“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 30 August 2013 02:00

Da La morte della famiglia a Otto scene di famiglia: Yasutaka rilegge Cooper?

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Nanase fa la domestica, però è telepatica. Cioè fa la domestica perché è telepatica: il mestiere le è necessario per cambiare continuamente luoghi e persone, perché il suo potere, la telepatia, va tenuto segreto. Possedere un potere eccezionale fa paura. Fa paura agli altri, ma anche a se stessi. Nanase lo sa.

Otto scene di famiglia (1972) è una raccolta di racconti di Tsutsui Yasutaka, scrittore giapponese eclettico che a qualcuno potrebbe essere noto per Paprika (http://www.youtube.com/watch?v=-ZKXXNCkrf4), adattamento in anime del 2006, ad opera di Satoshi Kon, del romanzo omonimo edito nel 1993. Paprika è una dottoressa che in un futuro non troppo lontano sperimenta un’invenzione che permette agli psicanalisti di accedere ai sogni dei pazienti col fine di aiutarli a superare i traumi. Poi le informazioni sull’invenzione vengono rubate e il ladro riesce a far vivere alle sue vittime sogni ad occhi aperti, e addirittura a creare un sogno collettivo capace di distruggere l’umanità. Poi Satoshi Kon, nel 2010, è scomparso prematuramente per un tumore al pancreas − aveva quarantasei anni − e prima di morire, sul suo sito web, ha scritto:

"Pieno di gratitudine per tutto ciò che di buono c’è nel mondo, poso la mia penna.
Con permesso. Satoshi Kon"

Ma questa è un’altra storia.
Tornando al libro di Yasutaka, i racconti che lo compongono sembrano formare un romanzo se non altro perché la protagonista è un personaggio in evoluzione. Nanase infatti, passando di famiglia in famiglia, cresce d’età e la sua personalità acquisisce ulteriori sfumature, positive e negative: nel primo racconto è una diciottenne, nell’ultimo ha quasi vent’anni; in principio viene trattata come una ragazzina, alla fine come una donna desiderabile, al punto che tutti si chiedono come mai faccia ancora la domestica. Nanase usa il suo potere con disagio, ma anche con perversa cattiveria, soprattutto perché non sopporta quel substrato di ipocrisia che troppo spesso tiene unite le famiglia, e allora tenta di scardinarlo, tenta di porre gli individui dinanzi a verità scomode, e i risultati sono sempre interessanti.
Nel 1971, un anno prima della pubblicazione di Otto scene di famiglia, David Cooper, psichiatra sudafricano, ha pubblicato La morte della famiglia, un’opera diventata presto un classico imprescindibile non solo per gli specialisti. Tesi di partenza è che la famiglia ha una fondamentale funzione di mediazione sociale, in quanto “consolida il potere effettivo della classe dirigente in qualsiasi tipo di società basata sullo sfruttamento, fornendo ad ogni istituzione sociale una formula paradigmatica facilmente manovrabile” (p. 10), motivo per cui vediamo il “modulo familiare” riprodotto nelle varie strutture sociali. La famiglia, in Cooper, è il nemico.
In Otto scene di famiglia il nemico è Nanase. Le famiglie la congedano, di continuo, perché ella costituisce quasi sempre elemento di disordine, e viene preferito un ordine precario fondato sulla falsità piuttosto che un nuovo ordine virtuoso. Nanase, leggendo nel pensiero, ci mostra tutto quanto c’è dietro alle apparenze, e non è bello ciò cui assistiamo. Eppure, nonostante in ogni racconto di Yasutaka risulti evidente l’estrema fragilità del sistema familiare, l’eversione non giunge al punto estremo del rovesciamento: la famiglia, fondata su valori ambigui come “normalità” e “rispettabilità”, deve sussistere nonostante tutto, e chiunque, esterno alla famiglia, osi destabilizzarla costituisce, appunto, il nemico; Nanase, dunque, non la famiglia. Non è un caso se gli altri cinque racconti con protagonista la domestica telepatica, pubblicati nel 1975 (Di nuovo Nanase il titolo), registrino lo sterminio, da parte di un’organizzazione segreta, della protagonista e delle altre persone con il suo stesso potere; dice la curatrice Maria Grazia Migliore che in questa persecuzione attuata nei confronti dei “diversi”, dei “mostri”, “è evidente la metafora di una società che, non potendo permettere l’esistenza di individui che sfuggono alle sue leggi, ritiene necessario distruggere l’individualità e livellare ogni devianza” (p. 6). Il fatto è che la “destrutturazione del vecchio mondo” di cui parla Cooper non deve avvenire; lo scrittore giapponese non contempla, nella sua saga su Nanase, la “morte della famiglia”, e Nanase e gli altri profeti (dice Cooper che “forse possiamo diventare non già dei falsi messia, bensì dei veri profeti che non ciarlano ma che si comunicano l’un l’altro dei veri messaggi” p. 82) devono morire come comuni martiri. Dagli anni Settanta ad oggi sono successe tante cose, sono avvenuti dei cambiamenti, ma la società con le sue eterne contraddizioni permane. La tragedia è che i “porci con le ali” sembrano essere estinti, oppure ce ne sono ancora, ma semplicemente nessuno li cerca più, tanto loro se ne fregano, vivono in mezzo ai porci, ormai dimentichi della folle ebbrezza del volo. È qui che l’apocalisse è diventata esercizio di stile e nient’altro.

 

 

 

 

 

Tsutsui Yasutaka
Otto scene di famiglia
(1972)
a cura di Maria Chiara Migliore
traduzioni di Maria Chiara Migliore, Oleg Primiani, Marta Pepe, Paolo Manieri, Donatella Attanasio, Dionisia Masciullo, Elisa Costantini.
Arcoiris, Salerno, 2013
pp. 208

 

David Cooper
La morte della famiglia
(1971)
traduzione di Carla Costantini Maggiore
Einaudi, Torino, 1972
pp. 147

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