“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 14 June 2016 00:00

Diaframma, "Siberia": un flusso miliare della coscienza

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Era il 1984, c’era l’Unione sovietica. C’erano il punk, il dark e la new wave, veri e propri stili estetici ed espressivi, e forme di vita, non soltanto meri generi musicali. A Firenze c’erano, oltre a Litfiba e Neon, i Diaframma, che già avevano pubblicato nel 1982 il singolo Pioggia (b-side era Illusione ottica) e che suonavano (e bene) i pezzi dei Joy Division.
I Diaframma ci sono ancora. E sono in forma smagliante.

Il tempo non li ha corrosi, né corrotti, né li ha cambiati, né li ha resi anacronistici o cloni di se stessi. Al contrario, i Diaframma sono una garanzia; una garanzia di persistenza, una certezza di bellezza.
Quasi come a rispondere ad un’invocazione interiore, nel Bioparco bolognese giunge presto la pioggia, che diviene a tratti intensa. Ma ci sta, e ci sta bene: la pioggia è simbolo dark per eccellenza. Noi non ci scomponiamo: vibriamo con i(l) Diaframma e con l’acqua che scende fitta e ci trafigge il cuore, resuscitandolo, tra le note e gli accordi ipnotici di basso e chitarre, la certezza solida e morbida della batteria, e la voce chiara, sincera, giovane, malinconica, lucida di Federico.
La pioggia poi arretra, infine scompare, per lasciare lo spazio intero al popolo dei Diaframma che salta e onora il gruppo cantando e dondolandosi come in ipnosi, quasi sempre in maniera composta, quasi minimalista. Il tempo atmosferico variabile, battente e malinconico, mi ha accompagnato in questa danza, durata un’ora e mezza, che ha risvegliato l’anima, l’ha rimessa in movimento, mi ha fatto sentire forte la sensazione che con le parole e la musica si possono forse ancora muovere valori e smuovere sistemi, e che l’inverno (Gennaio) è bello e importante, perché senza di esso, senza il freddo – interno – non gusteremmo la tensione positiva del sentimento e non potremmo giungere all’armonia.
Quell’album di esordio, Siberia, così potente, vibrante, dalla forza assoluta, è ancora integro, “usabile”; è come un donatore di sangue, regala un elemento raro e vitale: emozioni e musica contorta, brillante, dannata, sottile, salvifica. Musica con la maiuscola, insomma, che oggi si fatica a trovare, nella mediocrità generale del panorama della produzione italiana (per restare a noi) – nel pop, nel rock – sia nei testi – spesso banali, semplicistici, privi di mordente, o inseguenti solo un’arida, basica rima baciata – sia nella ripetitività ritmica e melodica che niente di autentico apportano, e che quindi quasi nulla in generale hanno da aggiungere al vissuto interiore.
Invece Federico Fiumani è poesia, poesia concreta, materica, è chitarra battente e arrampicante; il gruppo è un organismo vivente che pulsa e riscalda il pubblico. Il canto dell’amore è esistenza dell’oggi, nella sensibilità decadente e passionale del romanticismo intellettuale dark-wave del Fiumani:
“Amore perduto, amore trovato / Amore perfetto, comunque scordato / Il domani non conta, viviamolo oggi”.
La gentile sofferenza esistenziale di Amsterdam è ancora attualissima, e può essere letta sia come storia intima di profondo vissuto e conflitto interiore, sia come storia di obiettivo orrore perpetrato ai danni di deboli, dolenti esseri umani, in questo preciso momento storico:
“Nella mia mente / Ogni cosa sopravvive in silenzio / Sento l’attrito / Di grida esiliate dal mondo”.
E ancora, la frase mitica, scolpita nella carne: “Dove il giorno ferito impazziva di luce”.
Siberia la band fiorentina l’ha suonato tutto, insieme ad altri successi indimenticabili, tra cui vale la pena ricordare Gennaio, Io sto con te (ma amo un’altra), Verde, Labbra blu, In perfetta solitudine, Fiore non sentirti sola, Diamante grezzo.
E Fiumani ci regala anche la chicca See No Evil del 1977, dei newyorkesi Television, bravissimi, originali, graditi intellettualoidi che con le suggestioni punk hanno giocato in maniera superbamente pop.
Un concerto splendido – come gli altri dei Diaframma visti negli anni, peraltro – che si cala alla perfezione in un giugno uggioso di un anno problematico di un periodo in fondo drammatico. Un messaggio intatto di resistenza sognatrice e combattente, che vuole coniugare la sensibilità interiore con il vissuto quotidiano, e che può perciò contribuire a scuotere le coscienze sopite o imbambolate o troppo piene di (spesso finti) sé.
Così è la musica che vorrei sempre sentire e vedere camminare.
Grazie, Diaframma, per il viaggio nel tempo non lineare che dagli anni ’80 mi ha portato oltre l’oggi, con visioni di poesia, vicinanza e comprensione dell’altro, e presente che è – appunto – presenza, ed è costruzione, di senso del sé, di futuro ancora possibile:
“Fiore non sentirti perso, / Credi che per me è diverso / Ama questo letto caldo / E la gioia di ogni giorno / Che si dà al tuo sguardo. / Fiore non sentirti perso / Ama quello che è diverso / E te”.

 

 

 

 

Bio Parco 2016
Diafamma
Performing Siberia, Tour 2016
chitarra e voce
Federico Fiumani
basso
Luca Cantasano
batteria
Lorenzo Moretto
chitarra
Edoardo Daidone
Bologna, Parco del Cavaticcio, 9 giugno 2016

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