“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 23 November 2016 00:00

Casa Italia

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Nuovo spettacolo scritto da Irene Lamponi (dopo Labbra e Il grande salto, ideato a quattro mani con Beppe Casales), Tropicana è fresco di produzione e di allestimento, avendo debuttato ad ottobre del 2016.
Sul palcoscenico si muovono quattro attori per quattro personaggi: una madre, Lucia, abbandonata dal marito e futuro padre di un bambino (che avrà dall’attuale compagna); sua figlia Nina, ragazza che si affaccia all’età adulta; Meda, un’amica di casa single con madre anziana e Leonardo, fidanzato di Nina.

Quattro identità fortemente marcate, con fisionomie ben precise, caratteri disegnati a tutto tondo con la scelta di dialoghi che delineano senza alcuna ambiguità (né complessità) le tipologie umane, in ciò coadiuvati da una recitazione ovviamente espressiva, trattandosi di una commedia. Ma non solo. Perché nella casa di Lucia la quotidianità, fatta di piccole o grandi sorprese, situazioni comiche, piccoli equivoci, screzi, cambi repentini d’umore, ansie contingenti o generazionali, sono i momenti che puntellano il quid della pièce, la situazione problematica, il nodo da sciogliere, che per l’appunto è la sofferenza per l’abbandono del padre, per il mutamento di una situazione di vita che da un equilibrio consolidato trapassa nella instabilità esistenziale e psichica. Sì, perché Lucia è in cura con gli psicofarmaci, è soggetta ad attacchi d’ansia, tanto da essere licenziata a causa della sua situazione.
Anche l’amica di famiglia Meda, presenza quasi fissa da quando Mauro (marito di Lucia) è andato via, si rivela un personaggio con fondo tragico (nel senso di antitetico e complementare a comico): non si è sposata – a differenza della sorella – e vive ancora con la madre anziana e malata (accudita da badante). La sua è la parte della donna dura, cinica, sarcastica, che spegne ogni buonismo o propositività con la battuta cattiva, con la parolaccia e la bestemmia messa lì a cercare l’effetto comico. Leonardo invece è una presenza discreta che mette in moto l’inizio del cambiamento esistenziale in Nina, e che rappresenta una promessa di riacquistata serenità per Lucia, la quale lo accetta di buon grado per amore della figlia. Nina infine, personaggio che l’autrice riserva per sé, è la ragazza entusiasta, giovane, piena di attese (speculare alla rassegnazione della madre e alla disillusione dell’amica), che si impegna ad imparare a suonare la chitarra e a cantare (con esiti, a prima vista, discutibili). Sceglie una canzone di tanti anni fa (Tropicana del Gruppo Italiano, successo dell’estate 1983), all’apparenza facile ma impegnativa sulla chitarra, evocativa della leggerezza e della felicità del passato (anche se, a leggere bene il testo, esprime quella spensierata incoscienza che accompagna la catastrofe).
Una storia in fondo reale, una situazione di vita con precisi riferimenti temporali (si arriva al Natale, passando per Santa Lucia), al presente di questi anni (papa Francesco alla tv), in una confezione, però, squisitamente teatrale. Confezione, appunto. Le scene di Ruben Esposito evocano una dimensione colorata e surreale, con nuances pastello che illuminano lo sfondo di toni caldi e rassicuranti, sfondo su cui pendono soffici nuvole di cotone. Una scenografia alla Michel Gondry, con luci che esaltano i colori degli arredi, le tinte dei costumi. Dove la regia interviene con un intelligente tocco teatrale. Gli attori sono sempre sul palco, a vista, e quando  non sono “in situazione” siedono di lato sui tavoli o sull’assito e fanno da servi di scena: portano oggetti agli attori che recitano, si sostituiscono a loro in alcune azioni (il rifiuto di Nina di suonare le canzoni del padre è reso con Leo che getta in aria gli spartiti), sono attivi nel mimare situazioni (Meda arriva a casa di Lucia su un carrello per pacchi spinto da Leo), fanno da rumoristi (suonano un campanello da tavolo quando qualcuno bussa alla porta). Gli oggetti anche perdono la loro funzione primaria e sono usati per essere segno di qualcos’altro, come nei classici giochi di finzione infantili (l’azione di montare la panna è fatta usando un cappello al posto di una vera scodella, in un primo tempo l’albero di natale che viene addobbato con le lucette è il suddetto carrello), sono semplicemente evocati (la parete della casa – ossia la “quarta parete” – su cui Nina invita Leo a lasciare uno scritto, le inferriate del giardino) o vezzosamente sostituiti dai loro nomi (un cd che Leo ha masterizzato per Nina è reso da due lettere di cartone, una “C” unita ad una “D”).
C’è sempre movimento sul palco, tra i gesti propri dei protagonisti “in scena” e quelli degli attori “fuori scena”, per un senso dell’agire che è ormai prassi consolidata del teatro contemporaneo. Ma questa qualità squisitamente registica, queste forme di rappresentazione intelligenti, briose (anche al rischio di apparire semplicemente fini a se stesse), sono al servizio di una scrittura che non riesce a trovare un equilibrio tra le istanze da commedia e quelle più serie, drammatiche. Le situazioni e i dialoghi di Lamponi richiamano fortemente l’attualità (e ben ci stanno le musiche a base di pop e folk-rock, tra le quali Perfect Day di Lou Reed, La mia vita senza te dei Tre Allegri Ragazzi Morti e Asleep degli Smiths) e un registro narrativo realistico, specialmente nei momenti drammatici, venendo così a produrre uno scarto tra l’inventiva giocosità degli espedienti scenici delle parti più leggere e la loro assenza nelle situazioni in cui si toccano le corde degli spettatori, adottando una narrazione classicamente di parola, tradizionale, consuetudinaria.
Perché quando si è seri, sembra dire Tropicana, non è più tempo di giocare, non è più tempo per il teatro.

 

 

 

Tropicana
di Irene Lamponi
regia Andrea Collavino
con Elena Callegari, Cristina Cavalli, Irene Lamponi e Marco Rizzo
scene Ruben Esposito
produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse
creazione drammaturgica realizzata con il sostegno di CRISI – Teatro Valle Occupato
foto di scena Donato Acquaro
lingua italiano
durata 1 h 10’
Monza, Teatro Binario 7, 6 novembre 2016
in scena 5 e 6 novembre 2016

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