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Monday, 23 September 2013 02:00

Cataloghi impossibili e singolari biblioteche

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Ognuno di noi, al di là della sua specifica occupazione e della sua disposizione esistenziale, è più o meno funestato da dubbi e incertezze circa il proprio mondo, chiunque, in un modo o nell’altro, è temporaneamente afflitto da domande che all’apparenza possono sembrare anche innocue, talvolta addirittura scherzose. Domande che tuttavia portano con sé tutto il peso grave delle cose in quanto tali.

Si prenda, per esempio, il caso bizzarro di un bibliofilo; per costui, abitante di universi molteplici e contemporanei, cosmonauta degli eterei spazi della narrazione e apostolo inveterato di tattili godimenti cartacei, una di tali questioni di cui si sta dicendo, forse quella fondamentale, è sintetizzabile in una secca e sgomentevole interrogazione recitata a mezza bocca, preferibilmente in solitaria, ancor meglio se in un gotico ambiente di per sé brunito ma illuminato fievolmente dalla luce bassa di una lampada a incandescenza, perché il baleno ambientalista e corrusco del risparmio energetico e del neon è una volgarità da nosocomio o da grande magazzino, non da biblioteca. In che modo, ragiona tra sé il nostro bibliofilo, devo organizzare i libri sui miei scaffali?
Tuttavia è pur vero che, in quanto esseri umani, bibliofili o meno, una certa sottomissione alle pratiche di ordinamento e sistemazione delle cose ci è sempre richiesta. Tuttavia tali medesime pratiche, che già nel quotidiano di chiunque sono densamente popolate da dilemmi piuttosto tenaci e rubesti (perché, per esempio, al supermercato il riso si trova accanto alla pasta e non in reparto con i cereali soffiati? e perché questi ultimi, invece di trovarsi con riso, farro e orzo da zuppa sono affiancati da frollini e merendine?), nel caso del bibliofilo alle prese con i suoi libri a volte si spingono fino a far vacillare quell’affanno enciclopedico di gusto illuminista che bene o male ci guida quando diamo un posto agli oggetti che ci circondano.
Mentre seguita dunque nel suo ragionare, il nostro bibliofilo, provando a trovare una soluzione al quesito posto di sopra, potrà imboccare diverse strade, tutte egualmente legittime, questo è naturale, poiché egli, nell’intimità delle sue quattro o più mura, è padrone e sovrano, demiurgo panottico di una microfisica sui generis valida fin quando sono validi i suoi disciplinari appetiti momentanei. Egli potrà quindi decidere per il più che lecito criterio di archiviazione nazionale, rubricando i propri volumi in base all’appartenenza amministrativa dell’autore segnato sulla costola dei libri; in questo caso, tuttavia, tale criterio terrebbe fuori, per esempio, le raccolte collettanee meticcie firmate da più nomi la cui origine è sparsa in giro per l’orbe; tali raccolte saranno così poste in luoghi periferici della biblioteca stessa, spazi a visibilità azzerata che, atti a mostrare l’indicibile celandolo in maniera inespugnabile e maestosa nelle latebre del suburbio come i lebbrosari preclassici e i manicomi classici, albergherebbero l’esclusione. Lo stesso avverrebbe se il nostro bibliofilo optasse per il criterio linguistico, sorvolando rapidamente, ancora a titolo esemplificativo, sulla differenza tra lo spagnolo iberico e gli spagnoli dell’America Latina, per dirne soltanto una. Oppure egli potrà decidere di adottare il criterio dell’editore, sistemando i propri libri in classi determinate dalla casa che li ha stampati e pubblicati (sottoclassi sarebbero, ovviamene, le diverse collane). In quest’ultimo caso, il nostro bibliofilo potrebbe bearsi anche di un certo regolare godimento estetico della forma, godimento che potrebbe addirittura portare alle estreme conseguenze preferendo invece un metodo cromatico, grazie al quale sistemare i libri sugli scaffali nell’ordine crescente o decrescente del sistema RAL. Vi sarebbero poi il criterio della dimensione dei volumi, quello cronologico dell’anno di edizione, quello alfabetico dei titoli, e così a seguire per una lista lunghissima e probabilmente mai satura.
Veniamo così a noi.
Il protagonista dello stravagante romanzo del belga Bernard Quiriny La biblioteca di Gould (L’Orma, 2013), colui del quale in fondo qui vogliamo parlare, bibliofilo incallito, sceglie di sbarazzarsi di qualsiasi metodo succitato decidendo invece di adottarne uno descrittivo, basato sulle capacità del singolo libro, e arbitrario, come d’altronde lo sono tutti gli altri. Egli, in sostanza, decide di basarsi su un metodo che dia ragione di ciò che i libri hanno significato e significano nell’universo multiforme che essi presuppongono e strutturano a partire da uno sguardo orgogliosamente partigiano e soggettivo: il suo. Ecco che l’immaginifica biblioteca di Gould, fantastica alla maniera di quella più famosa sognata prima da Kurd Laßwitz e poi da Jorge Luis Borges, segue un criterio a suo modo minuzioso, per cui i volumi occupano lo spazio loro necessario secondo categorie come quelle che seguono:
I NOIOSI: libri che, come dice inequivocabilmente il nome, racchiudono meglio di qualunque altra cosa il tedio, perché “la letteratura è noiosa come il fango, […] sporca le mani e non ha nessun valore; ma, se scuotiamo il setaccio [al modo di un cercatore d’oro], a volte vi troviamo una pagliuzza […], un libro reso particolare proprio dal gran numero di sbadigli che procura, specie quando questi superano la soglia comunemente ammessa” (p. 33).
I LIBRI MATRIOSKA: libri che all’apparenza raccontano una storia, semplice o complessa non fa differenza, me che in filigrana contengono tesori ricchissimi nascosti tra le parole e l’incedere della sintassi. E sta al lettore, al suo acume e al tempo impiegato nella lettura, scovare tali nascondigli.
I RINNEGATI: libri fortemente disprezzati, per un motivo o per un altro, dai propri autori.
Gli EVAPORATI: libri che vivono di vita propria, correggendosi e asciugandosi da sé, letteralmente assottigliandosi come fossero pozze d’acqua in agosto, cosicché tutto quanto al loro interno vi è di superfluo vada a poco a poco scomparendo, lasciando nel tempo che l’essenziale resti a occupare soltanto poche pagine, forse anche una soltanto, o magari nemmeno quella.
Bizzarro modo di organizzare una biblioteca, senza dubbio. Possibile anche, direbbero in molti, poiché il mondo in cui vive Gould, stando a quanto ci racconta Quiriny nel suo romanzo, non risponde alle leggi che reggono il nostro, ossia quello di noi lettori che stiamo dall’altra parte del libro. Lì, infatti, vi sono città, ispirate chiaramente ad altre più famose in letteratura (così come i libri di Gould s’ispirano ad altri più famosi), che il nostro bibliofilo ha visitato e di cui nella pagine del libro ci fa ampio resoconto. Città speculari separate da un fiume in cui dalla riva di destra e da quella di sinistra si sviluppano case, isolati e quartieri perfettamente sovrapponibili tra loro. Città che a poco a poco si sgretolano, lasciate nell’incuria da abitanti fin troppo fatalisti. Città che al loro interno possiedono perfette riproduzioni di se stesse le quali a loro volta contengono perfette riproduzioni di se stesse e così a seguire.
Insomma, sarà ormai chiaro: Gould, la sua biblioteca e il suo mondo, nascono dalla concreta intenzione di Quiriny di mettere Calvino e Borges dentro lo stesso romanzo. Operazione rischiosa, si direbbe, di certo fortemente ambiziosa. Il risultato è divertente, per certi aspetti anche spaesante, di sicuro a volte si approssima al manierismo e alla venerazione dei modelli. Ma questo è un rischio che va corso quando si decide di raccontare certe storie e di immaginare certi mondi. E noi lettori, che di questi stessi mondi siamo visitatori, una volta letti i ventisette capitoli de La biblioteca di Gould possiamo guardarci intorno, mescolare tutti gli oggetti che ci circondano in un unico calderone e poi farne un nuovo inventario, utile a farci vedere le cose in modo diverso, a considerare tutte le possibilità di ordinare gli oggetti che durante la storia, per arrivare fin dove siamo arrivati (ci piaccia o meno), abbiamo scartato. È un gioco assai divertente, questo è certo. Merito di Quiriny e, soprattutto, dei suoi modelli superiori.

 

 

 

Bernad Quiriny
La biblioteca di Gould. Una collezione molto particolare
traduzione a cura di Lorenza Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco
Roma, L’orma, 2013
pp. 192

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