“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 28 October 2013 01:00

La "lectio levis" di Giorgio Albertazzi

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Giovedì 24 ottobre 2013, Giorgio Albertazzi propone al pubblico napoletano una riflessione sulla leggerezza, proprio come fece Italo Calvino nella prima delle lezioni preparate per la conferenza all’Università di Harvard, dove era stato invitato per tenere le Charles Eliot Norton Poetry Lectures, proposte per la prima volta ad uno scrittore italiano. Pochi anni mancavano all’inizio del nuovo millennio (era infatti il 1985), per cui il sottotitolo delle lezioni pensato dallo scrittore era Six memos for the next millennium. Calvino non andò fisicamente in America perché morì prima e così le carte delle lezioni furono messe insieme dalla moglie e date alle stampe.

Sono lezioni di vita attraverso il mito, la storia e soprattutto la letteratura europea. Delle sei conferenze progettate ne sono state effettivamente pubblicate cinque: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità.
"Al momento di partire per gli Stati Uniti, delle sei lezioni ne aveva scritte cinque", racconta la moglie Esther nell’introduzione al libro, "manca la sesta, Consistency, e di questa solo so che si sarebbe riferito a Bartleby di Melville".
La leggerezza, credo la lezione più bella ed intensa, è un omaggio al “legger vivere”, allo scrollarsi di dosso l’eccessivo peso della vita, non per questo scegliendo di vivere con superficialità, ma riuscendo a sentire sempre la possibilità di librarsi come un uccello e di volare.
Così Paul Valéry: "Il faut être léger comme l’oiseau et non comme la plume". La piuma si libra leggera ma tende verso il basso, la nostra speranza, invece, è quella di andare dal nostro luogo naturale che è la terra verso l’alto, non verso il divino, ma verso la perdita di peso e la sensazione della fluttuazione. Libera la mente, libera i pensieri ed il corpo si librerà nello spazio ed arriverà in luoghi mai prima sperimentati.
Calvino crede che ci sono cose che possono essere attuate solo grazie al nutrimento che proviene dalla letteratura, per cui tra le sue proposte per una vita migliore e per la concreta realizzazione dell’aspirazione alla felicità, ce n'è una che si spiega attraverso un viaggio alla scoperta della letteratura “del leggero”.
Albertazzi, in questo spettacolo con la regia di Orlando Forioso, interpreta Calvino (il Professore) che sta preparando la prima lezione per la conferenza e cerca quindi, con l’aiuto di una studentessa, di organizzare il discorso.
Il famosissimo attore (novantenne ed in ottima forma!) rifiuta di uscire fino in fondo dai suoi panni, esordendo con il lamento di una forte sciatica che neanche gli impedisce di smettere di fare teatro (risa di ironia tra il pubblico). Si abbandona ogni tanto ad inserti riguardo alle sue avventure amorose e ad altri racconti personali per smorzare la seppur lieve difficoltà dell’approccio letterario che presenta la tematica in questione.
Ovidio, Montale, Cavalcanti, Dante, Cervantes, Shakespeare, Borges, D’Annunzio, Kafka, segnano l’interesse parallelo di Calvino letterato e di Albertazzi, attore, molto amante della letteratura e della poesia.
Calvino nel suo scritto esordisce: "Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza". Il primo riferimento di Calvino, in appoggio alla dimostrazione della sua tesi, è il mito di Perseo e della Gorgone Medusa.
Perseo, volando con i suoi sandali alati, riuscì a scampare allo sguardo pesante, pietrifico della Medusa anguicrinita, sfidando appunto il peso con la leggerezza del volo e con la leggera considerazione del mostro. Il giovane, infatti, astutamente, guarda l’immagine della Medusa attraverso il suo riflesso nello specchio, lasciando a lei la vista di se stessa e di conseguenza la pietrificazione. Dal sangue maledetto di Medusa nasce un cavallo alato, Pegaso, cosicché la pesantezza della pietra si tramuta in qualcosa di leggero ed aereo. Inoltre, Perseo non getta via la testa della Medusa ma la utilizza come arma personale contro i suoi nemici più spietati.
Calvino insiste precisando che Perseo non rifiuta la realtà in toto, quando decide di non guardare in faccia la Medusa, ne rifiuta solo la visione diretta, prediligendo invece quella riflessa, ovvero un’altra angolatura, una nuova prospettiva, una nuova possibilità mai esplorata prima e capitata per caso. E fa ciò per salvare la sua vita.
Anche Ovidio nelle Metamorfosi racconta del mito di Perseo e di Medusa. Famoso e risuonante il verso: anguiferumque caput dura ne laedet harena (“ed affinché la ruvida sabbia non sciupi la testa anguicrinita”), perché la testa della Gorgone rende i ramoscelli marini coralli come “la traccia madreperlacea di lumaca / o smeriglio di vetro calpestato”) descritti in Piccolo testamento di Eugenio Montale, dove sembra che vi sia una continuazione di immaginario del poeta latino.
Lo studio della materia fatto da Lucrezio nel De Rerum natura tende al ridimensionamento della materia, al rimpicciolimento: gli atomi sono piccoli, inconsistenti, creano simulacra che si attaccano ai corpi per permettere l’attrazione, la conoscenza ed il riconoscimento.
All’origine della poesia italiana, invece, Cavalcanti viene definito da Calvino come il poeta della leggerezza, mentre Dante è il poeta del linguaggio concreto, sperimentale, dove la parola ha il suo peso ma poi cade “come corpo morto” di fronte alle emozioni ed ai sentimenti forti, come l’amore. La reazione di Dante alla vista di Francesca da Rimini nel secondo cerchio dell’Inferno fa pensare ad un amore taciuto verso la donna macchiatasi di lussuria. Mentre, invece, l’amore per Beatrice cos’era? Irreale, inconsistente, accanito, attaccato, ma non leggero ed improvvisato.
Beatrice è la donna-angelo tipo, che rispetta i canoni di donna che si erano costituiti nelle poesia e nella società dell’epoca, Francesca invece è la donna carnale che pecca con pensiero ed azioni, ma poi, seppur dannata, si libra come uno spirito leggero e, per l’eternità, vive il suo amore.
La riflessione sul linguaggio di Dante conduce a D’Annunzio: qui Albertazzi recita interamente La pioggia nel Pineto, facendo scattare un grande applauso del pubblico e commenti e sospiri ricchi di commozione.
La natura, le favole, le illusioni, tutto si ripercorre attraverso le parole di Albertazzi.
Facciamo poi un salto temporale nel Seicento con Cervantes e Shakespeare per ascoltare la lezione sulla leggerezza attraverso il segno dell’immagine: "La scena di Don Quijote che infilza con la lancia una pala del mulino a vento e viene trasportato in aria occupa poche righe del romanzo di Cervantes; si può dire che in essa l’autore non ha investito che in minima misura le risorse della sua scrittura; ciononostante essa resta uno dei luoghi più famosi della letteratura di tutti i tempi" (I. Calvino).
Si pensi anche al cinema, dove le scene, evocando ricordi altri in luoghi a volte inesplorati e reconditi della nostra memoria e del nostro vissuto hanno una forza tale da sublimare con la leggerezza delle immagini sensazioni ed emozioni. La catarsi teatrale e cinemografica sulle false righe di quella tragica del teatro greco classico, ha anch’essa una funzione di “allenamento” alla scoperta della leggerezza.
Il discorso sull’amore è preponderante in Shakespeare e pare stare molto a cuore al nostro attore che cita con gioia versi shakespeariani.
“Siamo fatti di sogni”, “L’amore è gravità senza peso”. Perché, allora l’amore ed i sogni, a volte, li sentiamo pesanti?
“Il segreto è vivere il malessere come se non fosse tale”, dice Albertazzi.
Ma non parliamo di illusione e falsità, ma del fatto che ogni uomo non può aspettarsi dalla vita nient’altro di più di quello che egli offre ad essa e che si porta addosso nella valigia del suo karma.
Vivere sentendo la leggerezza e sapendo di poter sempre cambiare è una scelta.
Mi è venuta in mente un’opera che credo possa ben esemplificare, nella chiusa di questo mio articolo, il messaggio sulla leggerezza di Calvino.
Il mito di Sisifo di Albert Camus racconta della punizione inequivocabile inflitta a Sisifo da parte degli dèi. Egli è costretto a portare una pesante pietra su una montagna ed a cadere sotto il suo peso per poi ricominciare tutto da capo in un percorso perpetuo, che è sempre lo stesso, sempre unidirezionale. La grandezza del personaggio di Sisifo e della lezione di Camus è che Sisifo è un personaggio assurdo che costruisce la catena delle azioni della sua vita sotto lo sguardo della memoria ed in balìa del peso che egli muove verso l’alto e della leggerezza dello stesso peso che cade verso il basso.
Travolto da questa “leggera pesantezza”, tuttavia Sisifo è felice.
Camus dice: "Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice".
La notte, la poesia, i suoni, i granelli di sabbia e le madreperle bastano ad alleviare le sofferenze dell’uomo ed a renderlo leggero e felice.
Così si è sentito il pubblico uscito dal Teatro Troisi, nutrito nello spirito di letteratura, immagini e sentimenti felici.

 

 

 

 

 

Lezioni americane
di
Italo Calvino
regia Orlando Forioso
con Giorgio Albertazzi
compagnia Ghione spettacoli
Napoli, Teatro Troisi, 25 ottobre 2013
in scena dal 24 al 27 ottobre 2013

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