“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 26 December 2014 00:00

Voto tragico

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La compagnia (S)Blocco5, composta da Walter Cerrotta ed Yvonne Capece, ha presentato al Teatro Elicantropo di Napoli uno spettacolo difficile, intangibile come il fumo presente costantemente in scena e per questo molto profondo.

La monaca di Monza, opera teatrale di Giovanni Testori, tratta della storia di Marianna de Leyva, la Gertrude manzoniana e del suo rapporto peccaminoso con la religione, con il sesso maschile, con il nucleo familiare, con se stessa. Il Teatro Elicantropo è diventato, dunque, un serbatoio di fumo, un limbo di parole, di vissuti “spiattellati” davanti agli occhi ed al cuore della protagonista che ripercorre i suoi errori, quelli subiti e quelli commessi, per cercare di dare un minimo di senso alla propria esistenza.
Gli attori sono stati orgogliosi di presentare il loro primo spettacolo proprio nel luogo in cui si è svolta la loro formazione sotto la direzione artistica di Carlo Cerciello. Il testo fu messo sulla scena cinematografica con la regia di Luchino Visconti nel lontano 1967 con Lilla Brignone nei panni di Marianna e subì non poche polemiche. Adesso i due registi-attori hanno deciso di riprendere in mano questo binomio carnale/sacro, concetto molto caro al Testori soprattutto a fini linguistici.
Durante una buona prima parte dello spettacolo, lo spettatore riconosce solo viso e mani dell’attrice che interpreta Marianna de Leyva (Yvonne Capece), ne intravede solo la carne: la scena è tutta avvolta da fumo e la voce sembra arrivare da chissà dove. Pian piano il tutto comincia a delinearsi, Marianna avanza e parla al pubblico.
La monaca rivive il rapporto con la madre, che l’ha costretta a sposare le vesti monacali, causa di tutti i mali successivi. Le appaiono, dunque, le anime che hanno animato il suo peccato: Gian Paolo Osio, suo amante e la conversa Caterina Cassina De Meda, del cui omicidio Marianna fu accusata. Come sappiamo dal Manzoni, la monaca, in veste monacale Suor Virginia, fu murata viva in una cella larga due metri per tre, con un solo foro nella parete per ricevere il cibo. La condanna prevedeva che sarebbe rimasta murata a vita a causa dei peccati commessi ma ella riuscì a farsi riconoscere il pentimento davanti al cardinale Federigo Borromeo e per questo uscì dalla prigione solo dopo tredici anni. Marianna sembra allora abitare un non-luogo in cui rivive il suo passato, passa tutto in rassegna ed incontra le anime. Il suo amante, interpretato da Walter Cerrotta, è l’immagine dell’amore peccaminoso e lei sembra quasi volerne fuggire per redimersi, ma quella colpa ormai compiuta non può più cessare di tormentarla: lui la richiama a sé con petali di rosa, carezze e parole e rifioriscono le scene di sesso e di unione vietata tra i due. In quest’ampolla fumosa senza tempo passano anche le compagne di convento invidiose, cattive, di parole furbe e poco caste.
Quello che chiede Marianna non è tanto la discolpa quanto l’accettazione di se stessa e della sua vita, seppur una catena incessante di errori. La Marianna di Testori è un personaggio tragico, ritratta come una “cristiana malmessa” o anche una prostituta in quanto dimentica della responsabilità della sua vita. Suor Virginia fu colei che lasciò agli altri decidere della sua vita ma soffrì tanto e questa sofferenza la portò a fare una rendicontazione delle sue azioni. Lei è una dei personaggi più scomodi ma interessanti della letteratura italiana, interessante per le sue fragilità e le sue arbitrarietà. Quanto alla scenografia, molto scarna: tavoli che gli attori usano per rafforzare gli intenti delle loro parole, immagini di chiese e di tribunali: la voce è protagonista.
Al termine sembra che lo spettatore abbia compiuto un viaggio, perdendo quasi la propria identità ma ne esce più ricco di prima.

 

 

 

 

 


La monaca
di Monza
di
Giovanni Testori
interpretazione e regia Yvonne Capece, Walter Cerrotta
disegno luci Anna Merlo
scene Lorenzo Giossi
produzione Compagnia (S)blocco56
foto di scena Gianluca Nanni, Mirko Mirabella
lingua italiano
durata 1h 15'
Napoli, Teatro Elicantropo, 20 dicembre 2014
in scena dal 18 al 21 dicembre

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