“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 28 December 2014 00:00

Magnetismo ed empatia: Radiodervish live

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La chiamano world music; è quella che fonde esperienze e sonorità geograficamente distanti; è quella, fra gli altri, dei Radiodervish, band formatasi dall’incontro di uomini e culture e che porta avanti da ormai un ventennio quest’opera di contaminazione, traducendola in una cifra stilistica ormai unica e riconoscibile.

Nabil Salameh e Michele Lobaccaro, i due uomini che – al tempo ragazzi – s’incontrarono nella Bari dei primi anni Ottanta dando vita al nucleo originario dei Radiodervish (all’epoca Al-Darawish), si ritrovano sul palco del Teatro Forma per un concerto intervista, accompagnati dall’ormai immancabile Alessandro Pipino alle tastiere; si ritrovano (e li ritroviamo) per raccontare con le parole la propria musica, la propria vita e, più ancora, per lasciare ancora una volta parlare per loro la musica, le loro canzoni, compiendo un piccolo viaggio, per blocchi, nel proprio percorso artistico. Sul palco con loro, seduta da un lato, Anna Puricella, giornalista che ne accompagnerà il racconto. Racconto dal quale scopriamo i dettagli dell’incontro che nel 1983 vide un giovane di origini palestinesi, giunto a Bari per studiare ingegneria, incontrare un ancor più giovane studente liceale che poi avrebbe fatto filosofia: Nabil e Michele, storia di un sodalizio umano e professionale che ha prodotto alcune delle canzoni più belle che ci sia stato dato di ascoltare a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio.
Ma, prima ancora che fossero le loro parole a dettagliare racconto, è la loro musica a parlare: l’inizio è soft, con brani tratti dal loro ultimo lavoro discografico, Human, disco che sembra possedere, più raffinati e delicati, gli stilemi della produzione precedente, ma disco col quale, è evidente, il pubblico non possiede ancora la medesima dimestichezza che ha con i brani che ha già imparato a conoscere ed amare, quella dimestichezza che ti porta a cantare sulle note e sulla voce di Nabil inventando parole che somiglino a quelle che lui articola nella propria lingua madre, l’arabo; infatti è quando poi Nabil intona l'ormai classica Centro del Mundo, terzo brano in scaletta, che tra palco e platea s’innesca un meccanismo magico, quel magnetismo empatico che promana dalla voce del cantante palestinese: raggiunge e rapisce; da quel momento in poi, il concerto diventa un crescendo, in cui si inframmezzano brandelli memoriali di racconto parlato, momenti di confidenza da palco, momenti in cui, ad esempio, lo stesso Nabil, dichiarando il proprio amore per i Beatles, ne accenna un brano (Till There Was You) a cappella. È da Centro del Mundo in poi che scocca la scintilla e che comincia davvero “lo strano viaggio della mente che ci ha portato fino a qui”; cullati dalla voce e dalle note, iniziamo davvero quell’itinerario che ci indirizzerà verso “orizzonti siderali” (e, guarda caso, significativamente, Taci, il nemico ti ascolta sarà l’ultimo brano dell’ultimo bis).
Incontro di uomini e culture, si diceva; connubio di voci e strumenti, anche; il tutto al servizio di un’idea, che è bisogno e desiderio profondo, che si trasfonde in temi e testi, che viaggiano lungo la traccia del plurilinguismo, a sottolineare come culture distanti possano rappresentare occasione d’arricchimento e non fomite di scontro. Arabo, italiano, inglese, francese, spagnolo… tante lingue, una sola voce, una voce che reclama pace fra gli uomini e fra i popoli, una voce che si dispiega delicata ed inconfondibile, magica e magnetica. Tante lingue, un solo afflato, uno solo e tanti messaggi, che creano un filo rosso tra le vite spese oggi per la pace contro la guerra e quelle spese ieri per i medesimi ideali; così, da Stay Human, a Velo di sposa, fino a La rosa di Turi il passo si fa breve ed il filo rosso sembra avvolgersi alle parole di Nabil accomunando Vittorio Arrigoni, Pippa Bacca e Antonio Gramsci, i loro destini in cui la morte s'avvinghiia all'anelito di libertà, che, non sopito, le sopravvive.
Perché c’è un “pensiero meridiano”, come lo definisce Nabil – nel suo italiano ormai impeccabile – che sottende alla riflessione che è alla base del lavoro dei Radiodervish. C’è un pensiero meridiano, in base al quale viene sin troppo facile, a domanda rispondere che un desiderio che vorrebbero veder realizzato è la Palestina libera; ma è quello stesso pensiero meridiano che fa esprimere loro tale desiderio come un afflato amorevole e non come un moto d’odio, auspicando che la Stella di David possa e voglia ripulirsi dal sangue.
E c’è infine un pensiero meridiano che è quello a cui è riconducibile un’intera produzione, fatta di ormai dieci album, senza che vi si possano riscontrare ancora mai tracce di stanchezza o di ridondanza, pur rimanendo costantemente ancorati ad una cifra stilistica che dà ai Radiodervish una riconoscibilità immediata, una sorta di stimmate inconfondibili.
Sicché l’ascolto e la visione di un loro concerto rimane una di quelle esperienze che si vorrebbe protrarre all’infinito, sperando che prima o poi, dopo averci fatto solfeggiare in un mugolio corale d’accompagno L’immagine di te, fra le tante altre che amiamo ci possano eseguire anche New Partisan (che continuiamo a invocare invano a squarciagola); così, nell’empatia che si sprigiona, si finisce per sentirsi parte di un crogiolo culturale, di una comunanza di lingue e voci, nelle quali ciascuno può ritrovare la propria e riconoscere l’altrui.
Lasciarli andar via è difficile, a richiamarli sul palco è la gran voce di quello stesso pubblico che poco prima, guidato da Nabil, mugolava solfeggio sommesso e che vorrebbe continuare ad ascoltare, ascoltare ed ascoltare ancora.
I bis sono l'ultimo regalo prima di Natale per un pubblico già conquistato prima ancora di iniziare, più ammaliato dopo aver assistito.
La chiamano world music; è quella, che, fra tanti, più ci piace ascoltare dai Radiodervish.

 

 

 

 

 

Domenica con…
Radiodervish
voce e chitarre Nabil Salameh
voce, basso e chitarre Michele Lobaccaro
tastiere Alessandro Pipino
Bari, Teatro Forma, 21 dicembre 2014

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