“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 22 October 2015 00:00

Un autunno da non dimenticare

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Il pubblico giunto per assistere al concerto che Umberto Maria Giardini ha riservato per la data napoletana comincia a sistemarsi ordinatamente in piccoli gruppi d’ascolto, accomodandosi per terra, davanti al palco allestito nella sala concerti del CellarTheory Live. Una sorta di spontanea creazione d’ambiente che mostra quanto il sèguito che negli anni il musicista marchigiano ha saputo conquistarsi col suo rock raffinato, si definisca in una sorta di adoratorio, di porto franco della musica, di breve riparo sicuro nel quale rifugiarsi dagli orrori di buona parte della produzione italiana mainstream, in particolar modo dalla sua malata deriva usa e getta rappresentata dai talent.

L’inizio strumentale preannuncia senza giri di corde il tenore di ciò che ascolteremo durante questa serata, e rappresenta un po’ in sintesi le caratteristiche predominanti di questa nuova proposta musicale che accantona, almeno formalmente, le esperienze pregresse del progetto Moltheni, ma che comunque rimane fortemente legata a certe sonorità che la rendono perfettamente riconoscibile. In successione Giardini ci conduce per mano alla scoperta del suo ultimo lavoro, Protestantesima, e alla riscoperta dei suoi precedenti, non disdegnando, comunque, qualche incursione nella sua passata esperienza pseudonima.  Il nuovo approccio è probabilmente più “rock”, teso maggiormente ad una ricerca ancor più spasmodica sui suoni, sulla perfetta amalgama tra gli strumenti e sul loro dialogo con le parti vocali; voce che diventa anch’essa strumento, qui ancor più che in passato, senza per questo perdere la sua caratteristica tessitura, con quella sua personale tendenza a diventare quasi monotòna in conclusione di battuta. Particolarità, queste, che se ad un primo ascolto possono risultare di non facile comprensione, si rivelano invece fonte di forte presa sul pubblico. Quella di Giardini, infatti, non è musica che si ascolta distrattamente mentre si è impegnati in altre faccende, è pura partecipazione emotiva, ed è per questo che trova il suo habitat naturale nel live, in un territorio, cioè, che riesce ad esaltarne l’impatto su chi ascolta. E lo fa, come sempre, attraverso la ricerca di strutture di base non convenzionali, ritmiche mai banali e con frequenti variazioni all’interno dello stesso pezzo, armonie e melodie poco prevedibili che sovente sfociano in quei finali in cui sequenze di accordi in riverbero si ripetono ossessivamente in un continuo crescendo sonoro che lascia spiazzati. Ad ogni conclusione di brano si fatica a riprendersi e a tornare in sé, quasi tramortiti e sorpresi, ora dall’energia delle distorsioni e delle percussioni martellanti, ora dalla dolcezza e delicatezza di un arpeggio in delay. Umberto dal palco pronuncia poche parole col garbo e la delicatezza che lo contraddistinguono da sempre, si scusa per piccoli abbassamenti di voce, e riprende a cantare più forte di prima: Tutto è Anticristo, Protestantesima, Il vaso di Pandora, Il trionfo dei tuoi occhi. Peccato solo che all’appello siano mancati pezzi che avrebbe fatto piacere ascoltare (Il sentimento del tempo, Genesi e mail, C’è chi ottiene e chi pretende), e che ci si è illusi potessero essere destinati ad un bis che, ahimè, non c’è stato. Poco male. Assistere ad un concerto di Umberto Maria Giardini rimane un evento da non mancare, indipendentemente dalla scaletta in programma, data la qualità della materia prima che ha costruito in anni di lavoro.
Da qualche parte ho letto che la musica di Giardini non merita di essere mainstream. Non immagino cosa possa pensarne l’interessato, ma in qualche modo credo di essere intimamente d’accordo con questa affermazione. Non è questione di snobismo, come qualcuno ha avuto modo di accusare più volte, ma convinzione che certa musica vada protetta e non data in pasto ai network radiofonici. Di spazio per adoratori di babytenori e rapper falliti ce n’è anche troppo. Noi altri, semplicemente, per quanto piccolo, prendiamoci il nostro.

 

 

 

 

 

Umberto Maria Giardini – Tour 2015
voce e chitarre
Umberto Maria Giardini
chitarre e pedali Marco Maracas
basso e tastiere Michele Zanni
percussioni Giulio Martinelli
Napoli, CellarTheory Live, 16 ottobre 2015

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