“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Marzo 2013

Sunday, 31 March 2013 23:38

Le biciclette di Ryad

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Continua l’appuntamento settimanale di Visioni, rassegna del cinema d’autore al cinema teatro Partenio di Avellino. La settimana scorsa è stata la volta de La bicicletta verde primo lungometraggio di finzione della regista saudita Haifaa Al-Mansour, la quale è anche la prima regista donna del paese arabo. Dopo essersi laureata all’Università Americana del Cairo e aver conseguito un master in regia all’Università di Sydney ha realizzato tre cortometraggi e un documentario, Women without Shadows (2005).

“Il realismo, per come la vedo io, è l’anti-abitudine: è il leggero strappo, il particolare inaspettato, che apre uno squarcio nella nostra stereotipia mentale” e “sembra che ci lasci intravedere la cosa stessa, la realtà infinita, informe e impraticabile” (p. 8).
“‘Dettaglio’ è una parola-chiave per il realismo: fin che si tratta di mettere in scena storie emblematiche, o didascaliche, si può restare sulle generali” ma “quando si vuole che il lettore entri davvero dentro al racconto come se lo stesse vivendo personalmente, allora i dettagli devono essere precisi, niente deve stonare, lo scrittore deve diventare uno scenografo assai pignolo” (p. 43). Scrive così Walter Siti, in Il realismo è l'impossibile, e sembra di rileggere il (più volte citato) Vladimir Nabokov delle Lezioni di letteratura russa (“Ciò che dobbiamo notare non sono tanto le idee. In fondo dovremmo sempre ricordare che la letteratura non è una composizione di idee ma di immagini. Le idee non hanno molta importanza, se paragonate alle immagini di un libro e alla sua magia”, p. 198) o – ancora – delle Lezioni di letteratura (“Quando si legge bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non c’è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del libro”, p. 31).

Saturday, 30 March 2013 17:06

Il cuore gelido di Meursault lo straniero

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In occasione dei cento anni dalla nascita di Albert Camus, Lo Straniero con la regia di Franco Però è andato in scena al Teatro Due di Parma nella Sala Grande in ultima data il 28 marzo. Il romanzo, definito dai critici 'esistenzialista', è stato scritto tra il 1938 e il 1940 e pubblicato nel 1942; resta un’opera fortemente attuale che rende accessibili tematiche della società contemporanea come l’essere indifferenti di fronte ad avvenimenti tragici che di norma dovrebbero perturbare profondamente lo spirito e che invece nella vicenda rendono impassibile il protagonista.

Friday, 29 March 2013 22:46

L'amata. Le lettere di e a Elsa Morante

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Chi di voi non ha amato appassionatamente questa donna piccola di statura mentre leggeva L'isola di Arturo, uno dei libri più belli del secolo scorso (la prima edizione  è del 1957)? Anche a chi non è piaciuta l’opera non è facile negare una scrittura lineare e sulfurea insieme, chiara e ombrosa; e scusate l'ossimoro. Quanti libri abbiamo letto, sentendo nelle righe un tentativo di plagio di quel capolavoro? Tantissimi, alcuni addirittura sono stati presi dallo sfizio del copia ed incolla, semplicemente.
Nata a Roma nel 1912, la Morante è una bambina terribilmente attraversata dai perché della vita, con studi incompleti, che legge Turgenev già a quattordici anni e che, se fosse ancora di moda la frenologia, si potrebbe dire ‘un’adolescente isterica e disturbata’.

Quando si cerca di vedere dentro al paesaggio, di scorgervi le cose più remote, insieme a quelle più evidenti che si raggruppano nei primi piani del panorama, si estende sempre la vista come un morbido manto coprente, che elargisce delle sensazioni quasi tattili, concrete, al nostro occhio. In quel velocissimo momento in cui si tenta di abbracciare tutto insieme, senza, al tempo stesso, perderne in dettagli, l’organo della vista è sensibile alla materia come e più della nostra mano. Scorre sul terreno, sulla strada, scavalca ostacoli, s’impantana nei fossi e nelle depressioni per risalire come una lenta alluvione fin sul ciglio dei promontori e delle colline, o per impennarsi sui ripidi spigoli di un alto edificio.
Esso si svolge in un moto continuo, s’immerge ed ondeggia nei fluidi, si sofferma solo un istante su ogni forma per poi scorrere, avanzando fino al margine estremo dell’orizzonte, fin dove è lo stesso occhio a trovarsi di fronte al limite di ciò dietro cui non si può più guardare, quell’estrema lontananza che le immagini del nostro spirito riformulano in una favola, in un mito d’immaginazione che percepisce più di quanto il nostro sguardo riesca a possedere tutto in una volta.
Può accadere lo stesso quando il paesaggio è raccolto e restituito dalla patina della pellicola fotografica?

Psichedelico, dilatato, sinfonico, barocco, esoterico: l’uomo schizoide si reincarna dopo anni di confinamento silente nei meandri più bui della sua stessa lucida pazzia. E torna a vivere grazie alle prodezze di tre gruppi che hanno fatto, ognuno a proprio modo, la storia del rock progressivo italiano. E non solo.
Sì perché, quando si parla di “Prog”, si pensa immediatamente alle icone del genere, che, erroneamente, vengono identificate sempre e solamente in band straniere.

Wednesday, 27 March 2013 13:26

Movimenti

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Voce.

Tocca l’Africa per la prima volta il mio piede. Brucia la terra sotto la pianta del piede che, come un ferro rovente, cancella le mie impronte. Non mi muovo – immobile non per scelta, ma come necessità esistenziale, poco importa se logica o meno.

 

Posso muovermi! Posso muovermi, incontro la terra d’Africa: è come ubriacarmi. Tutte le mie percezioni sono alterate, non m’inganno, è come se sentissi di più. Il mio corpo è in ascolto completo, ma è difficile muoversi in questo stato, barcollo, cado spesso spaventato da qualche ombra. La gioia sembra andare al pari col dolore, entrambe aumentano. Il fuoco si è impossessato di me, tutto il torace è fiamma e non posso muovermi molto perché affanno. Non sono sicuro d’essere adatto per questa terra che pare respingermi. A passi lenti riesco a camminare tra la natura, alla quale resto indifferente. Sono sconvolto per tale potenza. In una radura colgo gli elefanti che si abbeverano e si abbandonano in giochi; l’immagine mi dà un dolore dilaniante alla testa, una pressione spaventosa alle tempie. Sudo. Mi muovo lento lento, quasi sembro stare; cado come un sasso.

C’è qualcosa nella quotidianità che non riesce proprio a essere “quotidiano” nel senso di una medietà assoluta, c’è qualcosa che rimane sempre in un doppio fondo, in una stramba piega della mente, come il senso di una immersione nella profondità, o di una malinconia della profondità, in poche parole: una piccola e delicata ossessione. Ed allora il nostro rapporto quotidiano con gli oggetti si macchia sempre di qualcosa di “altro” e, del resto, questa è la maledizione nostra propria, nostra nel senso “umana”, quella di vivere in un mondo di oggetti che ci circondano, ci danno una mano, più spesso ci dominano, sempre si posizionano lì muti ad osservarci, contenti del loro dominio assoluto su di noi.

Wednesday, 27 March 2013 02:53

Conversazione con Aldo Rapè

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Mutu è la storia di due fratelli che crescono nel silenzio e nell’incomprensione reciproca. È la messa in scena di quel sonno della ragione e del coraggio di vivere, che è l’humus di ogni sistema di vita mafioso. Il Silenzio che ha spento, nella sua forza vitale, un’intera società s’insinua ora nelle tragiche esistenze dei due protagonisti, che intrapresi due percorsi esistenziali diversi, si ritrovano insieme e intraprendono un serrato ed emozionante dialogo che riallaccia i fili della memoria contro il potere dell’oblio che invano aveva tentato di scioglierli e in cui sembra essersi smarrito il fratello mafioso (Saro).

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