“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Caterina Serena Martucci

Stronzi e topi

Scroscia la pioggia. La scena è vuota di presenze umane. Specchi. Neon dalla fredda luce bianca. Rumore di passi. Affannosi, rapidi, incalzanti. “Stavi voltando l’angolo della strada quando ti ho visto. Piove”. Buio. Le lame di luce dei neon continuano a riverberare il loro ricordo negli occhi. “Io vivo in albergo praticamente da sempre”. La luce si riaccende su un uomo seduto. Indossa un lungo impermeabile blu. Deve essere alto. Magro. Il volto scavato. I capelli corti. Gli occhi azzurri e tristi.

Venite a sognare con me

A sipario chiuso si sente come il fischio di un treno, o forse un lamento, misto al cinguettio di uccelli e poi la tela rossa si apre, scoprendo una luce blu davanti ai nostri occhi, un blu irreale, che sa già di sogno, di fiaba. Sul blu del fondale si proiettano le silouhettes di tre vecchie: una sembra la vecchia del Carnevale, con il naso bitorzoluto e la gobba, un’altra sembra una janara con i capelli scarmigliati, la terza ha il naso adunco da strega o da befana. Ma forse sono solo tre vecchie nonne, dalla voce chioccia e cavernosa, che ci prendono per mano e ci fanno entrare nel regno incantato della fiaba. “Ric’ ca ce steva 'na vota ‘o paese d’Arzano 'na femmena, la quale ogne anno scarrecava 'no figlio mascolo...”. La donna si chiama Zeza (come la compagna di Pulcinella in tanti canovacci...) e un anno finalmente riesce a dare alla luce una femmina, cui mette nome Gianna, ma la vecchia vammana (la levatrice) si confonde, mette il segnale sbagliato e i sette fratelli maschi prendono la via e camminano camminano camminano fino ad arrivare a casa di un orco, che viveva in un fitto bosco...

No man's land

Un piacevole brusio precede le rappresentazioni della rassegna Il Teatro cerca Casa. Probabilmente dipende dall’atmosfera calda e rilassata, dalla tensione comune che unisce pubblico e organizzatori. Fatto sta tra il prima e il dopo, tra l’attesa e lo spettacolo, si realizza una magica continuità nella discontinuità. Prima il brusio, il piacevole chiacchiericcio e poi d’improvviso il silenzio, lo spettacolo ha inizio, l’invisibile quarta parete si erge. L’azione scenica è a un palmo dal nostro naso, magari anche meno, eppure l’aria si tace e si entra nel mondo della narrazione.

Ti amo

Troviamo già un attore in scena mentre prendiamo posto nel Ridotto del Mercadante. La scena è vuota. Il fondale è nero e spesso. Un nero solido. Il corpo è immerso nel buio. Illuminato solo da sprazzi di luce. Percorre nervosamente la scena. È vestito solo della biancheria intima. Bianca come la luce. È magro. È giovane. Ha una massa di capelli neri ricci. All’improvviso il brusio tace. Lo spettacolo ha inizio. Entra in scena il secondo attore. È magro. È più alto. I capelli sono biondi. Tagliati molto corti. Anche lui indossa solo la biancheria. E occhiali tondi dalla montatura dorata. “Buonasera! Benvenuti!... Ciao!”.

Scatole cinesi

Lo spettacolo comincia nel foyer. Tutti seduti, in silenzio, ad attendere. Finalmente compare un attore, vestito da borghese distinto della fine del XIX secolo (scopriremo in scena che si tratta di don Alberto). Il giovane ci intrattiene con un monologo sul niente, che in quanto tale non può essere qualcosa, e, a parte la differenza linguistica, nulla ha da invidiare al logos sull’essere di Parmenide di Elea.

Magia totale

Gli strumenti sono già in scena prima che la tela già aperta si apra sul Flauto Magico secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio. Uno schermo stretto e lungo occupa il fondale, promettendo visioni di accompagnamento alle azioni e ai suoni. L’Orchestra entra in scena accompagnata dall’applauso del pubblico. Accorda gli strumenti.

Tanto di cappello

Poco pubblico popola la piccola Sala Assoli. Peccato. Voglio sperare perché è martedì sera e il tempo è un po’ incerto. Oppure perché lo hanno già visto Wrong Play, My Lord. Spero non fosse per il timore dello spettacolo in inglese, perché tra la sinossi e la recitazione caricata degli attori l’azione scenica è perfettamente evidente. Potranno sfuggire i gustosissimi giochi di parole, ma il risultato finale, la sostanza comunicativa, il potere performativo dell’agire scenico non ne sono depotenziati.

Lieve lieve

Per il Forum Universale delle Culture diffuso, a latere del programma principale, il Teatro Cilea si apre alla cittadinanza. Un giovane autore, giovani attori, tre brevi racconti. Operazione Erode, La terza Maria, Tre magnifici scapoli.
Come sarebbe stato il mondo se personaggi come Hitler, Mussolini e Stalin fossero morti nella culla? Also sprach Zarathustra introduce uno scenario cibernetico da 2001 Odissea nello spazio. Tre personaggi in scena. Tre silhouettes si stagliano sul verde luminoso, quasi fluorescente, del fondale. Siamo nel 2423.

Brodo STAR

È gremita la platea del Teatro Cilea per l’apertura della stagione teatrale. La città è spazzata da uno scirocco potente, il cielo minaccia pioggia, quando calerà il vento, gioca anche il Napoli. Ma il pubblico è venuto a rendere omaggio al teatro, al fare teatro, ad un grande autore, uno dei simboli della città, uno degli artefici moderni della stessa popolarità napoletana.

Regina reginella...

Regina reginella,
Quanti passi devo fare
Per arrivare al tuo castello con la fede e con l'anello,
Con la punta del coltello?

Tre corti alla corte della formica. I giocatori, Laminore, Una donna indifesa. Il tema è vincitori e vinti. L'atmosfera della rassegna è familiare. Tutti si conoscono e tutti i presenti, ci sarebbe da scommettere se non fossimo contrari al gioco per principio, si trovano lì per una ragione, professionale o affettiva. Ogni corto è preceduto dalla menzione di autore, regista e attori e seguito da una breve intervista/commento.

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