“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 30 August 2013 02:00

La bella estate

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La mamma era stata categorica: “Niente bagno dopo pranzo altrimenti muori.”
“Muoio?” chiese Elena, “Ma...Come... Subito?”
“Ti viene un mal di pancia fortissimo e affoghi. Stai zitta e aspetta un'ora” tagliò corto l'altra.

Elena si era seduta all'ombra, sbuffando. Da nove mesi aspettava le vacanze estive e adesso tutto sembrava andare per il verso sbagliato: contrariamente al previsto, gli zii e i cugini non li avrebbero raggiunti: era condannata a sette lunghissimi e noiosissimi giorni in compagnia dei suoi genitori. Che poi, che compagnia. Sua madre si rintanava tutto il giorno nei bizantinismi della Settimana Enigmistica o in qualche rivista dal titolo breve riemergendone solo per mostrare disappunto:
“Ma volete piantare l'ombrellone lì?”
“Non ti rendi conto che così sporchi tutto?”
“Lascia perdere, lo faccio io, qui nessuno è in grado di far nulla da solo!”
Suo padre trascorreva metà della giornata a telefono e l'altra metà russando con la Gazzetta dello Sport lasciata sul viso a mo’ di parasole. Il giornale fungeva anche da amplificatore restituendo un suono profondo, ancestrale, da animale feroce nascosto in una grotta, da millenni.
Quel secondo giorno di vacanza non sembrava promettere nulla di buono.
Elena guardava i ragazzini dell'ombrellone accanto tirarsi un fresbee. Erano italiani ma parlavano con un accento che non aveva mai sentito, usavano parole tronche che suonavano eleganti e misteriose come una formula magica. Provava a ripetere a bassa voce le parole che si scambiavano i tre ragazzini - Ridammela, Basta, Vieni, Belìn - ma non sembravano le stesse, non erano altrettanto melodiose e sulle sue labbra si caricavano di zavorre.
La ragazzina più grande si divertiva un mondo a rincorrere i fratellini, aveva un bikini bianco, abbronzatura dorata, gambe magrissime e lunghi capelli castano chiaro.
Elena abbassò lo sguardo su se stessa.
Quello che vedeva non le piaceva affatto: grasso. Grasso ovunque. Strizzato dall'elastico di un costume ormai troppo piccolo le schizzava via dalle cosce, da sotto le braccia, dai lati delle ginocchia.
Nessuna traccia delle clavicole che spontaneamente premevano contro la pelle della ragazzina.
Di seno neanche un accenno.
Si passò una mano sui fianchi e scoprì che per toccare le ossa avrebbe dovuto improvvisarsi archeologa.
Trattenne il respiro per nascondere la pancia.
Poi si girò verso destra contemplando la madre, la faccia nascosta tra le pagine bianche del sudoku, il volto contrito. Il russare di suo padre aleggiava nell'aria. Tornò a guardare la ragazzina bionda e i suoi fratelli. L'estate è una beffa, pensava Elena: si aspetta tutto l'anno per poi scoprire di non meritarla.

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