“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 17 December 2018 00:00

Virtuosismi spiritosi, virtuosismi spirituali

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Cosa fa di una creazione artistica una creazione che, pur in un linguaggio apparentemente semplicissimo, riesce ad indagare i nodi profondi dell’essere umano?
Credo che il fattore principale sia il dialogo tra ideatore (coreografo, regista) e interprete (attore, danzatore, performer), un dialogo che, dalla ricerca di gesti semplici e spontanei, costruisca una ricca ed intensa “tela spettacolare” fatta di ritmo, respiro, solarità, agio, interazione con il pubblico e soprattutto grazia e ilarità, insieme alla costante attenzione a lasciare fluire, spesso in sottofondo ma spesso anche in superficie, riflessioni, domande ed immagini.

Credo che R.OSA_10 esercizi per nuovi virtuosismi sia una tela di questo genere e che è uno spettacolo unico per un’interprete unica, Claudia Marsicano, giovanissima attrice campana, ma già con un bel bagaglio di esperienza, che per lo spettacolo ideato da Silvia Gribaudi (coreografa, danzatrice, performer), ha vinto il Premio UBU 2017 come nuova attrice under 35.
Claudia e Silvia hanno creato un dialogo fantastico in cui gli elementi della costruzione scenica, ideati dalla coreografa, e la peculiarità fisica e l’eccezionale bravura dell’interprete hanno dato il risultato meritato. La fisicità dell’interprete sembra ricordare la fisionomia delle donne raffigurate da Botero e il suo corpo mostra una certa bellezza ancestrale, una grazia che promana dalla luminosità del suo sorriso, il viso è delicatissimo e sembra di porcellana, il corpo, sebbene di dimensioni sopra la norma, è arioso. Il peso specifico della sua presenza fisica, la prospettiva immaginifica in cui pone il corpo all’attenzione degli spettattori e la chiave spiritosa ed ironica con cui Claudia si presenta sulla scena rivelano ben presto chiaramente il motivo su cui è costruito lo spettacolo e soprattutto la funzione di medium dell’interprete: donare stimoli al pubblico a muovere e smuovere il corpo, respirare, farsi catturare dalla musica, sorridere o ridere a crepapelle con lo spettatore sconosciuto al proprio fianco, non pensare, seguire una traccia, una voce, un corpo che suggeriscono di non lamentarsi di ciò che si è, di ciò che non si è, di ciò che si è fatto e di ciò che non si è fatto, ma di danzare e sorridere.
Claudia propone alle persone presenti di fare degli esercizi. Gli esercizi sono composti di uno o più step e non sono prove che comportano tanto uno sforzo fisico ma più che altro inviti di abbandono attivo per perdersi e ritrovarsi in un flusso di fiducia condivisa senza ragionamenti o titubanze e grazie ai quali, attraverso il corpo, si osa con la mente, si osa andare oltre certi limiti mentali, liberarsi di affanni inutili, riscoprirsi e accettare le proprie uniche e preziose peculiarità. Il canale, dunque, è il flusso di movimento che attraverso il corpo diventa un generatore di azioni virtuose e di energia positiva, nuova e carica di sensazioni nuove e piacevoli.
Il percorso è libero, personale, l’interprete dello spettacolo propone il suo e lo mette a disposizione di tutti con una voce inglese precisa e solare, calma, che spesso osa la lingua italiana. Claudia è italianissima ma riesce a mascherarlo usando attenzione e grazia anche in quest’operazione teatrale. Gli esercizi sono degli inviti a compiere un processo di spogliamento del giudizio, a fregarsene di quello che pensano gli altri, ed esprimere il proprio unico potenziale.
In ogni gesto danzato o teatralizzato lei presenta una forte connessione con la potenza del suo essere che non distrae mai il pubblico dall’avere gli occhi incollati sulla scena: tutti gli sguardi sono su di lei, quando danza con una fluidità mai vista, quando si esprime anche solo attraverso il movimento dei muscoli del viso, presentando doti davvero uniche. Ogni gesto, inoltre, diventa azione ritmica ripetuta e si stampa nello spazio come forma e figura in movimento, forte immagine, di cui il pubblico stesso riesce ad abbeverare i propri occhi.
Il lavoro sulle immagini, sul gesto ritmico, sul gesto che diventa movimento, e che dunque si imprime nello spazio come semiotica di un discorso, di una narrazione, è una qualifica chiara e ben riuscita di questo lavoro, un punto importantissimo, decisivo nella costruzione di uno spettacolo, una costruzione che in tante altre occasioni capita che venga a mancare, lasciando il pubblico nella vaghezza e con mille domande confuse da risolvere in solitudine.
Il corpo di Claudia è grazioso, gentile, arioso, come lei stessa afferma più volte: mostrarsi al pubblico è fantastico (Uaooo), esercitarsi insieme agli altri è stupendo e così si danza insieme, ci si scatena con gli arti a ritmo veloce, si inspira e si espira, si porta il tempo con il battito delle mani e si fa conoscenza con il vicino di posto, mentre la performer in scena batte gentilmente il ritmo di una delle musiche rock e pop sulla sua gamba, sul suo braccio o sulla sua schiena. Claudia porta il conteggio degli esercizi, spesso lo dimentica e ne fa una scena divertente usando le mani come due entità che litigano per il numero dell'esercizio successivo, usando le espressioni corrucciate o distese del viso mentre dà il segnale alla regia di spegnere la musica.
Il pubblico, chiamato a essere assolutamente parte della scena, a tratti però sembra essere uno specchio in cui la performer gioca a mettere in mostra la relazione tra la realtà di se stessa e la sua immagine mentre tenta di offrirla e contemporaneamente di osservare come si riflette davanti e dentro di sé. Dunque lei è, si offre e si osserva, tra le risate e i ragionamenti, in quei percorsi interiori che la mente compie pur mostrandosi sottili.
Il pubblico invece si diverte, attende curioso e pronto alla sfida gli  esercizi che gli verranno proposti (l’atteggiamento è quello giusto e nessuno ha una reazione sfuggente o ritrosa), tenta di ascoltare con finezza il ritmo della musica e guarda con stupore alla fluidità e alla grazia del movimento di Claudia.
Il gesto, la parola, la ricerca di comunicazione e la plasticità si intrecciano in un dialogo e in un linguaggio costante e in evoluzione: la parola si veste del gesto, il movimento affonda nel corpo e nel ritmo della musica, la plasticità, la plasmabilità sono le modalità di espressione e la precisione è una richiesta che la performer porta in luce nella comunicazione con il pubblico. Ogni gesto è parola e viceversa ed anche le apparenti pause, in cui Claudia si riposa, beve un sorso d’acqua, sono costruite per creare immagini plastiche e rappresentative. Le durate hanno una cadenza molto rilassata, sono naturali, non c’è fretta, il corpo ha bisogno di riposarsi se ha compiuto degli sforzi e ciò non viene negato alla vista del pubblico, anzi.
Il discorso della coreografa Silvia Gribaudi si fonda sullo stravolgimento sperimentale di ciò che prevedono i canoni estetici dei corpi scenici, o meglio su come corpi apparentemente non convenzionali riescano a narrare concetti e a suscitare riflessioni molto profonde. La Gribaudi utilizza questi canali per fare della scena un luogo di comunità, un luogo in cui ci si incontra per divertirsi e, con il sorriso negli occhi, sviluppare dei pensieri. Tutto ciò è costruito con una spiccata sapienza rispetto alla ritmica della scena, fatta di pause, respiri e dinamiche più complesse, e soprattutto con un lavoro molto intenso e interessante di epurazione del gesto. Il gesto diventa parola, i gesti diventano parole che dietro ne nascondono altre, la chiarezza e l’ilarità mettono gli spettatori a proprio agio: via le giacche, via le borse, il corpo deve essere libero di connettersi con la scena e di esserne parte, via anche la fredda sacralità che pare doversi attribuire a chi sta sul palcoscenico. La poetica di Silvia Gribaudi è la poetica della trasformazione positiva, quella in cui il corpo e il gesto diventano veicolo di espressione totale di stati e di esperienze oltre gli stati. L’alternanza tra gli esercizi, i movimenti dinamici e le pause ed i respiri, si riflette anche nelle scelte musicali: alla musica pop si alterna e si inframmezza la musica classica, alla decisione e all’azione, qualche volta, si inframmezza una lieve nota di fragilità e debolezza. La tensione è una sola e l’attenzione alle forme che assume il corpo nella funzione di creatore di immagini (soprattutto in relazione con la luce, spesso colorata di rosa) rimanda a uno studio figurativo ben preciso che probabilmente ha guardato alle statuette delle Veneri del paleolitico, in cui le marcate forme femminili presagivano fertilità e regalità, e alle opere di Botero.
Al centro di questo lavoro c’è dunque la donna e l’icona del corpo femminile che può non rispettare certi canoni figurativi imposti nell’era moderna e contemporanea, può non essere più una delicata e sottile ma passiva rosa, può creare energia, passione, voglia di mettersi in gioco, nuovi movimenti virtuosi, può fare delle proprie spine occasione per sovvertire la visione di sé e contemporaneamente suggerire agli altri queste nuove conquiste, ritornando ai segni e ai sensi delle forme dell’iconografia arcaica. La ricerca di una nuova icona può suggerire nuove strade di espressione all’interno della società, nuovi e rinnovati circoli virtuosi rispetto all’esistenza dell’essere umano. Spesso le pratiche di un singolo individuo possono diventare chiave di proposta benefica per cambiare certi inefficaci e ormai consumati e inadatti paradigmi sociali e culturali.
Il ritorno a Napoli di uno spettacolo che sta girando il mondo e viene apprezzato da chi ha il piacere o la curiosità di assistervi, è stato accolto con maggiore preparazione e consapevolezza dal pubblico napoletano, con abbandono e fiducia e credo sia un bel traguardo nel processo di costruzione di un pubblico per la danza e il teatro di genere sperimentale e interattivo.

 

 

 

Dicembre solo danza − Quello che non ho detto
a cura di Compagnia Körper
R.OSA_10 esercizi per nuovi virtuosismi

regia, coreografia Silvia Gribaudi
contributo creativo Claudia Marsicano
con Claudia Marsicano
disegno luci Leonardo Benetollo
costumi Erica Sessa
consulenza artistica Antonio Rinaldi, Giulia Galvan, Francesca Albanese, Matteo Maffesanti
produzione Silvia Gribaudi Performing art., Associazione Culturale Zebra, La Corte Ospitale
coproduzione Santarcangelo Festival
con il supporto di Qui e Ora Residenza Teatrale – Milano, Associazione Culturale
in collaborazione con Armunia Centro di residenze artistiche – Castiglioncello / Festival Inequilibrio, AMAT – Ass. Marchigiana attività teatrali, Teatro delle Moire / Lachesi LAB – Milano, CSC Centro per la scena contemporanea – Bassano del Grappa
lingua inglese
durata 50’
Napoli, Sala Assoli, 11 dicembre 2018 
in scena 10 e 11 dicembre 2018

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