“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 15 March 2016 00:00

Alcesti, l'abbandono tragico

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Nella rassegna dedicata alla danza contemporanea, appena svoltasi al Teatro Nuovo ed alla Sala Assoli di Napoli, ad iniziare il lungo weekend tersicoreo è stata la Compagnia di teatro-danza torinese Zerogrammi con uno spettacolo ideato, diretto e coreografato da Stefano Mazzotta. La compagnia, diretta dallo stesso Mazzotta e da Emanuele Sciannamea, ha ripreso gli insegnamenti del teatro-danza bauschiano per ripromettersi di cercare, dall’interno, il significato del gesto, della sensazione, dell’emozione in maniera intima ed “aperta”.

La tematica di Alcesti, eroina della omonima tragedia euripidea, è stata presa d’esempio, nello spettacolo presentato al pubblico napoletano dal titolo Alcesti (o del suono dell’addio), per parlare di uno dei tòpos della letteratura di tutti tempi, ovvero l’addio tra due innamorati. La lontananza, il tempo sospeso, l’indecisione, la tragicità sono sensazioni che i corpi dei danzatori cercano di incarnare attraverso azioni, gesti, voci, respiri e movimenti: molti i passaggi di scena, vari e complessi i disegni spaziali, molteplici le azioni in contemporanea sul palco. La donna è rappresentata nell’atto di pesantezza che si sente nel momento dell’abbandono, del passaggio dall’aldiquà all’aldilà – tema centrale dell’Alcesti mitica – in cui l’atto di morire al posto del marito Admeto, per scontare una pena nei confronti di Apollo, diventa un gesto universale, un gesto di libertà. Il coreografo, della storia del mito, ha deciso di cogliere l’aspetto del “trapasso”, ovvero la pesantezza del gesto, la difficoltà emotiva, la riflessione sulla soglia della porta dell’aldilà.
Una porta, infatti, è l’oggetto principale della scenografia e della drammaturgia. Gli interpreti passano e ripassano costantemente, si trovano e si ritrovano, si cercano in abbracci strazianti, si guardano andare via, si fermano a pensare. La protagonista, Alcesti, entra vestita di nero ed insieme alla sua presenza ed alle sue parole entrano tutti gli emblemi del sacrificio umano, uomini e donne che cercano di liberarsi dalla pesantezza del vivere. Alcesti pronuncia le parole delle sue azioni, dei suoi desideri e delle sue ossessioni per poi acquietarsi e lasciare spazio alle immagini dei suoi ricordi. Il ricordo è il suono del silenzio, il suono dell’abbandono, di qualcosa che è stato e non c’è più ma che continua a vivere nella memoria, s’imprime senza raziocinio nel corpo. Ricordo, sacrificio e silenzio hanno spazio nelle dinamiche coreografiche in cui gesti e materiale coreografico si alternano, forse senza troppa soluzione di continuità. L’addio e l’abbandono sono strazianti, sono sacrificio, sono pesantezza dell’attimo che va vissuto, seppur nel dolore. La ricerca della sensazione di un tempo lungo ed il focus sul gesto si sono rivelati chiari e risolutivi a scapito, però, di un marchio originale della coreografia. L’uso delle pause e la chiarezza del messaggio profondo vanno delineati meglio, ma il lavoro si rivela molto autentico ed il livello dei danzatori è molto alto. Gli uomini, come le donne, portano da un punto all’altro dello spazio il peso della pietra, simbolo del sacrificio, di un eterno ritorno, di una continua caduta e del suo complementare rialzo, come ben specificato nel mito di Sisifo, un altro dei grandi miti che insegna il significato profondo della vita.
I miti sono come un repertorio manualistico del vivere ed Alcesti è, tra le tragedie, l’unica di argomento mitologico a lieto fine: Alcesti, infatti, sarà riportata nel mondo dei vivi da Eracle e, dopo un’autentica prova di fedeltà da parte del marito, ritorna nel suo letto coniugale. Nello spettacolo di Mazzotta, invece, la donna è prigioniera dello spazio del limen, del confine, come se quel pizzico in meno di tragicità che porta con sé la tragedia originale, adesso venisse ridistribuito.
Il tragico è quello che interessa al coreografo, il non detto, il suono del silenzio ed il bel sentimento della sensazione del sacrificio. Ripetizione e gestualità sono le immagini-guida che i corpi riescono a creare, con un lieve esempio di introspezione psicologica enigmatica. Il lavoro è una possibile ricerca per trovare il modo di dire nel non detto, le pause ed i silenzi servono a calibrare delle parti in cui prolifico e continuato è il movimento. Le scene sono sempre piene, i danzatori sono spesso tutti sul palco, si rincorrono e si sovrappongono, si raggiungono e si aggiungono in fissati punti coreografati in cui frasi create definiscono spazi chiari nella scena. La donna in nero è quella che ha già sofferto, che ha già vissuto, che, forse, è anche già tornata dal mondo dell’Ade, è Alcesti, sebbene oramai Alcesti sia solo un pretesto per parlare di tutte le donne abbandonate, e costrette alla “nebbia”, radicate al silenzio. La tendenza della donna è quella di fare tutto da sola, di non chiedere e di dimostrare, andando oltre se stessa.

 

 

 

 

Quelli che la Danza 2016
Alcesti (o del suono dell’addio)
progetto, regia e coreografie Stefano Mazzotta
collaborazione all'allestimento Chiara Guglielmi
con Chiara Michelini, Chiara Guglielmi, Stefano Roveda, Tommaso Serratore, Giuseppe Muscarello, Simone Zambelli, Arabella Scalisi, Miriam Cinieri, Roberta De Rosa, Gabriel Beddoes
costumi e progetto scenografico Stefano Mazzotta
scenografia Fulvio Casacci
produzione Zerogrammi
durata 1h
Napoli, Teatro Nuovo, 11 marzo 2016
in scena 11 marzo 2016 (data unica)

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