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Tuesday, 28 October 2014 00:00

Per dar voce alla paura

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Il 24 ottobre a Napoli c'è stato un concerto. Il 24 ottobre da Napoli è partito un tour: occhi e orecchie aperte, gente! Sono tornate Le Strisce con Hanno paura di guardarci dentro.
Cinque ragazzi e la voglia di portare a fare un giro la musica, di reinventarla, di farle avere un incontro ravvicinato di terzo tipo con la realtà dei giovani di oggi, che hanno storie da vendere e da cui tutti dovremmo imparare qualcosa.

Un album che vuole raccontare le più disparate forme del disagio generazionale che stiamo più o meno vivendo, perché musica non è solo intrattenimento, ma anche raccontare storie che ci aiutino a capire i come e i perché della cruda realtà di tutti i giorni.
Un concerto che è stato un momento ricco di calore, due ore di musica complessa e vibrante, che sono volate via, lasciandoci con la voglia di ascoltare ben più di un bis, ma quasi di chiedere che andassero avanti tutta la notte, e magari anche oltre. Perché loro sul palco ci sanno fare: arrivano, prendono gli strumenti e senza troppi orpelli ogni volta il cantante Davide Petrella impugna il microfono e dice: "siamo Le Strisce!", e via, senza se e senza ma, sempre con l'energia e l'entusiasmo della prima volta.

Hanno paura di guardarci dentro: come nasce?
Davide Petrella:
Hanno paura di guardarci dentro è il nostro terzo disco ed è il nostro primo lavoro da indipendenti. In passato abbiamo collaborato con una major (la EMI, NdR) per poi renderci conto che alla fine sì, abbiamo fatto tante cose belle, perché ci ha dato la possibilità di fare tanta gavetta, di imparare tante cose, di conoscere tante persone, di avere tanti contatti grandi e piccoli... in questo momento della musica italiana forse si fa un po' fatica, soprattutto se si è un cantautore o se si è una band che scrive da sé la propria musica, a trovare uno spazio in situazioni come quella mainstream o delle grandi etichette discografiche. Abbiamo deciso che la scelta migliore per noi fosse quella di liberarci di un po' di paletti che ci sono nei luoghi un po' più, come dire, convenzionali. Stiamo provando, insomma, a capire come si può fare musica oggi perché, ragazzi, è veramente una giungla: non ci sono più regole, non si capisce neanche cosa passino le radio e se passano qualcosa sono le solite canzoni straniere, le superhit. C'è poco spazio per la musica italiana delle major, si dà tanto respiro solo all'hip hop al rap perché è la loro ribalta, quindi è difficile essere una band, una persona che comunque si scrive le sue cose, e allo stesso tempo  essere in una major.
Ci stiamo rendendo conto che con una realtà indipendente (la Suonovisioni Records, NdR), dove siamo tante teste piuttosto che una sola grande entità come una major, stiamo riuscendo a fare cose "più impegnative", con più capitale − perché comunque i soldi sono alla base di qualunque produzione − e quindi mettendo insieme tanti piccoli capitali, tanti piccoli investimenti e tante piccole teste abbiamo formato un team di lavoro, e stiamo riuscendo a fare cose fondamentalmente migliori rispetto al passato o quanto meno stiamo riuscendo a proporci davvero come vogliamo proporci.
In più è cambiato significativamente il nostro approccio alla musica: prima ci si concentrava moltissimo su come dovevano suonare le canzoni o come non dovessero suonare, oggi invece siamo totalmente liberi di creare al di là di qualunque regola, appunto perché di regole non ce ne sono.

Avete quindi più liberta di quando giocavate con la EMI?
Davide Petrella:
Assolutamente sì, ma è fondamentale che non passi il fatto che questo cambio sia dovuto a mancanze da parte della vecchia etichetta: eravamo anche noi più acerbi, più giovani e quindi magari non siamo riusciti a sviluppare quello che realmente è la nostra arte, la nostra musica. Invece con tanta gavetta, con tanto lavoro − veramente con tantissimo lavoro − e con tanti sacrifici, siamo riusciti a lavorare e pensiamo di avere un disco con le palle, che ha le spalle grosse anche dal punto di vista del sound.
Non ci siamo fermati a un solo genere, abbiamo provato a inglobare diversi suoni come l'elettronica: abbiamo un pezzo persino ispirato da Tom Waits (andate un po' ad ascoltare Tango'til They're Sore, NdR), abbiamo davvero dato spazio alla creatività, a tutta la musica che ci piace a tutta la musica che viene dall'estero dall'Italia, le cose belle.

Un po' come ripartire da zero, ricostruire da capo un suono completamente nuovo rispetto agli album precedenti?
Davide Petrella:
Non proprio; è che siamo cresciuti non solo anagraficamente, ma proprio come voglia di fare: abbiamo più entusiasmo ora di quando abbiamo cominciato e questo vuol dire che le cose girano bene, che quantomeno le canzoni sono belle.
In questo momento credo ci sia poco in Italia che sia vero e noi, ora come ora, più veri di così si muore. Pensiamo comunque che questa realtà, questa crudezza nel fare musica, nello scrivere e proprio nel realizzarla tecnicamente, dallo studio alle figure che lavorano con noi siano una roba che non può passare indifferente: deve essere capito un nuovo modo di fare la musica oggi.

Parliamo delle canzoni e del loro messaggio: qual è il disagio che volete far arrivare al vostro pubblico?
Davide Petrella:
Che in questo momento fondamentalmente si fa fatica un po' a fare tutto, e questo non lo scopriamo noi: pensiamo però che in queste ore di confusione, di crisi, ci siano comunque delle storie pazzesche da raccontare. Perché comunque quando si tocca il fondo si può solo risalire.
Andrea Pasqualini: Le cose migliori sono uscite sempre nei momenti più difficili.
Davide Petrella: Assolutamente sì, anche la stessa Napoli ha oggi il fermento di qualcosa che riparte. Penso sia qualcosa di importante, credo che siamo arrivati a un punto di non ritorno: o si comincia a fare musica nuova, si comincia a creare qualche nuovo musicista, oppure ci ritroveremo con i soliti Ligabue che arriveranno fino a novant'anni a fare musica e a riempire gli stadi. Penso che sia giunto il momento che cominci a cambiare qualcosa.
Il disagio è generazionale, non è un qualcosa che è strettamente legato a una canzone. Lo viviamo tutti, lo vivo io, lo vivi tu, lo vive lei, lo vive Dario. Il momento è serio e serie devono essere le canzoni. Non bisogna nascondersi dietro a un dito, bisogna raccontare quello che sta succedendo, raccontarlo magari in una maniera che non sia troppo da canzonetta né troppo da cantautore degli anni '60, un po' pesante. Bisogna essere, rappresentare il momento che stiamo vivendo e penso che la crudezza sia l'arma vincente.

Secondo voi perché il resto del nostro panorama musicale snobba un po' questo tipo di argomenti?
Davide Petrella:
Non vengono totalmente snobbati: c'è comunque tanta musica − definiamola non lo so underground o alternativa − che non va in radio. Ci sono comunque tanti cantautori, tante band e anche tanti rapper che raccontano le cose nel giusto modo.
La musica più mainstream resta ancora ancorata alle "regolette" di venti o trenta anni fa: non si può ancora pretendere di fare il tormentone col testo stupido! In Italia siamo comunque il Paese del cantautorato: e che cazzo, diamo un po' importanza alle parole, ché siamo bravi. Nemmeno fossimo un Paese che ha sfornato musicisti mediocri da trent'anni.
Penso invece che negli ultimi anni siano uscite tante cose molto belle e che forse queste cose devono avere sempre più spazio.

Nel vostro album c'è una canzone cui siete particolarmente legati?
Davide Petrella:
Io sono particolarmente legato a Gli artisti perché penso sia una bella storia da raccontare1.
Andrea Pasqualini: Per quanto mi riguarda i brani sono tutti quanti abbastanza rappresentativi di quello che è il momento sia nostro che quello che cerchiamo di trasmettere. Però c'è una canzone, Ci pensi mai, che è una traccia del disco che − sia per il testo in generale che per quello che vuole dire − rappresenta al meglio quello di cui stiamo parlando adesso. Poi quando fai un disco tutte le canzoni sono figli tuoi, quindi è difficile dire a chi vuoi più bene...
Davide Petrella: Sì, fondamentalmente Ci pensi mai ha il testo più potente di tutto il disco.
Enrico Pizzuti: 2012, anche perché l'abbiamo registrata tempo fa. Non è comunque un pezzo nuovissimo, forse non proprio del 2012.
Andrea Pasqualini: È un pezzo di questo disco, fino a Comete, fra i primi messi a terra, diciamo.
Enrico Pizzuti: È stato veramente uno dei primi pezzi a entrare nella tracklist, quando ancora tutto il disco ancora non c'era.
Andrea Pasqualini: Enrico è uno di cuore, si affeziona!

Passando al suond, dove regna una commistione di sintetico e di registrazione alla vecchia maniera: qualche musicista vi ha influenzato particolarmente in questo album? Immagino siano tanti...
Enrico Pizzuti:
Penso che siamo riusciti a mettere in un solo disco tante influenze diverse, quindi effettivamente ci sono comunque sia pezzi di elettronica − perché comunque l'elettronica è sempre esistita e l'abbiamo ascoltata, quindi ci scorre un po' nelle vene − sia pezzi più rock'n'roll, magari anche anni '70, con qualche riff più classico e questo è stato comunque un esperienza nuova per noi.
Davide Petrella: Ci siamo sicuramente divertiti a dare sfogo a tutti quelli che sono i nostri ascolti alle nostre esperienze legate a un disco o alla canzone di un artista. Penso che comunque ci sono dentro un po' di cose diverse: in questo album mi ha dato una forte mano Lucio Dalla: ci sono tre suoi dischi che sono inarrivabili dal punto di vista della scrittura ed è stato bello sfidare certe cose. Poi dal punto di vista dei suoni, come diceva Enrico, ci sono tante cose... C'è anche un approccio un po' grunge in alcune canzoni perché ce l'hai, nel senso: mentre cinque anni fa c'era chi era più grande di noi che riportava gli anni '80 in voga, adesso torneranno sicuramente gli anni '90, con quel tipo di sonorità particolare noi ovviamente ci siamo cresciuti con musica come quella dei Nirvana e delle altre grandi band.
Però è basilare che una canzone suonata in garage o suonata in cantina abbia la stessa potenza di una canzone che poi finisce su un palco, perché altrimenti vuol dire che non gira: se non funziona dalla cantina già non è interessante.

Talent Show: sì o no?
Davide Petrella:
Il Talent Show è intrattenimento, non è musica, quindi è un animale strano. È importante non confondere le cose: la musica in televisione è televisione, non è musica. Non uscirà mai un Lucio Battisti da un X-Factor, non uscirà mai Lucio Dalla da Amici, non uscirà un Paolo Conte. Mai nessun artista di spessore può nascere da questi luoghi, perché sono comunque delle macchine fatte a tavolino, hanno delle regole, quindi non c'è molto spazio per la creatività.
Enrico Pizzuti: Anche per gli stessi ragazzi che ci vanno e che hanno delle potenzialità è sicuramente un entrare in un meccanismo troppo grande e troppo presto.
Davide Petrella: È comunque stare chiusi in una gabbia: puoi anche essere bravo ma sei sempre limitato. Penso quindi che non faccia bene a un artista andare a un Talent Show e che sia davvero importante non mescolare. Il Talent va bene, è divertente, parliamone, Morgan fa ridere, però la musica sta di casa da un'altra parte: non dimentichiamolo.

Ma voi di cosa avete paura?
Davide Petrella:
Io ho paura degli insetti, proprio tantissimo, e ho paura di non riuscire mai a scrivere una canzone che resterà per sempre, però credo che ci proverò finché posso.
Andrea Pasqualini: Non ho paure materiali, non ho paura neanche di finire sotto un ponte guarda, anche se ho paura di essere investito, perché sono stato preso due volte e la terza volta sarebbe molto grave come cosa... Però diciamo che, a parte quello, l'unica paura vera è quella che magari, dopo tanto impegno, dopo tanta passione, tutto ciò non venga riconosciuto, non arrivi una gratificazione.
Forse non è nemmeno proprio una paura, però è una cosa che secondo me sarebbe sbagliata, non solo per Le Strisce ma per qualunque altra persona che si approccia alla musica in questo modo: la cosa più brutta sarebbe non riuscire mai a trovare il proprio spazio
Francesco Zoid Caruso: Ma guarda...
Andrea Pasqualini: Lui non ha paura di niente, lui veramente non ha paura di niente!
Francesco Zoid Caruso: So soltanto che io stasera devo suonare ma che domani alle sette devo lavorare, quindi più disagio di me non c'è niente.

Ha vinto Zoid.

 

 

 

 

 

 

1) La storia cui si è ispirato Davide Petrella è quella dei performers Marina Abramovic e Ulay. I due, una volta capito che la loro relazione era giunta alla fine, decisero di percorrere, ciascuno da un estremo, tutta la muraglia cinese, per poi incontrarsi al centro e dirsi addio.

 

 

Le Strisce
Hanno paura di guardarci dentro
voce, testi Davide Petrella
basso Francesco Zoid Caruso
chitarre Enrico Pizzuti, Andrea Pasquini
batteria Dario Longobardi
produzione Suonovisioni Records
anno 2014
tracklist 1. Nel disagio; 2. Fantasmi; 3. Andrea; 4. Ci pensi; 5. Gli artisti; 6. Comete; 7. Cosa deve fare un giovane d'oggi per potere ridere?; 8. Dentro; 9. Beat Generation; 10. 2012; 11. La Sindrome di Stoccolma; 12. L'ultima sigaretta; 13. Persa; 14. Non è un destino


Hanno paura di guardarci dentro – tour 2014
Napoli, Casa della Musica, 24 ottobre 2014

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