“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 25 June 2021 00:00

Evocare Pina

Written by 

Evocare la vita di Pina Bausch significa sentire odore di vino, puzza di sigarette, poche parole, un corpo parlante in ogni poro, una mente creativamente infaticabile. Giuseppe Sollazzo mette in scena un omaggio alla straordinaria artista tedesca in uno dei magnifici palchi montati dal Campania Festival nel bellissimo Real Bosco di Capodimonte di Napoli. Una sera ascoltando un vecchio tango mi sono addormentato e ho sognato Pina Bausch è l’evocazione della vita di Pina attraverso i sogni di un regista.

Un coro di uomini e donne, non professionisti, interpreta varie tappe della vita di Pina attraverso suoni, colori e soprattutto frammenti di narrazioni espressi dai gesti del corpo. Sollazzo sceglie di far scorrere le scene come brevi sezioni musicate di vecchi film dove ogni scelta musicale, ogni voce fuori campo, designa un tempo preciso, riflessioni, ricordi, tutto ciò che Pina vedeva dentro e fuori di sé.
Il mondo di Pina era immenso, sconfinato, toccava e donava emozioni pure costantemente con un corpo puro, non artificioso: il Tanztheater Wüppertal Pina Bausch, così come fu creato da Pina, era ed è qualcosa di irripetibile.
I riferimenti agli spettacoli in cui la Bausch muoveva masse di uomini e in cui il corpo evocava in maniera straordinariamente pura e scarna i sentimenti sono ampiamente toccati ma mai in maniera identificante, anzi: ogni ricordo che va alle scene degli spettacoli della Bausch risulta poi sublimato in colori e toni diversi, la lingua tedesca che racconta la vita dell’artista non lascia abbandonato anche un chiaro segnale alla napoletanità. Spesso, il dialetto napoletano esce dai volti e dalle lingue degli attori e subito i colori si innestano e si mischiano, l’anima si impreziosisce e i concetti espressi dal teatro entrano ed escono da immaginari mai fissati.
Il filtro del regista infatti è sempre presente, in una sorta, oserei direi, di riferimento al metateatro.
Gli attori sono persone comuni, sono bambini, donne, ragazze, uomini e ragazzi, sono il panorama umano che Pina portava dentro di sé, ognuno di loro è Pina e loro interpretano frammenti di vita in modo intenso e rapido ma efficace.
Il cast è composto da persone bravissime che interpretano intensissimamente tutte le scene. Il teatro stesso, in quanto espressione della vita, è oggetto di riflessione: suoni di città, bombardamenti di guerra, usi e costumi delle donne sono solo alcune delle scene.
Briosa è la scena delle lavandaie in cui donne colorate e profumate danzano al passo di bucato, amaro è il ricordo che la vita umana è il trattino tra due date e qui un grande tabellone manifesta date di nascita e morte a ricordo di come ogni vita umana è diversa per intervallo temporale ma soggetta allo stesso destino. Intensa è la scena in cui Pina ricerca i movimenti delle sue coreografie con l’immancabile sigaretta tra le dita e il bicchiere di vino afrodisiaco.
Inoltre, molto toccante è la scena del ristorante in cui la voce fuori campo di Pina evoca le serate d’infanzia sotto al tavolo a sbirciare le vite passeggere degli altri, gli intrighi, le rivelazioni, gli odi e gli amori. Questo è il mondo di Pina, la coltura dei sentimenti, la traduzione nel corpo e la trasmissione avendo il corpo come ponte. Nel ristorante, emblema del corpo che si fa narrazione, le coppie di persone si scambiano, i ricordi ritornano, il tutto velocemente e apparentemente senza un filo logico ma con forti connessioni.
Aleggia fortemente anche la figura del clown: è il regista che dalla platea in un colpo di scena meta-teatrale si traveste nell’emblema dell’ironia amara, nel medium tra il sé regista e Pina che gli viene in sogno evocando la sua vita. C’è dunque una trasmissione di testimone, un monito ad avere fiducia che il teatro vincerà e sarà sempre la salvezza per la custodia e l’espressione dei sentimenti.
E poi ecco il colpo di scena − era annunciato nel programma, certo, ed era il motivo principale per cui fossi andata a teatro, io, come altri, ma fino a quel momento fingevamo di averlo dimenticato − appare un pezzo di vita vera di Pina, una sua danzatrice che riempie di lacrime mentre danza quella che mi è sembrata un’ode alla rinascita accanto a una grande rosa fresca messa in scena amorevolmente da uno degli uomini del cast. Beatrice Libonati, la storica danzatrice italiana, quella piccolina, magnetica allora, magnetica adesso, intrisa di tutto ciò che è stata quell’esperienza unica al mondo, sapore di storia del passato e del presente, fa sgorgare le lacrime e si comprende subito che è stata lei a lavorare alla partitura corporeo-teatrale delle persone del cast.
Lei parla con ogni minuscolo gesto e il suo volto, il collo, la clavicola, il petto, le braccia sono luminosi e densi, sono espressioni di una pienezza consapevole e maturata, i piedi, silenziosi, danzano virtuosi in una sorta di ingresso delicato, in punta di piedi appunto, nella vita degli altri. La Libonati crea un dialogo aperto, presente con ogni persona del pubblico: è il frutto vitale e reale del lavoro creativo di Pina, l’incarnazione di un fenomeno unico e irripetibile, quello che hanno vissuto tutti i membri della Compagnia tedesca, quando hanno girato il mondo a suon di applausi danzando con ogni tipo di persona e in ogni luogo, diffondendo l’idea che la danza è per tutti e di tutti, almeno lo è un certo tipo di danza, quella pura dei sentimenti.
Sollazzo vuol dunque fare uno spettacolo alla Pina Bausch? Non credo, vuole creare piuttosto una dimensione di dialogo con lei e con il suo teatro, donando assaggi direzionati verso una forma ricercata dove non è importante il virtuosismo o l’eccezionale ma la semplicità dell’espressione del corpo, la vitalità, il brio, l’ironia, l’amore, la malinconia, la presa di coscienza, la rinascita.
Il lamento dell’Imperatrice (Die Klage der Kaiserin), un film realizzato dalla Bausch nel 1990, è, a mio modo di vedere, l’emblema dell’essenza del teatro di Pina, quella “manipolazione” dei sentimenti “grezzi” ed è verso quelle sensazioni che Sollazzo vuole ricongiungere il suo sentimento con Pina. Il regista-clown s’interroga inquieto su immaginari interrotti, tra domande numerose e sempre fiorenti. Qual è la soluzione? Non c’è, solo un continuo flusso del sentire.





Campania Teatro Festival 2021
Una sera ascoltando un vecchio tango mi sono addormentato e ho sognato Pina Bausch
regia e drammaturgia di
 Giuseppe Sollazzo
con Enzo Barone, Giulia Conte, Selvaggia Cotroneo, Rosario D’Angelo, Salvatore Esposito, Annamaria Ferrentino, Claudia Limatola, Melania Pellino, Annita Vigilante
e in alternanza 
Mariella Avellone, Brunello De Feo, Fabiola Mele, Fortuna Montariello, Massimo Nota, Carlo Paoletti, Mariella Pandolfi, Giusi Palmisani, Rosa Pelliccia, Michele Romeo di Tuosto, Antonino Scialdone, Cristina Sica, Antonio Tomberli, Stefania Valli
e con la partecipazione straordinaria di Beatrice Libonati
movimenti coreografici
 Beatrice Libonati
collaborazione artistica 
Gabriella Stazio
elementi scenici 
Massimo Nota
costumi
 Maddalena Marciano
disegno luci
 Luigi Della Monica
maschere e parrucche
 Kriss Barone
fantocci
 Flavia D’Aiello
direzione tecnica
 Vittorio Barresi
direttore di scena
 Salvatore Lonz
assistente volontario alla regia
 Gabriele D’Aquino
assistente volontaria ai costumi 
Diana Magri
tecnico suono 
Giuseppe Caliendo
foto di scena
Giusva Cennamo (Agenzia Cubo)
produzione 
Associazione Jules Renard
paese Italia
lingua italiano, tedesco, napoletano
durata 1h
Napoli, Real Bosco di Capodimonte, Praterie della Capraia, 19 giugno 2021
in scena 18 e 19 giugno 2021

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook