“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Eleonora Cesaretti

"IJF 15" a posteriori

Come ogni anno, la terza settimana del mese di aprile trova Perugia in piena fibrillazione per il Festival Internazionale del Giornalismo.
Da scribacchina, non c’è evento che potrebbe rendermi più lieta, tranne forse l’istituzione della Festa della Letteratura, o della Scrittura Creativa: finalmente un evento che non riguardi l’alimentazione, o la musica. Niente in contrario a tavolate odorose di prodotti gastronomici o contro scenografiche armonie di ottoni, ma addirittura un festival – termine che sottintende una durata calcolabile in giorni – su uno dei prodotti più alti della cultura umana, è più di quanto potessi desiderare.

Erosione

Cammino ormai da ventisei giorni. A giudicare però dal fermento di queste persone, che con me hanno condiviso milioni di passi, dobbiamo essere vicini alla meta.
Non riesco a rendermi conto di dove siamo: il mio senso dell’orientamento si è smarrito poco dopo Burgos, tra distese di campi giallo oro e una strada polverosa della quale non riuscivo a vedere mai la fine. Cotto dal sole di giugno, ho continuato ad avanzare quasi meccanicamente, affastellando pensieri alla stessa velocità dei sassolini negli scarponi logori, lasciandomi trasportare dal flusso di pellegrini come se fossi la spira di un serpente senza capo né coda.
Quasi di riflesso, la mia lingua rosea guizza tra le labbra screpolate come se stesse pregustando il sale dell’Oceano; mentre gli altri accelerano il passo, io rallento per cercare di captare l’odore della salsedine in quella brezza che comincia a sfiorare i nostri vestiti incartapecoriti dal sudore, dall’acqua e dall’impietoso sole.

È solo un libro

Molti ritengono l’invenzione della parola scritta come una delle più alte vette che l’umanità abbia mai raggiunto. L’importanza tecnologica e culturale del libro – come pure il suo potere persuasivo e potenzialmente sovversivo – è stata più volte dimostrata nel corso della storia dai roghi che indoravano le grandi città. Enormi falò voluti da chi aveva il potere e temeva di perderlo, milioni di pagine e litri di inchiostro ridotti in polvere, anni di lavoro umano volatilizzati nel giro di pochi istanti. Il contenuto delle opere, come pure i nomi degli autori, condannati all’oblio secondo un atto di damnatio memoriae per molti di essi irreversibile. Quando ancora i libri erano un lusso da pochi, infatti, di esemplari ne circolavano in numero relativamente ristretto, se pensiamo alle tirature odierne. E quindi il rogo significava la perdita di ogni traccia, una scomparsa irrimediabile.

Provaci ancora Noel

Noel Gallagher, universalmente noto come frontman degli Oasis insieme al fratello Liam, ha recentemente rilasciato il suo secondo album da solista. Questo nuovo disco era stato annunciato fin dall’agosto 2013 durante un’intervista a al canale radiofonico Talksport: "I've got tons of songs left over from the last one. I'm writing, putting stuff together. Yeah, I'll definitely make another [album], that's for sure". ("Ho un sacco di canzoni rimaste fuori dall’ultimo. Sto scrivendo, sto mettendo insieme delle cose. Sì, farò un altro album, questo è sicuro").

Tuttoporto

Essendo un romanzo improntato sulla figura di Don Pino Puglisi, primo martire cristiano ucciso dalla mafia e beatificato nel 2013, tutto mi sarei aspettata tranne che essere colpita da aspetti che poco hanno a che fare con la religione, almeno in apparenza. Sono rimasta folgorata, per non dire ammaliata, dalla descrizione che l’autore fa di Palermo – Panormus cioè "tuttoporto" – delle sue strade, dei suoi colori e dei suoi profumi.

Sogno

Haruki Murakami è uno di quegli autori che non riesco ad inquadrare. E come tutto ciò che è misterioso in un modo che non riusciamo né a comprendere né a spiegare, è talmente affascinante da scatenare in me sentimenti contrastanti.
Nel momento in cui scrivo queste considerazioni, ho all’attivo una storia breve e un romanzo e mezzo, nella fattispecie Norwegian Wood, metà de La fine del mondo e il paese delle meraviglie e Sonno, racconto estratto da L’elefante scomparso e altri racconti. Ed è proprio su questo che voglio concentrarmi, forse perché è quello che, nella sua brevità, si presenta come un distillato dell’identità di questo autore.

Quel giocherellone di Stefano Benni

Achille piè veloce, come tutti i libri che sono entrati a far parte della libreria del mio cuore, non ha solo il merito di presentare una storia originale, ma anche quello di essere scritto in maniera del tutto peculiare.
La storia inizia con l’impiegato di una casa editrice che conduce la propria vita vessato da imbrattacarte che vorrebbero vedere pubblicata la propria opera. È autore di un romanzo mediocre ed è arrabbiato con sé stesso perché scopertosi incapace di produrre altro; delude sé stesso perché ama una ragazza, ma non riesce ad esprimere il suo affetto per lei, con il risultato di farla allontanare sempre di più. In poche, semplici parole, è un trentenne che ancora non ha capito cosa fare della sua vita.

Per fare un albero...

"Chi conosce la scienza sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune, che l’uno e l’altro sono creati da leggi egualmente logiche e semplici".

Anton Čechov

 

Inizio questa recensione con una personalissima premessa: amo gli alberi. Mi affascina il loro permanere nel tempo, spesso oltre quello della vita umana, come se fossero taciti guardiani di luoghi speciali. La loro presenza è, per me, discreta: quando sono presenti in numerosi esemplari il mio occhio raramente si sofferma ad osservare il singolo, ma quando non ci sono – come in certe parti della città – ne avverto la dolorosa assenza. Quel verde cangiante nasconde la promessa di un respiro fresco nella torrida estate, e di un riparo dal vento sferzante dell’inverno.

Romanzo o guida turistica?

Questo è un libro che definirei “strambo” per la sua caratterizzazione in base al genere. Sembra infatti aprirsi come l’autobiografia di una siciliana che, per motivi di studio, si trasferisce a Londra, ma che poi decide di passarvi l’intera vita, costruendosi una carriera di tutto rispetto e formando una famiglia. Fin qui nulla di strano: noi lettori saremmo venuti a conoscenza dell’esperienza di una donna che, partita per avere prospettive lavorative migliori, alla fine ha deciso di trascorrere la propria vita nel Paese che l’aveva accolta.

Spirali di triadi

Uno, due, tre.
Tre, tre, tre.
Tre sono le dimensioni dello spazio in cui mi trovo, tre gli stati della materia, tre i mesi in una stagione, tre le forme temporali che vanno a braccetto con i tempi della vita di un uomo: passato, presente e futuro; gioventù, maturità, vecchiaia. Il corpo umano stesso è formato da triadi funzionali: tre strati di meningi che proteggono questo mio cervello pensante, tre le parti della vertebra, tre le divisioni degli acidi grassi demoliti dalle cellule. Galeno, medico greco, pensava che l’anima risiedesse nel cervello, nel cuore e nel fegato. È un numero che segna il limite di sopravvivenza del corpo umano, nella misura di tre minuti senza ossigeno, tre giorni senz’acqua e tre settimane senza cibo.

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il Pickwick

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