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Friday, 29 January 2016 00:00

Cronaca di una sorte annunciata

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Mi svegliai. Nausea e dolori dappertutto, come un animale. Poi ho capito cos’era: la musica che saliva dal pavimento era il nostro vecchio Ludovico Van e la temuta Nona.
“Aprite la porta! Fermatelo! Fermatelo! Basta!"
E d’un tratto capii cosa dovevo fare, quel che volevo fare, farmi fuori, renderla, orbitarmi per sempre fuori da questo mondo sporco e crudele. Un attimo di dolore magari, ma poi il sonno, per sempre, per sempre, per sempre.

 (Alex DeLarge – A Clockwork Orange – Stanley Kubrick)
 

Il giorno venti del mese di gennaio dell’anno corrente, mi ritrovo in una landa desolata nel casertano, a perpetrare il non fortunato inizio settimana che aveva esordito, impietoso, con la sconfitta in Coppa Italia della mia squadra del cuore. Il fatto è che la mia genitrice aveva espresso, tempo addietro, il desiderio di assistere dal vivo alle prodezze vocali di quel trio di ragazzini terribili sfornati dal genio televisivo della casalinga più amata d’Italia, nota all’anagrafe sotto il nome di Clerici Antonella.

Il Volo, la creatura mitologica a tre teste creata ad hoc durante il noto talent show in onda qualche tempo fa sulla rete ammiraglia dell’emittente pubblica nazionale, e che tanto (inspiegabile) successo di ascolti ha raccolto da quel momento in poi, oggi si esibisce dal vivo al Palamaggiò. E così, ora mi ritrovo qui, nel parcheggio affollato, a fare da accompagnatore non pagante – e ci mancherebbe pure – mentre guadagno l’entrata del palazzetto. Un venditore abusivo tenta di convincermi all’acquisto di una fascia da annodare alla testa, garantendo imminenti coreografie organizzate in onore degli artisti. Declino gentilmente l’offerta, professandomi fan di Alessandra Amoroso, e mi avvio verso i cancelli d’ingresso.
Durante il breve tragitto mi guardo intorno, faccio una rapida stima dell’età media degli invitati all’imperdibile evento, scorgo capigliature imbiancate e andature claudicanti. Appoggiato alla parete antistante i bagni pubblici affollati da vesciche non più elastiche, vedo fare capolino da un setto maiolicato un simpatico signore con una valigetta di plastica sbrilluccicante di led intermittenti, dalla quale si dipartono due sottili tubi che terminano la loro corsa traslucida nelle narici assetate d’ossigeno. Vengo così improvvisamente assalito dal dubbio atroce di aver sbagliato strada e di essere capitato ad un flash mob dell’A.S.L. Caserta 2, oppure, in alternativa, ad un raduno di invalidi di guerra. Poi guardo più in su, noto il banchetto con i gadget ufficiali del gruppo, mi tranquillizzo, schivo con mossa fulminea il nonnetto gassato, e mi dirigo verso l’entrata della sala.
Nell’attesa dell’inizio, libero dalla carta stagnola il panino al prosciutto che la saggezza materna aveva confezionato a casa e lo addento timidamente. Nello stesso istante, la mia vicina di posto apre una borsa termica dalla quale si propagano effluvi di polpette al ragù ed improvvisamente vengo catapultato nei ricordi delle mie infantili estati a Baia Domizia – già psicologicamente stremato dal freddo pungente degli ultimi giorni – quando in spiaggia, sotto gli ombrelloni a fiori, i bagnanti improvvisavano succulenti e copiosi banchetti.
Un jingle di R.T.L. 102.5 ci ricorda che il concerto sta per iniziare, sradicandomi impietosamente alle mie fantasie marittime. Dal centro di quello che solitamente è lo spazio riservato alle attività sportive, osservo le tribune gremite, leggo gli striscioni variegati di vernice spray che giurano amore eterno: “Noi per voi ci saremo, noi per voi lotteremo”. Guardo oltre le ringhiere di protezione e mi rendo conto di dover rettificare immediatamente il calcolo medio dell’età della platea, composta in gran parte anche di giovani e giovanissimi.
Chi sono? Dove mi trovo? Perché ho interrotto gli ansiolitici?
Le luci si spengono accompagnate dal boato di fans ululanti attempata passione, tre sagome nere si stagliano sullo sfondo illuminato dei vidiwall montati sul palco; poi, subito, la luce accecante che ne svela i tratti e il delirio della folla: il concerto ha inizio.
Piero, Ignazio e Gianluca, i tre “tenorini”, soprannome ruffiano coniato dagli addetti ai lavori, si esibiscono insieme o singolarmente (talvolta in duo), seguendo una scaletta che prevede l’esecuzione di brani originali, (a dire il vero un po’ pochini rapportati agli anni di attività) e di classici della canzone italiana e napoletana accompagnati da applausi, urla, e non rare standing ovation da parte di chi, fino a qualche istante prima, sembrava fosse appena stato dimesso dal C.T.O. Penso a un miracolo, ad un intervento divino, anche se, in realtà, ho come la sensazione di trovarmi, mio malgrado, a partecipare ad un incontro di una di quelle congregazioni religiose in cui il reverendo, improvvisamente, ordina al povero paraplegico di alzarsi dalla sedia, o allo sfortunato non vedente di leggere un passo dal Vangelo; e mi convinco che tutto ciò ben presto ci porterà ad emigrare in blocco nella Guyana Francese a coltivare barbabietole, ad allevare pecore e maiali, e, infine, a ingerire succulenti cocktail al cianuro. Ipotesi che, in questo istante, non mi sembra neanche così sgradevole.
Momenti di ilarità debordante generata da Ignazio e Piero, che, con sketch divertentissimi e di evidente originalità, intrattengono la folla tra un pezzo e l’altro, con Gianluca, il bel tenebroso, che dall’alto del suo metro e sessanta, resta in disparte a dispensare sguardi ammalianti, sorrisi ammiccanti e movimenti sinuosi che promettono faville. E poi, di nuovo, insieme a cantare, Io che non vivo, Canzone per te, Il mondo, Un amore così grande, ‘O paese d’ 'o sole, con il solito, inusitato vigore diaframmatico: e giù, di nuovo, applausi, e urla e promesse d’amore eterno.
È troppo! Quale altro affronto devono subire i miei miti musicali! Tiro fuori dal mio portafogli la fotografia autografata di Valerio Scanu che porto sempre con me: “Come osano! Come osano costoro! Come possono suscitare tali strepitii di cuori, loro che non hanno la metà del tuo talento e del tuo impeccabile gusto per le acconciature!”.
Da tali vaneggiamenti vengo destato dalla mia vicina di posto che, al termine di L’amore si muove, guizza in piedi dalla sedia rovesciandomi addosso gli avanzi della lauta cena consumata pocanzi. Faccio per farle notare la manovra maldestra, ma la compita signora è in preda a convulsioni inarrestabili per il gran finale che sta per consumarsi, il momento che tutti aspettavano, l’apoteosi di quel Grande amore – canzone vincitrice dell’ultimo Festival di Sanremo – che viene cantata in coro, a squarciagola, come se quello fosse, per l’intera platea, l’ultimo giorno di vita. Il che, a dire il vero, per molti dei presenti non era neanche così improbabile. Saluti finali, selfie, e bagno di folla che Piero concede magnanimamente al suo nutrito fan club stazionante nelle prime file, a coronare una serata da ricordare a lungo.
Il concerto finisce qui. La folla comincia a dileguarsi. Ascolto impotente gli entusiasmi ed il giubilo mal trattenuto. Una ragazzina di tredici anni al massimo, grida al telefono la sua gioia per essere riuscita a sfiorare con un dito un arto superiore di Gianluca, e giura di non lavarselo mai più. Districandomi a fatica dalla calca, imbocco finalmente l’uscita, accolto dal gelo di gennaio, e sui passi che mi portano alla macchina, fantastico sul nome della band, su chi l’ha ideato e sul perché di quella scelta. E ripenso ad Alex, al suo dolore, alle malefatte e alla promessa di redenzione, a quella stanza chiusa, a quella musica incessante e a quel Volo verso la libertà.

 

 

 

 

Il Volo
Il Volo – Live nei Palasport 2016
Piero Barone
Ignazio Boschetto
Gianluca Ginoble
Castel Morrone (CE), Palamaggiò, 20 gennaio 2016

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