“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 13 September 2013 02:00

Due strati di “verosimile” per capire che resistere non serve a niente

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Si può partire da una nota al testo per un libro che ha perfino vinto uno “Strega”? Il libro di Walter Siti Resistere non serve a niente.
Lo faccio in maniera pretestuosa, d’accordo, eppure una parola che vi si legge sta agendo con cinico accanimento sulla mia riflessione: “verosimile”. Una categoria messa a repentaglio dal vero, o il realistico allo stato puro, e il totalmente inventato. Una categoria insana, selvatica, che però fa la differenza: un grande scrittore è colui che sa gestire, plasmare il “verosimile”, ovvero rendere ancora più credibile e accettabile del vero ciò che racconta.

L’Europa, ad esempio, ha conosciuto un mondo il cui collasso ha dato il là a un’immensa produzione letteraria. Ed è stata grande letteratura. Parlo della Mitteleuropa: Musil, Marai, Roth, Boyd, davvero tanti scrittori ci hanno raccontato quello che è stato un crepuscolo degli dei. In maniera efficace, partendo da una situazione reale, perché la fine dell’Austria-Ungheria si annusava, si percepiva, si vedeva, si viveva, si verificava, e arricchendo poi il concreto storico di “distorsioni” ed episodi che erano frutto della fantasia ma che si adattavano agli accadimenti. Il risultato finale era, appunto, “verosimilmente” attendibile.
Scendiamo un gradino e andiamo ad analizzare l’antefatto, il quadro di Resistere non serve a niente. Detto all’ingrosso: il capitalismo contemporaneo e le sue dinamiche. Ma il capitalismo è già stato argomento di letteratura, fin dalle sue origini inglesi. Quando Dickens scriveva Oliver Twist il mostro era all’opera, ciminiere ributtanti ammorbavano l’aria delle città e le fabbriche ospitavano bambini di 8-9 anni per molte ore al giorno in condizioni igienico-sanitarie che è meglio non ricordare. L’inventiva che uno scrittore immetteva nella sua opera, partiva da dati evidenti perché qualunque suddito britannico che alzasse gli occhi al cielo poteva vedere il fumo delle fabbriche mentre se teneva lo sguardo orientato sul marciapiede camminando per strada, doveva stare attento a frotte di ladruncoli adolescenti. Lo scrittore prendeva un dato triste della realtà e ci costruiva attorno la figura di un Jack Dawkins, il volpone, come lo chiamavano gli amici, che offriva vitto e “lavoro” a Oliver. Ancora da reale a “verosimile”.
Nel romanzo di Siti, si parte da un materiale diverso, il “verosimile” stesso, procedendo giocoforza da “verosimile” a “verosimile”. Chi intende confrontarsi con la vicenda di uomini e donne protagonisti del capitalismo “liquido” attuale, dovrà fare così perché mentre scorrono le pagine il pensiero che prevale diventa: non è possibile.
Non è possibile, ovvero non è reale, che da un pugno di uffici collocati al centesimo piano di un grattacielo di una metropoli dell’Occidente, o cinese o di un emirato, si possano tenere sotto scacco le economie di mezzo mondo. O, forse, l’unica economia-mondo. Se da un computer di questo ufficio viene lanciato il messaggio di monitorare il progetto spaziale ucraino in Brasile, una nuova Beirut godereccia a Ciudad del Este, che è un luogo insulso del Paraguay, le banche iraniane in Albania e una maxifonderia cinese in Uganda, questo è recepito e attuato in tempi rapidi. Ma di cosa stiamo parlando?
Mica è finita: c’è da fare crescere una nuova generazione di hacker rumeni e di clonatori di carte di credito yoruba. Fino ai rumeni, ci arriviamo tutti. Per i poveri yoruba, confesso che devo appellarmi almeno a Wikipedia. Gli eredi degli schiavi di un tempo, sono i clonatori di Visa e Mastercard. Si prendono anche così le rivincite sulla storia.
Il giorno dopo ci sono da fomentare gli scioperi a Caracas tanto da fare prendere un’ulcera a Chávez, che prima o poi ci rimarrà secco, mettere un freno alle tecnologie indiane, trovare un metodo per blandire, o tenere sotto scatto, il ministro delle finanze di Panama e vendere azioni Disney se è confermata la siccità in Ohio, Illinois, Kansas e Minnesota, la cosiddetta Corn Belt, che determinerà raccolti di granturco meno abbondanti e il rischio di un aumento del prezzo dei popcorn. Insisto: ma di cosa stiamo parlando? Eppure è questo che il libro scoperchia, una cosa ai limiti dell’immaginabile, che stenti a credere possa accadere, una cosa “verosimile” di per sé, o inverosimile. Lo scrittore poi ci ricama di suo e produce un “verosimile” a due strati.
Il primo strato è il tempo dove viviamo tutti, volenti o nolenti. I più sensibili possono chiedersi dove si annida l’errore, il punto di non ritorno. I più cinematografici arrivano a esclamare: altro che “navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione". Il quotidiano spezzatino di ordini e opzioni sta oramai stringendo per le palle, prima che le nostre riserve obbligazionarie, una lingua bellissima come l’italiano, secolare processo dove un Boccaccio poteva descrivere una donna anche così: "con un paio di poppe che parean due ceston da letame".Italiano adesso costretto a importare termini raccapriccianti e devastanti. Mi preoccupo più di questo che delle troie da basso impero, che ci sono sempre state peraltro, fin dai tempi della Dc, prima dunque dei venti anni di berlusconismo, e ce lo aveva ricordato di recente Sorrentino.
Il secondo strato è la scrittura: uno potrebbe pensare che l’autore contemporaneo parte avvantaggiato dal fatto che questa categoria del “verosimile” se la trova già confezionata dall’assurdo che lo circonda.
Attenzione: il doppio strato di “verosimile” deve combaciare bene alla fine dei giochi. Non posso certo spalmare un barattolo di Nutella su una fetta di pane o mettere un chilo di sale su una bistecca: ci vuole che la cioccolata stia bene sulla mollica ed esploda fra le labbra al primo morso.
In questo romanzo il contesto di partenza e gli ingredienti aggiunti lievitano senza forzature. Il protagonista sarà un po’ di maniera, speculatore infallibile dopo infanzia terribile e famiglia che è meglio perdere che trovare, c’è la nuova mafia uscita dal college, ma l’impianto è una stratificazione riuscita di tante plausibilità tenute a bada, direi, da un io narrante non qualsiasi, Walter Siti stesso che non ha remore a farsi guidare dalla fascinazione oscura che il male, negarlo è inutile quanto resistere, esercita.

 

 

 

Walter Siti
Resistere non serve a niente
Milano, Rizzoli, 2012, pp. 324

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