“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 15 March 2013 01:00

Ritratto di Anna Maria Ortese

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La Ortese, ovvero la visionarietà dolorosa di una scrittrice che amava definirsi "illuminista" e non lo era, perché detestava il sentimentalismo della letteratura italiana del dopoguerra. Prima di parlare delle sue opere, una lettera apre al lettore l'idea di come era fatta la donna. Un piccolo brano:
“Caro Pasquale,
ieri mattina provai una delle più belle ore che conosco da quando sono a Milano. In portineria c'era una grossa lettera, tutta piena di disegni e di firme, una lettera dei miei amici di Monte di Dio, una lettera che stavo aspettando come nel deserto, come nel deserto si aspettano i soccorsi per non morire. [...] Che debbo dirti! Niente riesce a farmi dimenticare quella piccola isola di Monte di Dio, nella steppa della città: le nostre conversazioni, la lampada sulla macchina da scrivere, l'arrivo di Gianni, i suoi 'uffa', l'arrivo di Pasquale, di Chica, di Ennio, le conversazioni col Pontefice (digli che mi perdoni se insisto in questo ricordo). [...] Caro, molto caro Pasquale. Mille volte durante il giorno, desidero violentemente vedere, vedere qualcuno dei miei amici-fratelli. Non li nomino più. Tu li sai”. (Milano, 16-19-20 Agosto, 1948)

La Ortese aveva lasciato Napoli, la sua città, dopo che aveva scritto Il mare non bagna Napoli, perché si scagliava contro l'intellighenzia partenopea. Visse da nomade, poverissima, guadagnando pochi soldi nelle collaborazioni per riviste letterarie e poco altro. Era mantenuta dalla sorella che lavorava alle Poste Italiane  e le mandava i soldi.
Le camere della Ortese erano scantinati, piccoli appartamenti pieni di umidità. Nella sue lettere si lamentava continuamente di come la vita e la salute le fossero state nemiche, rendendola piena di dolori articolari. Fumava tantissimo, più di due pacchetti al giorno. Alla domanda del perché di tante sigarette lei rispondeva: "Fumare fa  male, la vita fa peggio".
I suoi libri sono tanti, ma lei prese a guadagnare da "anzianissima" (nata nel 1914) quando Roberto Calasso si accorse di lei e incominciò a pubblicarla per i tipi Adelphi.
Quando arrivò l'indipendenza economica, l'Ortese, con la sorella, si trasferì a Rapallo, dove lei per la prima volta sembrava "quasi felice". I suoi libri più importanti sono L'iguana, uscito per la prima volta nel 1965 (Vallecchi), poi per Adelphi nel 1986, Il cardillo addolorato (Adelphi, 1993) e Alonso e i visionari (Adelphi, 1996). L'Iguana è il suo capolavoro. Affascinante ed enigmatico racconto, che parla di un'iguana umanizzata che si lamenta del dolore del vivere, della bellezza degli umili, dei deboli, degli animali di ogni tipo.
In un suo piccolo breviario uscito nel 1997 dal titolo Corpo Celeste, c'è la filosofia di una donna che non riusciva a sopportare l'arroganza della realtà, il potere del denaro, il crudele comportamento degli umani con gli animali e traggo dal libretto questa sua definizione: "Restituire al reale, nostro paese compreso, il significato di appartenenza a un'altra realtà, più vasta e inconoscibile, con la quale sembrerebbe necessario, per rinnovarsi, confrontarsi ogni tanto".
La vita a Rapallo scorreva lenta, teniamo presente che la scrittrice era nata nel 1914, come ho già scritto. A me serviva un suo commento sullo scrittore Massimo Bompetelli, per la mia tesi.
La chiamai, mi rispose Maria la sorella, lei venne al telefono affaticata e con la tosse. Mi disse che non aveva voglia di ricordare anni così lontani, mi chiese perché facevo una tesi così inutile, mi chiese se le mandavo una cartolina e lei ne avrebbe spedita una a me. Faceva collezione di cartoline.
Il tutto durò cinque minuti, la cartolina la spedii e lei pure. Dietro vi era scritto: "Non tratti male gli animali. Auguri di ogni bene". 
Due anni prima di morire, Anna Maria Ortese rilasciò a Goffredo Fofi – per Linea d’ombra (1996) – alcune dichiarazioni, molto belle. Ne riporto un pezzo: "I libri, la scrittura, l'invenzione sono ricordi e malattie dell'intimo. I libri sono ferite dell'anima. L’ostrica costruisce perle vere, io forse no, le mie sono forse perle false. Però questo so fare. La perla è la malattia dell'ostrica. Scrivere è una malattia; mi costano molto queste cose luccicanti che cerco di costruire. Nei miei libri ci sono proposte che appaiono ineluttabili, proposte che il mondo rifiuta. Ci vorrebbe rinnovamento, nel mondo, non rivoluzione, che alla fine non cambia niente. L'importante è il rinnovamento."
Anna Maria Ortese ci ha spiegato che scrivere è fatica e che leggere è come tornare a casa.

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