“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 08 January 2014 00:00

Una tragedia senza catarsi

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Nell’ironia di Loguercio non c’è nessuna paternale sprezzante, niente di allegro, neppure un cenno di condivisione. La sua esibizione si presenta quasi come una competizione sportiva, un allenamento con gli attrezzi. Sorridere di una tradizione, che è quella della romantica lirica napoletana, vorrebbe significare stabilire una connessione tra la propria esistenza e il mondo, vedere per un attimo il mondo dal di fuori, per osservarlo.

L’obiettivo, però, non è raggiunto, perché dai testi di Loguercio emerge una visone dell’amore paragonabile a un’idea fissa, frutto di emozioni che per esistere hanno bisogno di un concetto strettamente collegato alla sensualità, come se a questo mondo, ogni rivolgimento al di fuori delle sensazioni fisiche non fosse che una menzogna. Ma se fosse così la sensualità stessa non sarebbe che una simulazione, perché per donare un corpo alle emozioni, renderle gocce di sudore e liquido corporeo, per farle vivere, insomma, è necessario non essere come chi nasconde il proprio animo, affinché altri vi aggiungano un contenuto, ma come colui che sa donarsi per rivelarsi, senza mai pensare che ciò che persegue sia un falso ideale. Le emozioni cantate da Loguercio, invece, muoiono nell’illusione di un desiderio insoddisfatto, pari a uno strazio senza fine:

 

Passano 'e juorni ma nun passa 'sta cundanna
'E sta luntani pure si stammo vicini
Io tiro a te e tu tiri a me 'sta funa 'nganna
E sanno 'e zuccaro 'sti ttsenghe clandestino
Ė proprio chiummo 'ncopp' 'o core 'stu destin'
Luntano Ammore Luntano Ammore
Ma qual Ammore è nu strazio senza fine
Luntano Ammore povero Ammore


... che non conosce sublimazione alcuna, e trova espressione nella voce un po’ monotona e arrendevole di colui che vorrebbe liberarsi dall’astrattezza del pensiero, per rendere i propri sentimenti materia dolorante, composta di parole e sangue, (Tu ‘è vulut ‘o sanghe mio) ma quello che rimane è una lingua da sgrassare, è il tanfo di un cuore che come una una barca anela al mare, eppure lo teme ed è, per usare i versi dell’Antologia di Spoon River, “la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio”:

I t’aspette ccà sott’a 'stu cielo scuro
Nun sarrà stasera ma tu ‘a ccà ia passà
Tu può partì luntan' e può straccià ‘e juorne passate

L’immagine, poi, di un io che soffre e rinuncia a sé per poter far spazio a un altro è stereotipata, nei fatti non funziona, perché per amare, cioè per desiderare ciò di cui siamo mancanti, bisogna mostrarsi presenti “qui ed ora”, essere completamente uno con noi stessi, sollevati nella nostra personale esperienza, privi di esistere in un altro modo che non come e dove siamo e ciò è possibile solo quando spasimo, colpa, turbamento, ira e vuoto anziché essere il pretesto per un vuoto pessimismo, intonato tramite un miserere


Scetateve bavuse e pupatelle ‘Babbilonia
Arapite‘ ccape ‘e cosce ll’ uocchie ‘e ‘mbrell
E sarrà nu maciell ‘e caprettelle

rappresentano il tentativo di dare un senso alla propria vita. La lingua di Bovio e di Viviani, tra l’altro, musicata dal bravissimo organettista Alessandro D’Alessandro e rivisitata alla luce di una poetica del disincanto, non trasmette quel pathos di cui il napoletano è da sempre stato espressione, perché quella che ne vien fuori è una lingua dalla sintassi pietrosa, composta da toni eseguiti con stili mescolati, caratterizzata da una prosodia che non affascina, ma che lascia piuttosto un senso di abbozzato. La vera tragedia, dunque, sta proprio nell’amarezza di un amore ca schiatt ‘e tunsill' e nun respire, perché non è l’amore maturo del “sono amato perché amo”.

 

 

NB. L'immagine di copertina all'articolo è di Simona Cesana

 

Tragicoammore – derive sentimentali
di
Canio Loguercio
con Maria Pia De Vito, Maria Grazia Calandrone, Gilda Policastro, Giuseppe Boy, Tommaso Ottonieri, Lidia Riviello, Paolo Modugno, Rocco De Rosa
illustrazioni dal vivo Ehsan Mehrbakhsh
organetto e loops Alessandro D'Alessandro
durata 2h
Aversa (CE), Auditorium Bianca D’Aponte, 3 Gennaio, 2014
in scena 3 gennaio 2014 (data unica)

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