“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 28 December 2014 00:00

Il ritmo che trasforma l'anima

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Damarù significa tamburo indiano ed è un oggetto caro al dio Shiva, dio della vita e della morte o meglio della rigenerazione e ne rappresenta proprio il significato, quello della costante rinascita della vita di tutti i fenomeni.

Il tamburo è, quindi, l’icona del ritmo, del ritmo ancestrale, primordiale che muove il corpo alla danza, ritmo come successione di suoni di tutti i tipi. Lo spettacolo di Maria Grazia Sarandrea e Ciccio Merolla è proprio uno studio ed un viaggio attraverso i ritmi dell’Oriente. Il percussionista Ciccio Merolla, ideatore ed esecutore della performance, ha una fortissima maestria nel creare suoni molto variabili, potenti, ritmati, più lirici, con l’aiuto di una vasta gamma di strumenti percussori. Lui ed il suo suono si stagliano in una buona metà del palco del Nuovo Teatro Sancarluccio ed egli passa da uno strumento ad un altro creando sempre improvvise variazioni e trascinando il pubblico attraverso il suo viscerale entusiasmo. Nell’altra metà del palco, c’è lo spazio destinato alla danzatrice (anch’essa ideatrice ed esecutrice), che esordisce con una lenta camminata coperta da un cappello nero nella danza della vita e della morte. Proprio a due passi da lei: il tamburo, il vero protagonista.
Le danze si alternano con il giusto tempo, viaggiando dall’India, al Giappone ed oltre, i costumi variano e danno inizio alla danza dei mudras, alla danza del pavone, a quella dei ventagli e della maschera. La trasformazione, il trasformismo, la continuità dominano e direzionano queste danze, varie, di pagine di storie differenti, ma tutte accomunate dal ritmo del tamburo e da un movimento sempre costante, quello dello svelamento, dell’inizio, della fine, della durata.
Tutti i cambi avvengono in scena e sono preludi alle danze: la danzatrice sprigiona lo sguardo verso il pubblico con dolcezza e concentrazione e non si perde neanche un minimo suono che proviene dalle percussioni del musicista. Si percepisce una forte continuità ritmica, narrativa, una storia del ritmo, un’illustrazione dell’entità e della diversità di esso.
Rosso, nero, bianco sono i colori che guidano la donna nel suo percorso etno-storico ed attraverso le metamorfosi con le vesti che utilizzano solo il corpo come mezzo espressivo. Le braccia sono un grande tramite in queste danze, hanno il ruolo di essere trasmettitrici di forza energica. Ogni quadro, solo poche volte segnato da un’uscita di scena della danzatrice, si anima di sapori, profumi, ritmi, culture e messaggi diversi e vari.
Il percorso è quello di una donna che, pian piano, rivela la sua purezza, si purifica dunque, in un viaggio a ritroso che finisce e ricomincia, proprio come la vita e la morte. Le ultime danze, infatti, sono molto giocose, ironiche, infantili, mirano a decostruire lo spazio per crearne un altro in cui poter ricominciare da capo. La donna si sta trasformando, sta rinascendo dentro il ritmo e con il ritmo, fuoco ed alimento del cambiamento. Nell’ultimo quadro la donna diventerà un serpente che dispensa offerte dal suo ventre, si sarà rigenerata in altro corpo, in un processo di trasformazione di energia.
Il cambio dei vestiti e la presenza degli oggetti e dei vari strumenti rende tutto molto dinamico e narrativo e tiene l’attenzione sempre viva. Entusiasmante ed eccezionale l’energia positiva e pura dei due performer che sono riusciti a rapire il pubblico in un viaggio etnico, collettivo e dell’anima.
Infine, una duplice nota a margine sui due artisti veduti in assito.
Maria Grazia Sarandrea è danzatrice, coreografa, ideatrice del Tribal Jazz, una danza che nasce dall'incontro di ritmi e movenze tribali con il nostro mondo espressivo, la nostra cultura. Studiosa di danze etniche, la Sarandrea, ha svolto ricerche sul campo in India e Indonesia, incontrando e studiando con maestri di fama internazionale. Tra le sue produzioni teatrali, gli spettacoli: Funi, 2 ma non 2, Uzumè che danza, Trib Hop!, Syrene, Yoga Tales. Inoltre ha curato le Rassegne Estasi e Possessione nella Musica e nella Danza e La Danza e la Preghiera presso il Teatro Vascello di Roma ed è curatrice del festival A piedi nudi nel parco a Napoli.
Ciccio Merolla è un musicista napoletano di gran carisma e talento indiscutibile, è oggi uno dei percussionisti-rapper più accreditati del panorama musicale italiano attivo da ormai vent’anni: dopo l’esordio con i Panoramics, nel 1989 è diventato il percussionista di fiducia per buona parte della scena musicale partenopea. Nel 2004 arriva il primo album solista Nun Pressa’ O Sole (Taranta Power/Rai Trade); un disco di sole percussioni, dove i ritmi etnici si sposano con ritmi funky, hip hop e techno. Nel 2008 pubblica il suo secondo album, KOKORO, e stavolta Merolla si lascia andare anche al canto rap. L’album raccoglie consensi di critica e pubblico, consensi che gli valgono il 'Premio Lunezia' nella sezione etno-music. Nel 2009 il brano Femmena boss, contenuto nell’album Kokoro, diviene un videoclip con la regia di Toni D’Angelo, premiato alla VI edizione di 'Roma Video Clip' ed entrato nella playlist di MTV. Nel 2011 pubblica l’album Fratammè, accolto con entusiasmo dalla critica e dal pubblico, risultando uno dei più interessanti dischi dialettali dell’anno. Il singolo omonimo si posiziona per diverse settimane nella top 20 della indie music like, entrando in rotazione in oltre cinquecento radio italiane, ottenendo successo anche in Germania e in Svizzera.

 

 

 

Damarù
di e con
Maria Grazia Sarandrea, Ciccio Merolla
produzione Compagnia Balletto ‘90
durata 50’
Napoli, Nuovo Teatro Sancarluccio, 22 dicembre
in scena 22 dicembre 2014 (data unica)

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