“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Mario Musella

Ho baciato Mick Jagger

   quella mattina m’ero svegliato con una gran voglia di andare con una donna… desiderio tutt’altro che raro: ad ogni mio risveglio infatti sono pervaso da siffatta prurigine talvolta riuscendo addirittura a compiacerla: circostanza – quest’ultima – però invero rarissima
   quando la Fortuna si ricorda di carezzarmi le gote allora basta un paio di telefonate a delle ragazze giuste che conosco (dalla dubbia moralità) anch’esse assalite da medesima (e fors’anche più incalzante) foia mattutina per soddisfare così la mia personale fregola e la giornata è da reputarsi tutta guadagnata – indorata da nuova luce

Rachmaninov

   di Mario Musella

 

   avevo la tv via cavo da qualche tempo

   pagavo una quota fissa ogni due mesi e potevo vedere quello che mi pareva, programmi di ogni tipo e da ogni paese di questo mondo: ero finalmente giunto alle soglie della libertà

   l’importante nella vita non è tanto essere liberi ma ritenere di esserlo: c’inganniamo, ci stoniamo, continuiamo a combattere e alla fine ci crediamo pure: non ero libero ovviamente quel giorno ma mi ci ero convinto almeno per cinque sacrosanti minuti della giornata

   solo cinque minuti, oh dei sempiterni, vi chiedo… niente di più: ora, in questo momento, ridatemi quei cinque minuti e poi non vi tedierò oltre… macché: le divinità hanno problemi di udito

SMS (storia d'amore contemporaneo)

[quella sera me ne stavo per i fatti miei in macchina di mio cugino con altre tre persone sconosciute, così, un po’ per i cazzi miei, silenzioso e annoiato… quando, poco dopo la stupida mezzanotte, mi iniziò a squillare il cellulare, anzi m’iniziò a messaggiare: numero sconosciuto… era una ragazza… e tutto cominciò così…]

dolore

 

ho trovato perché non ho cercato

Siddharta

 

  

una volta soltanto ho sfidato l’infinito nella mia vita e ci sono rimasto bruciato, è stato come se la punta incandescente di un ago mi fosse stata puntata su di un testicolo: si consideri quel dolore e lo si moltiplichi per un milione di volte: siamo ancora lontani… e poi brucia da farti raccare in strada

Così sia

“pronto?”

“si?”

“ciao Laura, sono io”

“ah, ciao caro, coma va?”

“bene, grazie… e tu? che fai?”

“niente di nuovo, sto aspettando che mi venga a prendere Tony per uscire, facciamo un giro in moto stasera”

“beh…si… ti avevo chiamato proprio per questo… ascolta”

“perché, l’hai sentito forse?”

“no, non l’ho sentito…. però l’ho visto”

“ah si? e che ti ha detto?”

“non mi ha detto niente, ma…”

“e allora? ma è lì per caso”

“si… è qui però…”

“me lo passi per piacere?”

“non posso Laura…. mi dispiace”

“come ‘non puoi’? dai, forza, passamelo”

“non posso purtroppo… ascoltami Laura”

“ma che c’è? ch’è successo? s’è sentito male?”

“no”

“e dunque? che c’è?”

“…è morto”

“COSA?”

“si, è morto… scusami Laura”

“NOOOOO”

“mi dispiace, ma dovevo dirtelo; vieni qui all’obitorio per il riconoscimento, sbrigati che è solo”

175

   aspettavo il mio autobus arancione come ogni sera; piovigginava lì alla stazione e io aspettavo il mio solito autobus arancione

   giù dalle parti della stazione non fa che tirare vento che porta odore di pesce dal mare, in un continuo dirsi addio… le stazioni le hanno fatte per questo, perché tutti si dicano addio allo stesso modo e allo stesso posto, le stazioni non fanno che creare spirito di competizione fra quelli che si salutano… un giorno mi ci fermai anch’io alla stazione a vedere tutti questi “salutatori” di professione e iniziai a salutare anch’io, a casaccio, chi capitava, anche se solo a treno in corsa, la febbre del saluto s’era impossessata anche di me

Sono solo un uomo d'affari

   la città risplende di baluginanti luci al neon, e fluorescenti gas, e scarichi di auto che rendono il tramonto straordinariamente artificiale, bellissimo, innaturale, affascinante, mistico come nessun pittore o direttore della fotografia sarebbe in grado mai di pensare e realizzare

   non è affatto vero che la natura soltanto sia in grado di creare singolari spettacoli per la stupefazione umana, anche l’artifizio di industria caos smog e inquinamento produce inimmaginabili rappresentazioni visive che giammai madre natura potrebbe soltanto vagheggiare

vite parallele

   Tori era la miglior puttana della città, di sicuro la più brava ed esperta pompinara del quartiere, per questo era la più richiesta sul mercato e aveva la miglior clientela fra tutte le sue rivali 

Leggo Joyce seduto sulla tazza del cesso e non mi stupisco dinanzi alla sua epica quotidianità

Mark Spencer gli era sembrato da subito un nome appropriato e se l’era preso al volo… pensava che fare la vita e la carriera dello scrittore con uno stupido nome italiano sarebbe stato più da coglioni che altro “meglio l’america” ripeteva e s’era messo un nome americano che gli scivolasse addosso come un vestito fresco di sartoria
praticamente nessuno dei suoi amici o conoscenti di sorta sapeva il suo vero nome di battesimo forse solo la madre ma anche lei per vantarsi con le amiche dal parrucchiere o al club del taglio-&-cucito diceva con certa boria da laureata “si… io sono la mamma di Mark Spencer lo scrittore”

il Pickwick

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