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Tuesday, 28 January 2014 00:00

Claudio Abbado, un ricordo

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Ricordare un grande direttore d’orchestra a pochi giorni dalla scomparsa senza rischiare di impantanarsi in rievocazioni agiografiche o, peggio, retoriche è impresa difficile. Ma se si tratta di Claudio Abbado – che dell’antiretorica ha fatto il tratto distintivo della propria arte interpretativa e della propria vita – ripudiare qualsiasi tentazione vanamente celebrativa costituisce un imperativo categorico.
Tra i più grandi direttori d'orchestra del secolo scorso, Claudio Abbado.

Più che aver diretto grandi orchestre, ha fatto musica con grandi musicisti: non una precisazione terminologica, ma l'essenza della filosofia dell'Abbado concertatore. Il direttore d'orchestra quale primus inter pares, che si diverte a far musica con altri musicisti, siano essi gli straordinari strumentisti delle blasonate Filarmoniche di Berlino o di Vienna o i promettenti giovani della Mozart, della Mahler Chamber Orchestra.
Il gesto elegante e misurato di Abbado non è mai perentorio; chiede, evoca quasi gli attacchi; invita con un sorriso a porgere un colore orchestrale; Abbado fa musica da camera anche quando è impegnato a dirigere una mastodontica sinfonia di Bruckner. Lo sguardo, vivo e concentrato, guida uno per uno i propri musicisti; la mano sinistra accarezza la melodia librandola nell'aria e imprimendole lo pneuma; quella destra scandisce nitidamente il tempo.
L’approccio alla partitura del direttore milanese si pone nel solco della lezione di Toscanini: rispetto assoluto della volontà dell’autore, cesura netta con le vecchie “tradizioni” interpretative. Profonda analisi della partitura: ascoltare la più celebre tra le sinfonie, un concerto, un’opera diretta da Abbado è come vedere una radiografica musicale della partitura. Non c’è strumento, benché amalgamato con l'orchestra, che non sia riconoscibile, che perda la propria individualità.
Nell’adorato Mahler non viene trascurata la rilevanza melodica e ritmica di nessun inciso musicale: non vi è marcetta o straniante melodia popolare, delle quali è farcito l'universo musicale mahleriano, ad essere fagocitata dal gigantismo orchestrale.
Al tempo stesso gli ampi squarci corali della Seconda Sinfonia, Resurrezione e dell’Ottava, Dei mille, risuonano con un’unica voce, poderosa, a tratti terrificante, una sintesi perfetta tra orchestra, coro e solisti.
Scomposizione della partitura e reductio ad unum: potrebbe così sintetizzarsi l'ermeneutica musicale di Abbado.
Il suo Rossini (Il barbiere di Siviglia, La cenerentola, L’italiana in Algeri, Il viaggio a Reims) è rivoluzionario: ritmo forsennato, scintillio strumentale, precisione, leggerezza e luminosità, allegria venata da un sospiro di melanconia. Il finale del I atto de Il barbiere di Siviglia, inciso con la London Symphony Orchestra negli anni Settanta, è la sintesi della nuova cifra interpretativa rossiniana. Uno spartiacque epocale: la storia dell’interpretazione del Rossini “comico” si divide in un avanti Abbado e un dopo Abbado.
Quando nel 2000, ripresosi dalla terribile malattia che improvvisamente lo aveva colpito, portò in tournée con i “suoi” Berliner Philharmoniker le Sinfonie di Beethoven, si ebbe l'impressione di ascoltare per la prima volta queste pagine sinfoniche pur così celebri. Una “nuova versione” delle sinfonie: una concezione quasi “cameristica” dell’esecuzione. Gli archi sensibilmente sfoltiti rispetto alla tradizione di Furtwängler e di Karajan; una ritmica dionisiaca mai avvertita prima di allora, la naturale percepibilità di ogni “a solo” di ottoni o legni, la rivelazione di ogni cellula ritmica nascosta tra le pieghe della partitura. Un’agogica che rompeva con la tradizione per assecondare le originarie indicazioni metronomiche dell’autore. Un suono trasparente, prosciugato, ma pur sempre luminoso, come i dipinti di Piero della Francesca.
Dopo la rivoluzione delle esecuzioni filologiche – troppo spesso trasformatesi in archeologiche! – Abbado ha dimostrato che una Terza via tra il gigantismo sinfonico “alla Karajan” e le stridule sonorità dei tanti complessi musicali dediti ad esecuzioni “con strumenti originali” è possibile. E ciò senza rinunciare all'edonismo sonoro, alla precisione dell'intonazione, alla varietà dell'agogica, al sospiro sensuale del rubato.
Abbado è stato un uomo del '900; Gustav Mahler è stato un profeta del Secolo breve. Inevitabile quindi che tra l'interprete e il compositore boemo si stabilisse una relazione musicale. Solo Leonard Bernstein può competere, quanto a profondità dell'interpretazione, con Abbado nell'evidenziare i lati tragici, oscuri del mondo di Mahler. Ogni sinfonia, sotto la direzione di Abbado, si trasforma in una seduta psicanalitica, in un viaggio attraverso l'esplorazione dell’Io. Lavoro di scavo della partitura, attenzione ad ogni particolare, sottolineatura degli aspetti grotteschi e allucinati della musica mahleriana, queste le coordinate interpretative di Abbado.
Mozart viene riportato da Abbado (Nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, Il flauto magico) dall'inaccessibile empireo sulla terra: Mozart, cantore della religione dell'umanità, diventa umano, con le sue passioni e le sue contraddizioni. Difficile ascoltare un'esecuzione più serrata, sulfurea, del Così fan tutte diretto a Ferrara nel febbraio del 2000 a capo della sua creatura, la Mahler Chamber Orchestra.
Lo svecchiamento del repertorio, iniziato negli anni scaligeri (1968-1986) e proseguito negli anni berlinesi (1989-2002), è stato una costante della sua carriera: l'attenzione al repertorio della Seconda scuola di Vienna (Berg, Webern, Schoenberg) si è unita a quella per i compositori contemporanei.
Un musicista culturalmente curioso come Abbado non ha potuto resistere al fascino del grande repertorio russo. I confini in musica sono di quanto più assurdo possa ipotizzarsi: i risultati lusinghieri ottenuti nel repertorio russo, sia sinfonico (sinfonie di Tcaikovsky) che operistico (Boris Goudunov, Kovanchina, Amore delle tre melarance) lo hanno dimostrato. Abbado forgia uno dei migliori Boris della discografia per attenzione ai particolari incastonati nelle poderose scene corali (Scena dell'incoronazione, a titolo di esempio).
Verdi. Il terreno di elezione di Abbado, il compositore meditato e affrontato lungamente durante la carriera. Non il Verdi della trilogia popolare, ma quello più cupo e tormentato dei grandi uomini di potere (Don Carlos, Macbeth, Simon Boccanegra). Anche e soprattutto in questo repertorio, fino agli anni Sessanta non molto frequentato, l'attenzione al lato più sinfonico della partitura, all’analisi psicologica dei personaggi, l'eliminazione delle incrostazioni della tradizione, costituiscono la cifra interpretativa. Spettacoli memorabili, nati dalla collaborazione con Giorgio Strehler, Luca Ronconi e Damiano Damiani e sotto l'ala protettiva e lungimirante del Sovrintendente Paolo Grassi, il più grande operatore culturale dell'Italia post-bellica.
Nel 2001, per celebrare il centenario della morte di Verdi, affronta Falstaff, commedia leggera quanto amara. La lettura di Abbado è divertita, ma distaccata; lascia che i personaggi corrano, si burlino indisturbati. Lui li segue, ma da lontano e con il sorriso ironico di chi “ha capito il giuoco”.
Dai primi anni 2000, dopo la malattia, le apparizioni di Abbado si sono via via diradate; lasciata la direzione musicale dei Berliner Philharmoniker si è dedicato, dal 2004, alla Orchestra Mozart, compagine giovanile che portò anche al San Carlo, nel marzo del 2009, in quello che è stato l'ultimo suo concerto a Napoli. Nei giorni precedenti la scomparsa di Claudio Abbado l'Orchestra Mozart ha annunciato la temporanea sospensione di tutte le sue attività per le crescenti difficoltà finanziarie.
Oggi il miglior modo per ricordare Abbado è cercare di tenere in vita l'ultima delle sue creature orchestrali. Claudio Abbado lo avrebbe desiderato più di ogni altra cosa.

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