“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Delio Salottolo

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 10): Bali Bulé di Ashley Bickerton, Luigi Ontani, Filippo Sciascia

“Just funny!” dice a un certo punto una turista americana rivolgendosi a Sam Weller, e lo ripete due tre volte cercando conferma negli occhi dello stralunato estensore del quadernaccio, il quale risponde con un garbato sorriso. Il “just funny” che la grossa e grossolana turista americana non riusciva a trattenere era dovuto al fatto che, all’improvviso, dinanzi ai suoi occhi era comparsa una strana creatura di color verde e butterata di specchietti, evidentemente mostruosa, ma – bisogna dire – simpaticamente mostruosa, con una specie di grosso fallo rosso che le fuoriusciva dalla bocca completo di genitali ben intarsiati mentre una bella mano azzurra atteggiata a corna spuntava da dietro la bizzarra testa. Ma il “funny” era dovuto probabilmente ancor di più alla collocazione della statua in questione immersa nella Collezione Farnese del Museo Archeologico in mezzo a capolavori dell’arte classica. Ecco perché Sam Weller ha deciso di aprire così il suo racconto, perché è proprio in quel “just funny” che si annida il senso di questa mostra o, perlomeno, del contributo di Luigi Ontani a questa Bali Bulé. Ma, prima di precipitare nelle ricostruzioni di senso, andiamo con ordine.

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 9): Redemption di Salvino Campos

Che poi Sam Weller sa benissimo che per quanto riguarda l’arte contemporanea è necessario sempre e comunque che l’idea che plasma una mostra venga esposta, sennò non si capisce nulla di quello che si vede. Ma poi Sam Weller sa benissimo anche che è proprio quello il gioco dell’arte contemporanea, la necessità che l’idea sia, cioè “esista”, perché è l’idea quello che conta (e quando diciamo “quello che conta”, lo intendiamo in un senso particolarmente vasto e particolarmente calzato, le sfumature di quest’espressione sono, ovviamente, molto ampie – anche letterali).

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 8): la Notte Bianca al Vomero

Ecco, subito una prima precisazione. Sam Weller è una persona come tante che, come fanno tante persone, può anche decidere una sera di andarsene a zonzo (a divertirsi, no!, sarebbe troppo) per le vie della città, soprattutto quando qualche evento riempie le strade di spettacoli e persone. Il suo è il gusto tipico dell’osservatore che dal suo cantuccio riservato e noioso osserva e prende appunti. Ma la precisazione non è propriamente questa.

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 7): Una vita per l’arte di Vittorio Vastarelli

È un bellissimo pomeriggio che sembra più primaverile che autunnale quello che ci accompagna in questo giro per il lungomare. La tappa è Castel dell’Ovo dove un paio di giorni fa è stata inaugurata la mostra di Vittorio Vastarelli. Restiamo immediatamente colpiti da una frase che si trova nel libretto disponibile per i visitatori, Vittorio Vastarelli scrive: “volendo rappresentare una mia idea del mondo, utilizzo un linguaggio pittorico comprensibile a tutti, prima perché non dipingo solo per i critici e gli addetti ai lavori, poi perché la gente non ha troppo tempo da dedicare all’arte”.

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 4): "I love you" di Virginia Ryan e "Senza titolo" di Carl Andre

Oggi la giornata è particolarmente favorevole, ci attendono addirittura due nuove inaugurazioni e, si sa, dal punto di vista sociologico e antropologico le inaugurazioni hanno sempre e comunque qualcosa in più. E quel qualcosa in più sono le persone che le frequentano, le quali – e può sembrare strano – hanno una loro funzione rivelatrice se non del senso profondo dell’arte (cosa che non ci azzarderemmo proprio a tentare) perlomeno di quella porzione di senso che l’arte possiede nel “qui ed ora” della sua apparizione all’interno di questa esposizione qui e soprattutto nel significato che acquisisce a partire dal pubblico che ne fruisce. L’arte vive anche della sua contingenza e quindi il nostro compito è quello di fare da tramite tra questa innegabile (e spesso divertente) immanenza e una trascendenza che lo scrittore (o scribacchino) ama spesso creare fingendo di averla trovata lì per caso. Insomma, al di là di queste chiacchiere da chiacchieroni chiocci e queruli, è innegabile il fascino delle inaugurazioni proprio per questo.

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 6): Fixed di Francesco Taurisano e Edenlandia di Vincen Beeckman

Questo racconto comincia con “o uaglion ra cpoll” (uso questa grafia perché è una citazione da fonte diretta: il manifesto funebre – mi perdonino i “napoletanisti” che inserirebbero qualche apostrofo e che correggerebbero la forma "cpoll" in "cepoll"). Si tratta di uno di quei nomignoli di quartiere (che nei Quartieri Spagnoli, residenza d’elezione di Sam Weller, sono ancora molto usati fino a divenire un “vero” nome) utilizzati per caratterizzare l’esistenza lumpen di molti personaggi in via d’estinzione e per riempire i manifestini di morte.

Il quadernaccio di Sam Weller (n.5): All'infuori di me di Andrea Pacanowski

In una soleggiata mattinata di fine estate, di quelle attraversate da una leggera e rinfrescante brezza che sta lì a ricordare che il mare è proprio una grande invenzione, abbiamo deciso di raccogliere ancora una volta il nostro sgualcito quadernaccio (che giaceva, immalinconito, sul bordo di una poltrona in disuso) e di andarcene a vedere una mostra di cui avevamo letto il comunicato stampa e che, in un certo senso, aveva prodotto in noi quella lieve ma poco sbozzata curiosità, quel tipico moto dell’animo che poi senza alcun preavviso lo ritrovi cristallizzato e concreto un po’ come l’argilla fresca cotta al sole e che fa sì che il quadernaccio senta l’esigenza di (e non riesca più a trattenersi dal) riempirsi nuovamente di stravaganti riflessioni.

"Cammarota è un fulmine a ciel sereno"

“Cammarota è un fulmine a ciel sereno”

(tentativo maldestro e malriuscito di scrittura wallaciana, anzi wallacianissima, sulla base di una mediocre epifania avuta a Belgrado e di un almeno altrettanto mediocre tentativo di resa su carta avvenuto a Napoli non molti giorni dopo)

 

“Cammarota è un fulmine a ciel sereno”. Questa era stata più o meno la verità che era venuta a galla mentre mi trovavo in quella rara e privilegiata pianura che si distende tra veglia e sonno e che a volte sembra una sorta di mucosa appiccicaticcia attraversata da reazioni psico-chimiche e prolassi entero-esistenziali. Quando poi, come un picco scosceso a forma di trivella rotante, “Cammarota è un fulmine a ciel sereno” si era elevata attorcigliandosi sulla pianura di prolassica indeterminatezza del pensiero semi-conscio – attimo indecifrabile e dalla durata incalcolabile e di cui per serietà teoretica è meglio tacere –, la stessa forma plastica della verità aveva assunto (con una strana e inattaccabile determinazione) l’aspetto dell’autorevolezza più imponente di tutte, proprio perché, come una sorta di attivatore enzimatico, facilitava la produzione di secrezioni letterarie che rendono qualsiasi cosa, in quanto pensata in maniera sottilmente luminosa e sotto forma di intuizione indomabile, degna di essere rappresentata nel bel mondo della letteratura.

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 3): Il maestro dei suoi maestri di Joel Peter Witkin

Tornando verso casa, mentre mi capitava di mormorare qualcosa del tipo “torbido, veramente torbido, eppure elegante”, il nostro discorso verteva su questo problema, riassumibile così: “ma i cadaveri non si irrigidiscono a tal punto da non poterli più manipolare? come ha fatto a posizionarli in quel modo e a vestirli?”. Il problema, che poi tale non era – evidentemente un modo ci sarà e voglia di andare su Google per trovarlo non ce l’ho –, è significativo di una cosa che mi dà in questo momento di scrittura parecchio da pensare, il rapporto che intratteniamo non tanto con la morte ma con la rappresentazione della morte, o, ancor di più, quanto la dimensione della rappresentazione della morte determini il nostro modo di percepire la morte.

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 2): intermedium di Giulia Piscitelli

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 2): intermedium di Giulia Piscitelli

 

E così ci troviamo ancora a gironzolare per il MADRE e questa volta, in questo secondo piano che ospita anche altre temporanee, ci immergiamo nelle sale in completa solitudine (stavolta è totale – il museo agisce la sua “parte” tutta per noi) ma con la solita abitudine di compiere prima un giro completo piuttosto rapido, come una visione d’insieme, come una ricerca del tutto prima (e dopo) le parti, un giro completo e rapido per imitare il visitatore distratto e obbligato dal proprio rango culturale che getta occhiate qua e là e cerca di consolidare qualcosa di immediato nella propria memoria (per poi poter raccontare la mostra di…, l’esposizione del…) o cercando l’utopia di uno sguardo schietto e senza fondazioni assolute, insomma per immergerci in primo luogo con un occhio vergine quanto più libero dai condizionamenti culturali (troppo culturali) di cui siamo portatori non sempre sani – il gioco è di per sé un po’ perverso e malato, ma se non altro porta via pochissimo tempo. Poi noi si compie il giro più seriamente e analiticamente. Il risultato di questo giro di perlustrazione sarà reso noto a breve, a conclusione di questo (chiamiamolo così) pezzo.

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il Pickwick

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