“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 25 February 2015 00:00

Confini mentali

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Due vite riunite nello squallido sottoscala di una città del Nord la notte di Capodanno si raccontano da “emigranti”. Entrambi provengono dallo stesso paesino del Sud Italia, lo si afferra dal loro dialetto, l’uno più “paesanotto”, l’altro più “intellettualoide”, entrambi condividono lo stesso destino, un destino che sembrano accettare passivamente, almeno all’inizio. Questa è la cornice di Emigranti di Mrozek con la regia di Lucio Allocca, in scena al Théâtre De Poche lo scorso weekend. Il testo dell’autore polacco fu scritto nel 1974 ed è realista, compiuto e poetico, è uno scorcio, un quadro con i suoi confini definiti.

Le personalità dei protagonisti in scena affiorano a poco a poco tra racconti, liti, rumori dello sciacquone di una festa al piano di “sopra”, musica da discoteca, mentre i due sono confinati nel “basso“ a mettere in comune la loro vita. Vivono, infatti, nel sottoscala di una metropoli: l’uno è un operaio precario che ha deciso di abbandonare moglie e figli alla ricerca di una maggiore affermazione di sé e si perde, invece, nella vita spensierata ma solitaria della metropoli, l’altro, invece, un intellettuale, scrittore e musicista che ha scelto di isolarsi per dedicarsi alle sue attività incompatibili con la mentalità chiusa di paese. Il testo comincia con il racconto di una mattinata passata in stazione, luogo dove poter relazionarsi a quello che succede nel mondo e di cui fa reportage l’operaio, descrivendo l’incontro amoroso con una donna nella toilette della stazione: all’inizio appare solo in scena, poi nella stanza a fianco, costruita con una scenografia volutamente squallida, appare anche il secondo personaggio intento a suonare la sua tastiera.
Dopo un litigio tragicomico, i due iniziano a raccontarsi le loro vite ed il motivo per cui si sono posti in quella condizione di “limite”, di confine. Certo, sono voluti scappare dalla provincia per scegliere la metropoli, àncora di salvezza per la loro realizzazione personale, ma quello che appare nei loro discorsi, in un momento di confessione e di augurio di inizio anno, è il sentirsi schiavi di se stessi, il sentirsi “perseguitati” dalla “legge”, dalle convenzioni sociali.
L’intellettuale, dalla stessa condizione, studia a scopi artistici la vita del suo coinquilino, la sua condizione mentale, con l’intento di scrivere un musical sulla condizione di schiavitù ed istiga, così, con del buon liquore il compagno di sventure ad arrivare al riconoscimento della propria condizione da disperato.
Ma entrambi, in realtà, decidono di “scoprirsi”, fanno sgorgare sofferenza, illusioni, delusioni ed un pizzico di speranza. I temi fondanti del testo di Mrozek sono quelli della lontananza dalla propria terra e dalle proprie radici, la speranza, il sogno di un ritorno “trionfante”, ma quello che si percepisce dalla messa in scena è l’importanza del dialogo e del riconoscersi nell’altro come davanti allo specchio. i due, infatti, appaiono una coppia vincente, le loro parole permettono di chiarire le loro vite, di sentirsi liberi dal confinamento e soprattutto dagli argini che l’uomo stesso si pone. Si specchiano attraverso le parole per migliorarsi, per valorizzare il contributo umano e sociale alla vita.
Il tratto ironico e comico riesce a mantenere il testo su una tensione costante, tanto che, quando si spengono le luci sul finale, (unico momento drammatico) il pubblico non si è affatto reso conto che lo spettacolo è concluso. Le parole dell’intellettuale, prima che egli scoppi in lacrime, affermano la dura “legge” dell’esistenza, ovvero la scelta tra la legge (confinamento) o la libertà.
Il lavoro sul testo fatto dal regista Lucio Allocca non vuole essere un adattamento ma il mantenimento della fedeltà all’autore polacco ed è interessante ed attuale, tocca temi radicati tra noi meridionali, temi che si stanno radicando tra i giovani. Il continuo nomadismo, la ricerca di un posto migliore dove vivere, il vedersi costretti ad andare via dalla propria terra sono “mozioni” che spingono l’uomo meridionale ad emigrare come fenomeno storico e sociale. Ma fermarsi a riflettere sulla realtà o sulla soggettività di una condizione di sradicamento e sconfinamento permetterebbe di capire il motivo reale di alcune fughe, permetterebbe di guardarsi dentro e superare limiti e confini puramente mentali.
Lo spazio, infatti, che condividono i due personaggi è uno spazio senza confini, senza porte e finestre, squallore emblema di un mondo basso, da sottoscala della vita: luogo e circostanza  unica per guardare in faccia la realtà. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Emigranti
di
Slawomir Mrozek
regia Lucio Allocca
con Andrea Avagliano, Fulvio Sacco
scene Alessandro Mauro
costumi Anna Verde
musiche e suoni M° Clelia Vitaliano, Alessandro Del Sole
assistente alla regia Gianmaria Fiorillo
foto di scena Emilia Sagitto
lingua italiano
durata 1h 10’
Napoli, Théâtre De Poche, 22 febbraio 2015
in scena dal 20 al 22 febbraio 2015

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