“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 06 December 2019 00:00

Dove le parole cominciano

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“È lo spettacolo più bello del mondo, mamma, il più bello il più bello”. Una bambina saltella nel foyer dopo i settantacinque minuti di danza e racconto de La mia vita d’artista.  “Allora anch’io posso fare tante cose” aggiunge emozionata, articolando le parole in modo un po’ stentato. Carla Fracci le passa accanto, come una piccola nuvola bianca, e le sorride uscendo dal teatro defilata, senza preoccuparsi di esser riconosciuta.

Questa scena curiosa si è svolta alla fine di una replica dello spettacolo in cui Sabrina Brazzo apre le porte della sua vita d’artista. La storia viene raccontata in modo semplice: immagini della memoria, voci nella testa, ferite e cicatrici, speranze e successi. Il basso continuo è una dislessia ordinaria e straordinaria, come suggerisce il sottotitolo dello spettacolo. Si tratta infatti di una dislessia ordinaria, uguale a quella di tanti bambini e adulti persi in un mondo che somiglia a una giungla intricata di parole, dalla lavagna alla metropolitana, e che taglia fuori chi non capisce immediatamente quella lingua. Ma è anche una dislessia straordinaria, perché ha spinto Sabrina Brazzo a raggiungere traguardi eccezionali: prima ballerina del Teatro alla Scala, étoile internazionale, protagonista di un’avventura newyorkese al ritmo di tip tap e infine Cavaliere dell’Ordine al Merito, onorificenza conferitale dal Presidente della Repubblica italiana qualche mese fa. È come se da ogni caduta Sabrina Brazzo si fosse rialzata con un salto sempre più alto, con l’aiuto e il sogno di una danza che unisce la più sublime tradizione alla potenza creativa di un movimento contemporaneo. Questo movimento non è soltanto quello di Sabrina Brazzo, ma si sparge come un contagio per l’intera scena, affollata di corpi danzanti che la seguono nel viaggio della sua vita. E fra tutti, sopra tutti, c’è Andrea Volpintesta, partner di scena e d’amore, che tesse il suo legame con la danzatrice in modo ironico e passionale. Questo spettacolo rappresenta un messaggio di speranza: è possibile trovare una parola che appartenga a tutti, nessuno escluso. Il culmine di questa ricerca è racchiuso in un’intervista in cui la danzatrice risponde alle domande con gesti più chiari di qualsiasi parola.
È antica l’immagine della danza come linguaggio dell’anima, a tal punto che fa eco ai più grandi artisti del passato. Primo fra tutti Vaslav Nijinsky, il quale danzava, si dice, come se non ci fosse. Quando appariva sul palcoscenico dei teatri russi e francesi di inizio Novecento, Nijinsky dava l’impressione di non toccare mai il suolo, i suoi salti sembravano animati da una radicale assenza di peso. Ma vi era un’assenza ancor più radicale in lui, una certa distrazione dello spirito, una qualità dei gesti materiale e insieme sovrannaturale. Nei suoi Diari Nijinsky scriveva che la danza era la possibilità più naturale che egli conoscesse per mettersi in contatto con il mondo e per esistere. Eppure, sul palcoscenico era come se Nijinsky non ci fosse. Nessun esibizionismo, nessuna auto-celebrazione. Danzando, è possibile raccontare la propria esistenza, creandola ogni volta di nuovo. L’obiettivo non è quindi affermare se stessi, bensì costruire nuove possibilità di vita. È come se il linguaggio della danza ci rivelasse un segreto: vi sono molti modi di stare al mondo, molte lingue per comunicare. La precisione del gesto rimanda ad una grazia che sta oltre la fatica e oltre la leggerezza. Aria nell’aria. Si dice che la danza comincia dove finiscono le parole: il corpo si muove e dice quello che il linguaggio non riesce ad esprimere – ed è vero, non ci sono parole per descrivere che cosa accade quando un danzatore apre le braccia e comincia a volare. Eppure, non siamo condannati al silenzio, non è tanto la fine della lingua, quanto piuttosto un inizio. Nella danza, tutte le parole cominciano. Parole nuove di un mondo nuovo. Forse, il migliore dei mondi possibili.





La mia vita d’artista. Storie di ordinaria e straordinaria dislessia
da un’idea di
Salvo Manganaro, Micaela Masella
coreografie Giorgio Azzone, Alessio Di Stefano, Alessio Guerra, Joe Lampugnani, Gianluca Schiavoni, Giulia Staccioli, Massimiliano Volpini, Andrea Volpintesta
con la collaborazione di Centro Studi Coreografici, Accademia Kataklò, Jumpin’ Joe & Friends
con la partecipazione di Jas Art Ballet – Ida Frau, Federica Azzone, Alice Rizzo, Filomena Arcuri, Giulia Parodi, Beatrice Vettor, Mino Viesti, Giacomo De Luca, Sebastiano Marino, Ivan Sanchez, Kekko Talotti
luci e scene Salvo Manganaro
produzione Jas Art Ballet | Teatro Totale
con il patrocinio di Associazione Italiana Dislessia, Conseil International de la Danse
lingua italiano
durata 1h 15’
Milano, Teatro Carcano, 26 novembre 2019
in scena 25 e 26 novembre 2019

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