“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sara Scamardella

L'abito del sarto

Cappello
Quel che è certo è che siamo negli anni ’60, i favolosi. Gli anni del boom economico, delle canzoni d’amore degli urlatori, dei primi sceneggiati in bianco e nero della Rai. Quello che pure è certo, è che chi ci sta di fronte è Pino Strabioli, quello di Colpo di scena, programma sempre della Rai. Ci sta raccontando del modo di ballare di Rita Pavone, del figlio che Mina ha avuto con Corrado Pani, del matrimonio di Sophia Loren con Carlo Ponti.

Inaspettato amore

Allo spettacolo di Benedetto Sicca − tratto dal romanzo La morte della bellezza di Giuseppe Patroni Griffi − ho vinto ad un gioco. Mentre scrivo ho messo il mio premio sulla scrivania, insieme alla pagina del libro che ci hanno regalato all’ingresso. A me è capitata la 144. È la prima volta che torno da uno spettacolo portando a casa qualcosa di fisico, di un materiale che non sia la carta. Potrei dire di quale materiale il mio premio è fatto ma voglio credere alla storia che ho sentito e tenere il segreto perché mi ci sono affezionata. Intanto torno a ripensare a quello che è successo a teatro e provo a raccontarvelo.

Le luci dei Demoni

La scena è completamente buia mentre gli spettatori si sistemano sui seggiolini e le panche della Sala Assoli. Io scendo, non mi rendo conto di quanto mi stia avvicinando alla scena. Quel buio, in contrasto con la luce che illumina i posti a sedere, crea un vuoto ma anche un muro nero. Così quando tutto è pronto e si spengono anche le luci che ci hanno permesso di entrare, gli unici punti luminosi sono i led rossi che segnalano i gradini.
Tutto comincia da quel buio.

Tell me ti amo e non ridere di me

È la notte della festa di San Giovanni decollato, la notte delle streghe e del solstizio d’estate. La festa è nel foyer del teatro Galleria Toledo da dove parte il suono delle tammurriate. È suono propiziatorio, magico, che si balla contrapponendo il maschio e la femmina. Gli Ars Nova Napoli con i loro strumenti sono sistemati sulle scale che  conducono in galleria, la gente li ascolta e tiene il tempo divertita. La festa è anche in strada, perché la musica non si ferma alla porta ed esce nel vicolo dove le persone fanno la fila per entrare a teatro o sono ferme al bar a bere qualcosa. È una sera di festa e si sente nell’aria.

Riflessi di anime

In uno specchio ci si riflette. Se è uno specchio molto grande è possibile vedere il proprio corpo per intero e anche lo spazio che lo circonda, l’ambiente intorno. Quando i grandi specchi sono tanti, i corpi si moltiplicano, lo spazio si amplifica. Che siano uno o tanti, se cambia la posizione dell’occhio che guarda, cambia l’immagine riflessa. Dal mio punto di vista, nei grandi specchi che erano sulla scena del Teatro Nuovo per l’allestimento di Diario di sé di Luca Cedrola, vedevo i corpi degli attori, gli elementi intorno ma anche il volto nel buio degli spettatori. Così Anaïs e Joaquin Nin, i protagonisti, erano circondati da occhi che li scrutavano fin dentro all’anima.

Quattro "M" e nessuna donna

Castel Sant’Elmo sembra volerci ingoiare con le sue enormi bocche. Ci sovrasta, alto fino al cielo nero e ci fa sentire sopraffatti come capita stando di fronte ad una grande montagna. La natura crea cose straordinarie, a volte lo fanno gli esseri umani. Capita poi che le creature straordinarie siano gli esseri umani stessi, qualche volta lo sono fin dal concepimento, in altri casi lo diventano grazie al loro lavoro o a quello di altri esseri umani. Butterfly Suite è una performance dedicata a due creature straordinarie: Marilyn Monroe e Mia Martini.

Ma quanti siamo?

Non ho fatto tanto caso a quante persone siano presenti nella bella sala del Palazzo de' Liguoro, dove è andato in scena Ultimo primo giorno di re Ferdinando VIII e la fragilità della luna di cartapesta. Se pure li contassi uno ad uno, il mio numero risulterebbe una bugia. In ognuno dei corpi presenti c’è una folla che guarda. Sono sistemati, composti e controllati, in ogni persona poggiata su una sedia. Osservano gli attori in scena. Sono due ma ho appena detto una bugia e i personaggi non sono in grado di contarli. Gli attori sono gli unici uomini che possono pubblicamente credersi qualcun altro e non risultare pazzi. Cristian Izzo, allora, fa Ivan, che a sua volta fa il re di Spagna Ferdinando “… e che re!”. Ma Ivan è in un manicomio a quanto sembra.

Siamo quello che lavoriamo

C’è un gran movimento sul palco del Théâtre de Poche. È un movimento di corpi, che sono quattro ma che nello spazio ristretto della scena creano scompiglio. È movimento di pensieri vorticosi che si accavallano e ognuno toglie spazio all’altro. Tanto che il palcoscenico sembra un cervello. È tutto molto raccolto, chiuso accogliente, come si potrebbe immaginare lo spazio in cui i pensieri si muovono nella scatola cranica.

Secondo grado di giudizio

L’ancella, abituata a mantenere le bestie, tiene con tutta la sua forza il possente uomo sdraiato sul suo giaciglio e ormai ubriaco. Giuditta, la padrona, gli taglia la testa stando attenta a non sporcarsi col sangue il bel vestito. Così Artemisia Gentileschi ritrae la storia di Giuditta e Oloferne. Due donne per uccidere un uomo. All’interno della rassegna dedicata alle donne dal Nuovo Teatro Sancarluccio, Artemisia Gentileschi è sotto processo, nello spettacolo di Mirko Di Martino.

Michele Sinisi suona il "Riccardo III"

Mentre in televisione c’è la serata finale del Festival di Sanremo in cui una numerosa orchestra suona la canzone italiana, allo Start, piccolo teatro di Napoli, c’è Michele Sinisi che da solo suona il prologo del Riccardo III in inglese, davanti ad un pubblico poco numeroso ma attento e divertito.
Le parole, una volta pronunciate, sono suono. Se esse appartengono alla lingua inglese, è facile riconoscere loro una certa ritmicità. Dipende dalle consonanti che bloccano e sembrano battere l’aria proprio come fanno le percussioni. E proprio come se suonasse uno strumento a percussioni, Michele Sinisi usa le parole per creare un ritmo.

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il Pickwick

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