“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 04 February 2013 20:41

Il 10 e l'11: il calcio veloce di Marco Marsullo e quello ragionato di Fabrizio Gabrielli

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C’è questo racconto di Davide Enia, La corsa senza fine del numero 8 si chiama, che sta proprio in mezzo a Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no (Piano B, 2012) di Fabrizio Gabrielli (gran libro!), in cui si disquisisce di numeri. Enia parla degli altri tempi, quelli della Fiat 500 e 127, del PC e del 13 al totocalcio, e ne parla solo per spiegarci i numeri di maglia. “A quei tempi non si era un cognome su una maglietta griffata. A quei tempi si era un numero. E il numero aveva un compito”, è questo che lui vuole dire in tutto il racconto, attraverso i numeri: c’era un’altra visione del mondo, allora, più semplice, e con determinate certezze.

Se dovessimo dare un numero a Marco Marsullo - classe ’85, napoletano tifoso del Milan, fisico asciutto ma ben impostato, occhiaie fisse, baffetti, e quella faccia un po’ così alla Edoardo Gabriellini di Ovosodo memoria - se dovessimo darglielo per come si muove nel suo primo romanzo, Atletico Minaccia Football Club (Einaudi, 2013), gli daremmo il numero 11. Il numero 11, dice Enia, era “l’ala sinistra, e basta”, e faceva parte dei numeri svelti, insieme al 7 e al 3, “portatori di un sogno di velocità che esalta e diverte”. Marco Marsullo, quando scrive, c’ha stampato dietro la maglietta il numero 11: le parole e le frasi si susseguono veloci, come avviene in tanta narrativa giovane, soprattutto dei bei tempi perduti anni Novanta, quelli di certo cinema Mastandrea agrodolce autoironico allegramente infelice, quelli di certa musica indie posse punk grunge che sfida il pop nel mercato dei cd, quelli di certa arte in TV insieme a pentole e folletti, di certa leggerezza che sembra uscita dalla testaccia ottimista di Fukuyama, come se dopo la guerra fredda ogni sogno fosse possibile. Marsullo avrebbe fatto bene, all’epoca, tra Ammaniti e Luttazzi, la mezzala sinistra veloce e sorridente. Marsullo è uno che quando scrive si diverte, e fa divertire, e i tempi morti proprio non gli piacciono. Non è tipo da cinema d’essai, lui, non sta lì a riflettere troppo sul gruppo ’63, Celati, Tondelli, Porci con le ali, come si parla, come si scrive come si parla, no, a lui importa il tocco rapido e leggero, nel bene e nel male, e proprio niente di quelle roboanti questioni intellettualoidi da Domenicale-Sole24Ore.
Forse qualcosa ci perde in tutta questa velocità funzionale alla storia che si diverte a raccontare. Però voi ve lo ricordate il Verona dei miracoli di Osvaldo Bagnoli, no? Quello che vinse lo scudetto, stagione 1984-’85, la prima di Maradona a Napoli, per capirci. Il numero 11 del Verona era un danese con la tipica faccia del danese e la tipica carnagione del danese e i tipici capelli del danese, Elkjaer-Larsen si chiamava, ed era uno che quando partiva in velocità sulla fascia era inutile che gli stavi appresso. Elkjaer-Larsen non era il tipo da 10-15 gol a campionato, ma il tipo che creava superiorità numerica, che metteva panico nelle difese avversarie, un Lavezzi in versione iperborea per intenderci. Ebbene in una partita di quel glorioso campionato, contro la Juve del Trap di Platini Boniek Paolo Rossi eccetera eccetera, Elkjaer-Larsen a un certo punto sfrecciava sulla fascia sinistra come un lampo lasciandosi dietro un avversario, e però, in quella corsa da cavallo pazzo, perse una scarpetta. Qualcuno si sarebbe fermato, qualcuno che non fosse Elkjaer-Larsen, ma il danese no, lui con la testa già stava altrove, e inarrestabile saltava un avversario, si accentrava, e calciava nell’angolino alla sinistra del portiere, con precisione chiururgica. Un gran gol per intenderci, e senza una scarpetta poi. E così anche Marco Marsullo, mentre scrive, lasciandosi andare alla sua corsa dirompente, magari perde qualcosa, ma poi fa gol, e questo suo primo romanzo è come quel gol di Elkjaer-Larsen, tutto velocità, e poi fantasia, e divertimento.
Atletico Minaccia Football Club è la storia di un allenatore, Vanni Cascione, che vuole essere Mourinho nelle serie minori campane. Gli capita una squadra di brocchi e improbabili campioni, e lui deve farne di brutte figure prima di capire che le contingenze impongono scelte diverse rispetto a certe idee che solo chi adora il calcio visceralmente può faticare ad abbandonare, nonostante quelle gli remino contro. È un romanzo di formazione (Marsullo dice “commedia di formazione”) su un allenatore cialtrone e sentimentale. A leggere si ride, e ci si commuove, perché Marsullo è uno che i sentimenti non li nasconde ma li vive, e li fa vivere. Un tipo ‘carnale’ insomma, si direbbe qui. Gli piace Ammaniti e ogni tanto ce lo ricorda, l’ironia brillante è tipica dei post-tondelliani cresciuti con la tv, ma, come detto, ogni tanto si lascia dietro qualcosa. Qualche personaggio avrebbe magari meritato una caratterizzazione più attenta, qualche battuta pronunciata dall’io-narrante Cascione magari sarebbe stata più adatta a un giovane piuttosto che a uno di mezza età. Ma tant’è, il numero 11 Marsullo alla fine con questo romanzo fa gol. Soprattutto Marsullo ama il calcio, e quest’amore ce lo fa sentire in ogni pagina. Sembra che parli lui, e non Vanni Cascione, quando questi dice:
“Io ero nato per il calcio e sarei morto per il calcio. A centrocampo, sarei voluto morire a centrocampo. O meglio ancora sulla trequarti avversaria. Non c’è posto al mondo più bello della trequarti avversaria. È una conquista, un’invasione. Una scoperta.”
Questo è Marco Marsullo, la mezzala sinistra del calcio narrato.
Poi c’è il numero 10, “il regista, e basta” come dice Enia. Il numero dieci del calcio narrato è Fabrizio Gabrielli, classe ’81, romano tifoso della Roma. Sforbiciate è una raccolta di racconti calcistici che solo un fuoriclasse assoluto poteva scrivere. È un’esperienza calcistica-mitologica-linguistica. Gabrielli dà l’impressione di essere un ambidestro capace di disegnare con la palla e con la penna parabole precise e vertiginose a comando, è come Totti, non ha paura di fare etimologia mentre racconta di Freddy Rincon, un calciatore colombiano bizzarro ed estroso, e il racconto Freddy-occhio-che-ride-senza-capire è il suo cucchiaio. Ma la forma racconto, si sa, è un’altra cosa rispetto al romanzo: esige una diversa preparazione, una diversa resistenza, una diversa tensione. Lo vorremo vedere, il Gabrielli, nei 90 minuti, per capire quanto la sua classe tenga in un lasso di tempo più vasto, più dilatato, di fatto enorme, quale è quello del romanzo.
E poi magari li vorremmo vedere giocare insieme, Marsullo e Gabrielli, anche in amichevole.
Si troverebbero bene sullo stesso campo, ne siamo certi.
E Marsullo, il più giovane, sottoscriverebbe senza manco pensarci la verità assoluta sul calcio come malattia così ben formulata dal più maturo Gabrielli:
“La vita, l’amore. Ma prima, per favore, il pallone”.

 

 

 

 

Marco Marsullo
Atletico Minaccia Football Club
Einaudi, Torino, 2013, pp. 212

 

 

Fabrizio Gabrielli
Sforbiciate. Fraseggi fuori area & storie di pallone (ma anche no)
Piano B Edizioni, Prato, 2012, pp. 176

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