“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 11 December 2016 00:00

Mirandolina vintage

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Si prenda un classico del teatro, in questo caso Goldoni, si scelga la più classica delle sue commedie, in questo caso La locandiera, e si spennelli il tutto di un’atmosfera vintage, con vestitini a pois e sotto il ginocchio, sottovesti, scarpe bicolori, cappelli, biancheria maschile rigorosamente bianca.

Si incornici il tutto con una bella e curata scenografia, di quelle che ormai si vedono raramente, se non nelle grandi produzioni degli stabili, con tanto di alberi nodosi, pontile in legno su cui si può pescare (introduzione alla scena prima del I atto, con i due rivali in amore impegnati a gareggiare canoramente e con la lenza), barchetta con tanto di lanterna che si tira con un filo e soprattutto una vera e propria macchina scenica, che ruota a scena aperta (il trucco c’è e vuole mostrarsi), proponendo tre ambienti, rivestiti di legno colorato, con graziose finestrelle decorate da vasi di fiori, tendine, mobilio semplice stile anni ’50, manifesti pubblicitari, che suggeriscono i diversi scenari della locanda Vecchio Po (la vicenda, tuttavia, dall’accento di Mirandolina, si direbbe svolgersi, come da copione, a Firenze). Si prendano dei bravi caratteristi, dotati anche di doti vocali, e si dia loro da recitare, pressoché tal quale, il copione della commedia, introducendo, ognor dove possibile, una canzone che faccia da tappeto sonoro all’atmosfera retrò che dovrebbe costituire, si immagina, l’attualizzazione della storia. Si fornisca il terzo servitore di una fisarmonica, che sottolinei con la sua allegra e coinvolgente malinconia i momenti salienti dell’azione. I caratteri rappresentati, del resto, sono senza tempo, con l’egotista Mirandolina, il burbero (domato) Cavaliere di Ripafratta, i due fatui cicisbei, prodigo l’uno, il napoletano di origine Conte di Albafiorita, spilorcio l’altro, il veneziano decaduto Marchese di Forlipopoli; più scialbi e di contorno i due servitori, quello del Cavaliere, piuttosto effeminato, e Fabrizio, al servizio della locandiera e suo sposo nel finale. Il risultato assicurato è un prodotto quasi leggero, godibile senza impegno da un pubblico variegato, anche non necessariamente avvezzo al teatro.
La più morale delle commedie di Goldoni (secondo la premessa dell’autore a chi legge) ancora una volta mette in scena da un lato il vecchio adagio che in amore vince chi fugge, dall’altro il rientrare nei ranghi di una donna di spirito, che degli uomini non avrebbe bisogno se non per trastullo, ma che trova più conveniente, proprio per salvaguardare la propria libertà, sposare un brav’uomo innocuo, colui che le era stato suggerito dal padre sul letto di morte.
In un’epoca egotistica come quella attuale in cui ciascuno, pur nell’illusione della connessione social h24, vive in realtà nello splendido isolamento del proprio hortus conclusus, in una società in cui il matrimonio eterosessuale non è più un valore, o comunque una tappa fondamentale dell’esistenza, e la stessa procreazione non necessita di un incontro stabile tra due soggetti, ci si sarebbe aspettati una discesa con lo scandaglio nelle pieghe della commedia, alla ricerca della Mirandolina di oggi, che dell’uomo può fare a meno se vuole, e delle sue controparti maschili, che pure sembrano ricusare, per ragioni forse non troppo diverse, seppure a cambiate nei dettagli del costume e della morale corrente, il matrimonio. Inutile cercarlo qui. Non in questo allestimento.

 

 

 

La locandiera o l’arte per vincere
di
Carlo Goldoni
adattamento e regia Stefano Sabelli
con Silvia Gallerano, Claudio Botosso, Giorgio Careccia, Andrea Ortis, Alessandra Evengelisti, Eva Sabelli, Diego Florio, Giulio Maroncelli, Pierdomenico Simone
scene Lara Carissimi, Michelangelo Tomaro
costumi Martina Eschini
disegno luci Daniele Passeri
aiuto regia Giulio Maroncelli
direttore di scena Fabrizio Russo
fonico e elettricista Gianmaria Spina
foto di scena Mauro Presutti
lingua italiano
durata 1h 50’
Napoli, Galleria Toledo, 8 dicembre 2016
in scena dall’8 all’11 dicembre 2016

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