi sul rapporto tra Singolo e Dio fa ricordare Kierkegaard e la sua filosofia espressa nello scritto Il concetto dell’angoscia. La paura di cui la nostra attrice ci parla, quel senso di timore per ciò che si prova e la conseguente angoscia di non riuscire ad esprimerlo, si riallaccia a quel sentimento terribile di impotenza più estremo e generalizzato, poiché collegato ad ogni campo e attività dell’esistenza, raccontatoci dal filosofo danese: “Ciò che io sono è un nulla; questo procura a me e al mio genio la soddisfazione di conservare la mia esistenza al punto zero tra il freddo e il caldo, la sapienza e la stupidaggine, tra il qualche cosa e il nulla come un semplice forse” ( Stadien auf dem Lebensweg, trad. Scherempf-Pfeiderer, pp. 246-247).
Ma rispetto a Kirkegaard la nostra è più decisa ad un impegno che cerchi di affrontare la paura del limite e del conseguente sentimento di impotenza che da esso si sviluppa. L’arte si configura così come un continuo superamento dei limiti imposti alle nostre capacità naturali. Tutto ciò si inserisce nel quadro della più recente storia dell’arte, un esempio evidente è l’astrattismo che con Klee e Kandinsky si traduce in spiritualismo. Eppure alla fine della sua dissertazione la Minasi ci lascia con un senso di vaghezza. Tutto quanto detto nel monologo è sentito dall’attrice, ma sarà poi la verità? Ecco che l’eterno dilemma ritorna e ritorna perché non vi è miglior effetto scenico del dubbio, che s'insinua negli spettatori.
Da qui potranno ripartire altre commedie e drammi sull’arte o disquisizioni tragico-comiche.

 

 

Fringe E45
Conferenza tragicheffimera − Sui concetti ingannevoli dell'arte −

libera reinterpretazione di La situazione dell'artista
di Tadeusz Kantor
di e con
Cristiana Minasi
regia Domenico Cucinotta e Cristiana Minasi
disegno luci Domenico Cucinotta
aiuto regia Giuseppe Carullo
produzione Carullo-Minasi
coproduzione Fondazione Campania dei Festival, E 45 Napoli Fringe Festival
lingua italiano
durata 45'
Napoli, Museo MADRE − Sala polifunzionale, 22 giugno 2013
in scena 22 e 23 giugno 2013                      

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