“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 22 July 2019 00:00

Legami ‘squilibrati’ nel teatro di Zimmermann

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Ritorno più che gradito a Napoli di Martin Zimmermann, clown, coreografo e regista che con la Compagnia Zimmermann-De Perrot aveva già calcato in passato le scene del Napoli Teatro Festival Italia. Quest’anno, in veste di regista di tre formidabili attori (Tarek Halaby, Romeu Runa e Dimitri Jourde, quest’ultimo davvero straordinario) e del consolidato musicista Colin Vallon, l’artista svizzero ha portato in scena uno spettacolo accolto da un teatro pieno, che ha riso per tutta la durata della rappresentazione, fino ad una entusiastica standing ovation finale.

Introdotto dalla musica, calato il sipario, lo spettatore entra in un museo dove ad attenderlo c’è nientedimeno che il Direttore, vestito con vistoso ed elegante abito bianco, panciuto come a sottolineare l’importanza del personaggio, che ammicca agli spettatori sorrisi e saluti di circostanza in molte lingue, aggiustandosi continuamente la lunga chioma fluente. La scenografia è apparentemente semplice, costituita dall’esterno di due edifici, con porte e finestre da cui entreranno e usciranno gli attori in scena: in realtà una scenografia che si rivelerà mobile, esplodendo a un certo punto dello spettacolo, cominciando a girare su di sé e aprendosi come le pagine di un libro che scorrono in danze acrobatiche, con gli attori che si arrampicano sopra facendosi portare, guizzando da un’entrata all’altra, cercando di rincorrere e non farsi travolgere dal turbinìo della vorticosa struttura. Sul lato, un pianoforte (a un certo punto anche una batteria) che introduce e compone le scene ritmicamente e melodicamente, parte integrante dello spettacolo, in diversi momenti anche dal punto di vista della drammaturgia delle azioni. Da una delle porte sbuca poi il Servitore, una sorta di figura di sguattera che si muove quasi sempre piegata in due, seguendo i comandi del Direttore − almeno all’inizio dello spettacolo − ed esprimendosi con squittii vocali, essenziali e sempre incisivi. E infine − colpo di scena − l’irruzione de l’Artista, un compiaciuto ‘galletto’, seminudo, occhiali da sole e pose da popstar, che come in un film horror sbuca all’improvviso da sotto il palco con un braccio che squarcia il pavimento e si fa strada, tra la polvere dei detriti che sputa dalla bocca, accomodandosi compiaciuto sulla scena, per essere poi disposto variamente nella collezione del museo (in una teca di vetro o in una cassa, o ancora sulla finestra come un vaso di fiori...), anch’egli esprimendosi solo con isolati stridii della voce.
Zimmermann afferma di aver voluto affrontare le relazioni che si stabiliscono tra le tre figure, relazioni di “autorità, sottomissione e libertà”, ovvero esplorare in scena “la poesia, la violenza e la complessità delle relazioni umane” e di queste con gli oggetti e lo spazio scenico circostante. Lo spettacolo difatti si compone di continui contrappunti tra i personaggi e gli stessi oggetti: l’uno comanda e l’altro serve; l’uno si appresta a parlare in pubblico mentre l’altro che dovrebbe aiutarlo scivola a ogni passo, come fosse sul ghiaccio, cercando continuamente di aggrapparsi a punti di appoggio per trovare l’equilibrio e cessare le continue − spassosissime − piroette.
Sono i corpi in scena, nella sconfinata gamma di possibilità proprie del clown e del clownesco, che creano la drammaturgia, mentre il testo, la parola − spesso un semplice suono della bocca, un’intonazione − è solo uno dei tanti strumenti che fisicamente compongono lo spettacolo. Scena dopo scena (forse in alcuni casi troppo lunghe e compiaciute, se si vuole trovare un difetto), dalle note della musica alla posizione degli oggetti, tutto concorre con minuzia e precisione a produrre un unico spazio fisico, interdipendente, in cui le tensioni sono direttamente fisiche, riguardano la materialità di ciò che stiamo guardando, i movimenti e gli equilibri di corpi e oggetti che vediamo in scena. Il ‘colpo d’archetto’ genera tensioni che caratterizzano ogni quadro, irrompendo così all’interno di un ordine codificato che viene a sdoppiarsi, si squilibra letteralmente, scivola e si incrina, fino a ribaltare i ruoli. È un teatro puro, fisico: le tensioni sono tensioni di corpi e di oggetti, di vibrazioni e movimenti musicali, corporei, scenici, che si inseguono, divergono, si scontrano, sempre con grandissima, impeccabile maestria e virtuosismo. Detta in altri termini, Zimmermann e compagni hanno tanto mestiere, e lo sanno utilizzare molto bene. È la magia del teatro che riesce a raccontare, attraverso i suoi strumenti più propri, in chiave ironica e divertente, la commedia umana disposta in ruoli che, tuttavia, non tengono (e per fortuna!), in un equilibrio che non regge e che proprio alla ricerca, scoperta o invenzione di nuovi, necessari punti di appoggio si muove e riequilibra, e in tal modo si anima e vive, sempre sul filo del rasoio, a rischio di cadere, travolgere o di essere travolta.





Napoli Teatro Festival Italia
Ein zwei drei
ideazione, regia, coreografia e costumi Martin Zimmermann
drammaturgia Sabine Geistlich
con Tarek Halaby, Dimitri Jourde, Romeu Runa, Colin Vallon
scenografia Martin Zimmermann, Simeon Meier
sviluppo e coordinazione tecnica Ingo Groher
suono Andy Neresheimer
musiche Colin Vallon
luci Jérôme Bueche
collaborazione artistica Eugénie Rebetez
assistente alla regia Sarah Büchel
ideazione scenica Roger Studer
costruzione scene Ingo Groher Ateliers du Théâtre Vidy-Lausanne
pitture
Michèle Rebetez-Martin
realizzazione costumi
Katharina Baldauf, Doris Mazzella
direttore di scena
Roger Studer, Jan Olislagers
direzione luci
Jérôme Bueche, Sarah Büchel
direzione suono
Andy Neresheimer, Franck Bourgoin
amministratore tecnico
Sarah Büchel
amministrazione Conny Heeb
organizzazione di produzione Alain Vuignier
distrubuzione internazionale Claire Bèjanin
produzione MZ Atelier
coproduzione Biennale de la danse de Lyon 2018, Kaserne Basel, Le Volcan, Scène Nationale du Havre, Les 2 Scènes, Scène Nationale de Besançon, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Maillon, Théâtre de Strasbourg-Scène Européenne, Maison de la Culture de Bourges/Scène Nationale, Scène Nationale du Sud-Aquitain, Nebia-Biel/Bienne, Théâtre de la Ville, Paris, Theater Casino Zug, Theater Chur, Théâtre Vidy-Lausanne, Zürcher Theater Spektakel
con il supporto di E. Göhner Foundation, Societé Suisse des Auteurs, Stanley Thomas Johnson Foundation, Corymbo Foundation
lingua italiano, francese, inglese, spagnolo, tedesco
durata 1h 30’
Napoli, Teatro Mercadante, 15 giugno 2019
in scena 15 e 16 giugno 2019

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