“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 22 October 2013 02:00

L'arte dell'accabadora

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Acabaddare, in dialetto sardo, significa “incrociare le mani al morto, completare, conchiudere”.
Si tratta di un antico rito diffuso in Sardegna fin dall’epoca punica, dove l’accabadora entrava di notte nelle case delle persone in cui c’era qualcuno che doveva essere aiutato a morire. La donna si occupava, quindi, di una "forzata eutanasia" e per questo era mal vista da tutti ed agiva di notte e di nascosto, entrando nelle case il cui uscio veniva lasciato volutamente aperto.
Un mestiere terribile si penserebbe.

Alessandra Asuni in Accabai, ripercorre questo rito appartenente alla sua memoria storica, in quanto cittadina sarda, e si mette nei panni della accabadora e ne esplora, con il suo corpo e la sua immaginazione, i sentimenti.
Cosa provava, dunque, questa donna? Aveva bisogno anche lei, a sua volta, di compiere su di sé un rito di purificazione grazie al quale lavarsi via “la colpa della morte”?
Lo spettacolo è davvero molto suggestivo e la scelta del luogo in cui metterlo in scena è fondamentale: il pubblico, infatti, viene accolto dall’accabadora nella sua rustica dimora e, dopo aver ricevuto il benvenuto con “il corpo di Cristo” (un pezzo di focaccia sottilissima), viene fatto accomodare su piccole sedie (dodici, quanto il numero massimo di partecipanti che possono assistere di volta in volta allo spettacolo), gli si offre del vino ("poco o molto?"), del salame e del formaggio.
L’accabaddora parla in dialetto sardo antico, per cui è complicato capire precisamente tutto ciò che dice ma non è difficile coglierne il senso.La stanza, antisala del Teatro di Contrabbando a Fuorigrotta, è limitata da lenzuola bianche ricamate appese, e vari oggetti, anch'essi appesi alle pareti, simbolo di memoria storica e personale della donna, come volti di capra, fili azzurri (omaggio all’artista Maria Lai), pentole.
Dopo aver conversato e consumato cibo e vino insieme (prodotti genuini e provenienti dalle terre sarde), la donna dona ad ogni spettatore un paio di pantaloni e si prende quel breve tempo per percepire quale sia adatto per ognuno. In ogni tasca, lo spettatore scopre un foglietto di carta con sopra un nome: ciascuno, infatti, senza saperlo, interpreta dodici persone che l’accabadora ha dovuto uccidere e del cui volto impresso non si è ancora liberata. “Sarbadore Loi, Peppineddu, Giacinto Loi”: ne ricorda uno alla volta, guardandone la foto e ricordando come è morto, poi prende un cuscino e con una pietra soffoca i ricordi.
Qui l’azione inizia a farsi più drammatica: la donna fugge sul palcoscenico e, messasi in una bacinella, chiede al pubblico di essere purificata con dell’acqua per lavare via quelle colpe.
Poi, il pubblico la segue nella parte esterna del teatro, e poi fin sulla strada per rientrare di nuovo − questa volta rimanendo nel cortile del palazzo del teatro − dove ognuno viene chiamato a riportare il paio di pantaloni e ritornare nella memoria finalmente purificata della donna, pronta di nuovo a ricominciare i suoi rituali.
L'originalità e l’energia dello spettacolo sono davvero insoliti, l'incomprensione della lingua e l'iniziale imbarazzo da parte del pubblico nel sentirsi parte attiva della scena, scompaiono dopo poco, trasportati emotivamente in questo viaggio. Il clima diventa subito familiare, le persone percepiscono un'energia comune, decidono di farsene attraversare e sono animati dalla sete di conoscenza e dall'interesse verso un mondo ed una storia sconosciuti. La scena teatrale, in generale, ha la ricchezza di far conservare il patrimonio storico e sociale e permetterne la sua continua ed infinita ripetibilità e, di conseguenza, diffusione.
Alla fine dello spettacolo, Alessandra Asuni ha dedicato al pubblico un piccolo dibattito, dove è stato possibile fare delle domande per avere dei chiarimenti sulla storia e le motivazioni di questo rito.
“Lo porterai in giro per l’Italia?” è stato chiesto alla Asuni. “Per ora solo a Napoli ed in Sardegna”. Eh si, non c’è da stupirsi che Napoli sia aperta ad accogliere questo tipo di iniziative, in cui storia e cultura si intersecano alle emozioni ed alle esperienze individuali. Ed inoltre l’offerta dei luoghi a Napoli non ha quasi paragoni.
Il Teatro di Contrabbando (www.teatrodicontrabbando.com), ad esempio, che a Via Diocleziano 316 (Fuorigrotta) è gestito da un gruppo di ragazzi ed ospita un’ampia stagione di spettacoli da poter vedere in un luogo intimo e raccolto.

 

 

 

Accabai − un rito
di e con
Alessandra Asuni
collaborazione allo studio e alla drammaturgia  Marina Rippa e Massimo Staich
produzione f.pl. femminile plurale
lingua dialetto sardo
durata 1h
Napoli, Teatro di Contrabbando, 19 ottobre 2013
in scena 19 e 20 otttobre 2013

 

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