“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 19 December 2012 17:00

La disfatta, in perfetta solitudine

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Simone Ghelli è nato nel 1975. Lo stesso anno, negli Stati Uniti, si è registrato il più basso tasso di natalità dopo la Seconda Guerra Mondiale. Anche in Italia. “Cosa promette di proiettare sui nostri tempi una stagione così grama, allorché i suoi figli saranno ufficialmente investiti del titolo di ‘adulti’?” si chiedeva il giornalista Stefano Pistolini in Gli sprecati. I turbamenti della nuova gioventù (Milano, Feltrinelli, 1995), saggio sulla generazione nata tra fine anni ’60 e fine ’70, quella che viene dopo tutto: boom, guerre, ideologie. Simone Ghelli, nel 2012, investito da qualche anno del titolo di “adulto”, proietta sui nostri tempi l’esperienza sua e della sua generazione attraverso un romanzo breve, Voi, onesti farabutti (edizione CaratteriMobili). Esso si pone come rovesciamento di quel paradigma fortunato quanto già inattuale, argomentato da Antonio Scurati, che è “la letteratura dell’inesperienza”:

“In questo nuovo orizzonte dove orizzontarsi è impossibile, diviene anche sempre più difficile assumere la posizione del narratore, il quale ha bisogno di stagliare la piccola cosa della propria esperienza sullo sfondo del grande racconto del mondo, come insegnava Benjamin; diviene sempre più difficile che il tempo si umanizzi entrando in un racconto e che l’attività del narrare raggiunga il suo pieno significato diventando condizione dell’esperienza umana del tempo, come voleva Ricoeur”. (La letteratura dell’inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione, Milano, Bompiani, 2006, pp. 21-22).
Sono passati appena sei anni, e un grande evento, la crisi del sistema economico capitalistico in fieri dal 2008, si è abbattuto sull’umanità destabilizzandola al punto da fomentare scenari apocalittici proiettati ben oltre la congiuntura economica. Dall’inesperienza di Scurati si è così passati al titolo emblematico, Un esperimento senza precedenti, del paragrafo 1 dell’introduzione a Disumane lettere, autrice la critica letteraria Carla Benedetti, che così inizia:
“In questa epoca, in questo piccolo intervallo dentro al tempo smisurato del cosmo, noi contemporanei stiamo vivendo un’esperienza che non ha precedenti in tutta la storia dell’umanità. Per la prima volta la specie umana fa i conti con la possibilità di scomparire a breve termine, trascinando nella sua agonia altre specie viventi. Gli scienziati prevedono un collasso del pianeta di qui a un secolo per surriscaldamento, sovrappopolazione, epidemie, esaurirsi delle risorse naturali, guerre per appropriarsi del poco che resterà, finché resterà – a meno che non si inverta la rotta, da subito. È una condizione drammatica e nello stesso tempo assolutamente nuova, che nessun’altra epoca storica ha mai dovuto fronteggiare prima d’ora”. (Disumane lettere. Indagini sulla cultura della nostra epoca, Roma, Laterza, 2011, p. 3).
In questa epoca, Simone Ghelli, classe ’75, narra in prima persona l’esperienza, meno disumana ma pur sempre disumana, meno apocalittica ma pur sempre apocalittica, di uno di quelle generazioni che oggi non hanno nulla e riescono a vederci poco al di là del proprio naso: li chiamano “precari”, per loro il futuro è una variabile impazzita.
L’io narrante parla al presente, nel presente ricostruisce la memoria del nonno che ha vissuto l’esperienza della grande guerra e tutto quanto ne è venuto dopo, e nel presente si ricostruisce attraverso la propria piccola esperienza vissuta in un habitat ancora impregnato di ideologie (l’anarchia: “esser onesti con gli altri”, p. 36) negli anni del crollo delle ideologie (Lyotard, ancora, docet). Mentre il mondo dei valori del nonno va in pezzi, l’io narrante, che a quel mondo appartiene, e ci appartiene al punto che l’intera narrazione è stretta dal cordone ombelicale maschile nonno-nipote, pur sottostando supinamente al principio di realtà con tutto il corollario di scelte che esso impone, constata la propria disfatta:
“Eppure ho fatto come tanti, nonno: mi sono isolato; anche se ho continuato a guardare, ad ascoltare, con i sensi lacerati da decenni di soprusi. Si può dire che anch’io mi sia dato alla macchia, ma non ho di che sparare, e sento le parole cadere fuori dal bersaglio. Siamo truppe allo sbando, nonno, e ognuno si guarda alle spalle; altro che solidarietà: verrà il giorno che li troverò alla porta, a dirmi che gli dispiace, che non ho più i requisiti. Verrà il tempo che non potrò più adattarmi, a forza di cambiare: che non saprò nemmen più che ci faccio, a questo mondo” (p. 82).
L’io narrante è adulto, sconfitto, isolato. Gli manca la Maremma, e “la lingua indurita dalla terra” (non è casuale la scelta stilistica dell’autore, così distante dai linguaggi contemporanei infestati dai media e da altre mode, così vicina alla lezione di Tozzi e Bianciardi, con quei «ché» tanto demodé e tanto vetero-novecenteschi), e le “grandi idee”.
Ma la disfatta non è solo quella delle generazioni della crisi. Essa si consuma prima, quando sono state combattute le ultime battaglie per le idee, ai tempi delle generazioni dei padri (non è un caso che il cordone ombelicale nonno-figlio salti il padre), gli ultimi veri sconfitti, quelli che non hanno visto la storia srotolarsi loro malgrado dal tubo catodico.
Uno di questi padri è un poeta toscano, Federico Fiumani, leader dei Diaframma, storica band New Wave in attività dalla fine degli anni ’70, il quale oltre vent’anni addietro cantava qualcosa di paradossalmente speculare rispetto all’isolamento del protagonista di Voi, onesti farabutti:
“I giovani i giovani sono venuti a cercarmi ma io non ero a casa
i giovani i giovani sono venuti a cercare... me
han sfondato la porta han deriso il mio letto prigione
mi hanno detto cosa fai lì dentro
ma perché ti nascondi fuori il mondo cammina e va avanti
senza te... senza te
[…]
e sentivo milioni di anni
di sconfitte del marmo teso contro la mia povera pelle”
(I giovani, da In perfetta solitudine, 1990, track 5).

 

 

Ghelli Simone
Voi, onesti farabutti
Altamura (Bari), CaratteriMobili Editore, 2012
pp. 104

 

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