“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 04 August 2016 00:00

Coralità corsara

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Questo spettacolo ha un padre nobile, questo padre nobile si chiama Francesco Rosi, e segnatamente l’imprimatur di una paternità lontana riporta a Le mani sulla città. Ma questo spettacolo – Il cielo in una stanza – a quel nobile riferimento è tributario, ma non pedissequo referente e da quel nobile riferimento s’affranca, pur non disconoscendolo, ricalibrandolo sulla base della propria poetica.

Deferente ma non genuflesso, coerente alla fonte, ma originale nella rielaborazione, Il cielo in una stanza cammina sulle gambe salde di una poetica riconoscibile – quella di Punta Corsara – che ancora una volta ben bilancia in congruo amalgama ironia e profondità, linguaggio (teatrale) e concetto (etico). È costruzione teatrale consapevole, che del teatro sfrutta i meccanismi scenici, congegnando la scena stessa come un campo d’azione in cui riprodurre il simbolismo di dinamiche ataviche, giostrate su piani spazio-temporali differenti; sicché la messinscena si apre sul finire degli anni Cinquanta, raccontando di un emigrante che torna dalla Svizzera con una pensione di invalidità per una mano perduta sul lavoro e acquista un appartamento per sé e la propria moglie in uno stabile di Via Miracolo a Milano 43 (c’è in questo toponimo anche un omaggio al cinema neorealista, che sembra voler rimarcare il retaggio di un’epoca); ebbene, questo stabile, con la sua “friabile” storia edilizia rappresenterà il fulcro diacronico dell’azione, apparendo in scena – dopo un inizio in cui lo vediamo riprodotto sotto forma di simbolo/modellino/miraggio favolistico – nella sua forma scenografica di manufatto fatiscente, pericolante e parzialmente crollato, all’interno del quale coesistono esistenze paradossali, emblematiche di un sostrato culturale che ha attraversato i decenni, il dopoguerra, il boom economico ed il suo corollario edilizio, la conflagrazione (e la conclamazione) del malaffare che ha minato dalle fondamenta la società.
Se nel film di Rosi la vicenda veniva innescata dal crollo di un palazzo e dalla conseguente speculazione, ne Il cielo in una stanza siamo dinanzi ad un palazzo crollato che continua ad essere abitato, offrendosi come avamposto di persistenza ad onta di quanto (ac)caduto, offrendosi come coacervo variegato delle contrapposizioni che animano ogni consorzio sociale, qui vissuto ed espresso nell’iperbole di una farsa, che percorre in tutta la sua ampiezza il “tafagno” che la ospita, falansterio pericolante eppure praticabile, macchina scenica sfruttata in tutta la sua ampiezza per ospitare un’umanità paradossale, fatta di indiani metropolitani, sterminatrici di piccioni e voci fuoricampo confinate in fondo ad un wc, unica finestra sonora sul mondo per chi da quel mondo è stato confinato fuori da un crollo.
La macchina teatrale di Punta Corsara inscena una teatralità giocosa, in cui la scenografia è elemento concentrico, in cui scene temporalmente distanti si aprono e si chiudono all’interno come in un sistema di scatole cinesi, congruamente giustapponendo un prima (il 1959) e un dopo (il 1996), un qui (l’edificio napoletano) e un altrove (la Svizzera), passando attraverso il tempo, raccontando della Napoli di Achille Lauro e di quella a noi più prossima.
La compagine attorale che si mette al servizio di una drammaturgia composita e omogenea – firmata da Emanuele Valenti e da Armando Pirozzi – conferma la bontà del proprio percorso artistico, concorrendo a tratteggiare una galleria di personaggi connotati a tutto tondo, ben definiti e caratterizzati, in un ensemble che si compone in un quadro corale geometricamente calibrato, i cui personaggi sono in bilico fra componente realistica e senso del grottesco e vanno a creare polarizzazioni, punti di vista, identità che rappresentano altrettante angolazioni da cui guardare alla variabile ed irrisolta realtà; non vi manca l’elemento metateatrale, con tanto di riferimento eduardiano (“È possibile che in questa città tutto debba finire in una farsa alla De Filippo?”), che pare quasi non solo voler affrancare la storia narrata dal proprio destino irresoluto, ma anche rappresentare una sorta di avanzamento poetico, come a volersi – rispettosamente – liberare dell’ingombro di una tradizione teatrale pregressa, rispetto alla quale si è intrapreso un cammino autonomo. Così come non manca la rappresentazione di un immaginario collettivo fatto di luoghi comuni (che vanno dal senso del magico e del misterico ad un certo qual fatalismo, alla cultura dell’arrangiarsi), demistificati però in una visione che a suo modo ne esorcizza le polarità riducendole al rango di farsa e rielaborando il tutto in una comica ordalia che indirizza la pièce verso un epilogo all’insegna di riti tribali che presupporrebbero sacrifici umani e sedute spiritiche: dal’immaginario collettivo al rito primitivo. Vittima designata, il giovane avvocato che dovrebbe difendere le istanze dei condomini e che si scoprirà invece essere figlio di chi aveva progettato lo stabile; pertanto, da difensore ce lo ritroveremo imputato, in un incubo che ricorda il Sogno numero due di Fabrizio De André (Storia di un impiegato).
Il cielo in una stanza è quello che sovrasta un palazzo senza più un tetto, abitato da creature senza speranza, è un cielo testimone di storie ormai venute allo scoperto, storie di ieri e storie di oggi, che nel loro farsi teatro nel lavoro di Punta Corsara si animano di linfa espressiva originale e pregnante, in una visione che, parlando al passato guarda al futuro.

 

 

 

 

 

 

Napoli Teatro Festival Italia
Il cielo in una stanza
drammaturgia Armando Pirozzi, Emanuele Valenti
regia Emanuele Valenti
con Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Vincenzo Nemolato, Valeria Pollice, Emanuele Valenti, Gianni Vastarella
scene Tiziano Fario
costumi Daniela Salernitano
disegno luci Giuseppe Di Lorenzo
collaborazione artistica Marina Dammacco
produzione Punta Corsara, Fondazione Campania dei Festival, Napoli Teatro Festival Italia, Fondazione Teatro di Napoli, Teatro Bellini
in collaborazione con 369 gradi
paese Italia
lingua italiano, napoletano
durata 1h 15’
Napoli, Teatro Bellini, 8 luglio 2016
in scena 7 e 8 luglio 2016

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