“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Giovanni Chianelli

Credo ergo bestemmio

Sono stato al festival “Ceci n’est pas un blasphème", che si conclude il 30 settembre al Palazzo delle Arti di Napoli. L’ho fatto dopo la bufera che alcuni manifesti affissi in strada, prodotti da artisti che esponevano alla mostra collegata alla rassegna, avevano causato. Bestemmie. Loghi di famosi brand venivano declinati in modo dissacrante: “Porcodio” al posto di Topolino, “Dio cane” invece di Disney, e così via.

Fallocrazia messa alla berlina

Per vedere Il Grande Fallo 2.0, spettacolo di Milena Pugliese, interpretato da Roberta Misticone e Marilia Testa, occorrono alcune cose. Addominali preparati, per resistere alle tante risate che il testo e l’interpretazione delle due attrici provocano. Stomaco forte, al contrario, per affrontare l’orrore di un mondo, immaginato come non troppo lontano, in cui un’avanguardia fallocratica ha preso il potere e “assegna” le donne agli uomini per fini ricreativi e procreativi. E poi un po’ di tempo, dato che dopo aver registrato tre giorni di tutto esaurito allo ZTN, nel weekend dal 9 all’11 novembre, tornerà il 28 e 29 dicembre all'Avanposto Numero Zero in via Sedile di Porto.

Valeria Malpeso, madonnara di corpi

Quando sono andato a intervistare Valeria Malpeso, trentenne, creativa di straordinario talento, body painter e make-up artist dello spettacolo, avevo seguito le regole di un buon giornalista: fogli, penna e appunti. E li avevo persino presi, gli appunti.
Solo che da un po’ di tempo vivo in una bolgia, tanto che alcuni amici mi stanno pressando per creare cartelline in cui raccogliere bollette, documenti, interviste prese a penna. Figuratevi se li sto a sentire. Risultato: ho perso i fogli.

Le sponde del Brenta raccontano

Ho visto una cosa eccellente in tivvù, e il fatto che non fosse scontato è così banale che vorrei non scriverlo. Però lo scrivo. Per dirvi l’impasse.
L’impasse di pensare di assistere a una puntata di un programma documentaristico, Lungo il fiume e sull’acqua, in onda la domenica mattina su Rai 3 dalle 10:15, e invece godere di un capolavoro. Letterario, musicale, architettonico. E soprattutto cinematografico.

In un docufilm il ritratto obliquo di Carmelo Bene

“So di star raccontando in maniera cretina una vita immaginaria. Ogni autobiografia è sempre immaginaria”. Dice una voce. Su questa voce si sono compiuti studi, tesi di laurea, mentre divideva appassionati e detrattori in ogni parte del mondo. È la voce di Carmelo Bene. Di nuovo viva, a quindici anni dalla scomparsa. È stata ritrovata dal regista Giuseppe Sansonna ed è diventata narrante nel docufilm Tracce di Bene, in programma alla Festa del Cinema di Roma e in onda su Sky Arte il 2 novembre.

Da Block a Giovanni, piccola storia di un avvenimento

Ci sono i grandi concerti: quelli in cui il pubblico applaude e gli artisti si esprimono bene. La serata scivola via tranquilla, soddisfacente per gli spettatori e gratificante per gli interpreti. E poi ci sono gli avvenimenti. Quelli in cui, oltre agli applausi e alla buona musica, succede qualcosa. Qualcosa difficile da spiegare con semplici parole; servirebbero, appunto, le note. Qualcosa che ha dell’irripetibile.

La notte del 10 (meno)

Un tempo, quando al San Carlo si andava ad ascoltare l’opera, c’erano i melomani. Appassionati di lirica, pronti ad osannare i pezzi di bravura e stroncare ferocemente le stecche. Cattivissimi con gli spettacoli sbagliati, erano autorizzati a fischiare e contestare platealmente gli errori di regia e interpreti.

A spasso con Flo nel posto di mezzo

Ci sono posti in cui la città cede il passo alla campagna e tutto si fa di mezzo. A metà strada. Sono i luoghi anfibi, dove proliferano visioni e passioni, matti e incontri indimenticabili. Avrete notato come sono carichi di suggestione: piazzette inattese, crocicchi, caffe d’angolo. Panchine scrostate da cui guardare un panorama inaspettato. Immaginate di farvi un giro in questi luoghi di margine: immaginate, e poi fatelo davvero. Ascoltando Il mese del rosario di Flo.

Comm' 'a na jurnata 'ra staggione. Lo Shakespeare di Iacobelli

“E nisciun po’ mettere vocca pure si pe’ sti doje fessarie c’aggio scritt’ aggio cercato n’aiut’ accussi’ tuost’ cumm’e ‘o vuost”. A parlare, in questa invocazione, è Dario Iacobelli, poeta e autore di testi per cinema, teatro e musica, da Peppe Barra a Bisca e 99 Posse, anima e immaginario inquieti cui la città ha dovuto troppo presto dire addio. La musa cui si rivolge è, addirittura, Shakespeare: da questo dialogo impossibile è uscito fuori il volume 30 sonetti di Shakespeare tradotti e traditi in napoletano da Dario Iacobelli, edito da Ad Est dell’Equatore e curato dal figlio Filippo e la moglie Paola Migliore.

Il viaggio di Capossela al termine della notte irpina

“A chi appartenete?”, il saluto rituale che in molte province della Campania e Basilicata spetta al forestiero di passaggio. L’appartenenza familiare, in quei luoghi, è il primo modo di identificare lo sconosciuto. Ma esiste un’appartenenza più estesa, legata all’identità della terra. E pensando a Vinicio Capossela è impossibile dire che non appartenga alla valle dell’Ofanto.

il Pickwick

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