Giorgia Antonelli, editore LiberAria, nel 2010 era presente a uno dei suoi ultimi concerti (l’artista è scomparso nel 2011). Lei ha pensato di assistere a un grande concerto, ha pensato che Scott-Heron fosse un grande artista e un pezzo di storia. Poi ha pensato, al momento opportuno, di acquisire i diritti della sua autobiografia. È così che nel maggio 2013 si ha la pubblicazione di L’ultima vacanza. A memoir (The Last Holiday, 2012).
Si tratta, appunto, di memorie. L’artista parte dal tour Hotter Than July in cui fu coinvolto, nel 1980, da Stevie Wonder che l’organizzò per far sì che il compleanno di Martin Luther King Jr. divenisse festa nazionale. Dal tour si va a ritroso: Scott-Heron descrive infanzia, giovinezza, maturità, poi torna al tour, e si spinge poco oltre. Una vita che abbraccia un lasso di tempo in cui avvengono tanti mutamenti, dal punto di vista politico e sociale, e che include eventi traumatici come l’uccisione di Kennedy (1963), quella di King (1968) e quella di John Lennon (1980).
È soprattutto la battaglia contro la segregazione razziale ad impegnare, dal principio, Scott-Heron, motivo per cui concludere le memorie col tour di Wonder risulta essere una chiusura del cerchio, quasi un tirare le somme sul punto focale di un’intera vita:
Avevo fatto la mia piccola parte anch’io, un’increspatura su una delle onde incessanti che consumavano quella montagna che era stata la segregazione. Insieme a Madeline Walker e Gillard Glover, avevo dato inizio alla desegregazione scolastica a Jackson. E le fabbriche sarebbero state costruite. E le autostrade si sarebbero srotolate come serpenti a sonagli dal Maryland al Golfo del Messico. E Jim Crow [la segregazione razziale poggiava sulle leggi Jim Crow, emanate tra il 1876 e il 1965], il bastardo che aveva fatto dondolare un migliaio di manganelli e dato fuoco a un migliaio di croci, non era morto. Ma era stato ferito. Quella volta da tre bambini: io, Madeline e Gillard, civili in una guerra civile. (p. 21)
Il ritratto che ne esce di Stevie Wonder è privo di ombre. Scott-Heron ne è ammirato, lo tratteggia come un artista e professionista come pochi, un uomo esemplare idealizzato al punto da farne il perno da cui dipartono i fili della memoria. Scott-Heron lo dice subito:Tutti abbiamo bisogno di osservare da vicino persone che superano i limiti di quanto sembra in apparenza impossibile e lo realizzano. Abbiamo bisogno di ulteriori esempi che indichino come realizzarlo. Lungo il cammino affronteremo tutti circostanze difficili che metteranno alla prova la nostra sicurezza e cercheranno di ostacolare le decisioni sulle direzioni che desideriamo scegliere. (p. 22)
Ma poi, si capisce, il personaggio principale è l’io narrante, Gil Scott-Heron, le cui confessioni, non romanzate, si fanno comunque romanzo, perché a scriverle è uno scrittore dal tono brillante, ironico, affabulatorio.
Leggere L’ultima vacanza. A memoir è un modo per seguire l’ascesa di un ragazzo di colore in un contesto razziale in pieno mutamento, senza alcuna retorica né crudezza, che Scott-Heron le sue carte ha saputo giocarsele, e bene. Gil cresce, l’America cambia; l’autoritratto/ritratto è in chiaroscuro, perché se da un lato l’artista si sofferma anche su una vita privata non proprio impeccabile, dall’altro l’America emerge in tutte le sue note contraddizioni. C’è da aggiungere, particolare di non poco conto, che l’artista si ferma proprio prima del suo declino.
Gil Scott-Heron
L’ultima vacanza. A memoir (2012)
traduzione di Daniela Liucci
LiberAria, Bari, 2013
pp. 262