“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 07 July 2013 08:58

"Il senso di una fine" di Julian Barnes, un piccolo capolavoro

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Ero molto restio ad affrontare Il senso di una fine di Julian Barnes. C'è stato un momento in cui si parlava solo di questo romanzo. L'ho poi letto molto dopo, distrattamente, un po' per dovere, un po' per noia. Sono partito pulito, non ho letto più niente, mi sembrava uno svago per sfaccendati. Il senso di una fine, anche perché pieno di difetti, è un piccolo capolavoro.

Inghilterra anni '50. Tre studenti, Colin, Alex e Tony Webster e il nuovo arrivato Adrian. La scrittura di Barnes non è mai paratattica e ama le digressioni, con molta calma capiamo che Adrian è l'intellettuale del gruppo, o meglio quello che arriva al nocciolo della questioni, poi conscio come un piccolo Wittengstein che di quello che non si sa, si deve tacere. Il college inglese è anche un modo per capire chi ha più reddito, chi ha genitori con lavori prestigiosi o solamente padri che si arrabattano nel modo delle assicurazioni.
"Adrian si lasciò assorbire dal nostro gruppo, senza riconoscere di averlo voluto. Forse non l'aveva davvero voluto. E non modificò le proprie opinioni per accordarle alle nostre. Durante la preghiera del mattino lo si sentiva rispondere a tono, mentre Alex e io ci limitavamo a mimare le parole e Colin prediligeva lo spasso satirico del muggito entusiasta da pseudozelota. Per noi tre le attività sportive della scuola si riducevano a un complotto criptofascista per annientare le nostre pulsioni sessuali".
La scrittura limpida e cristallina, l'ironia che non svisa mai, quello che scrive per tutti è Tony Webster, di buone letture, con gli ormoni già in subbuglio.
I quattro hanno la caratteristica dei romanzi inglesi classici che negli studenti si soffermano sui sogni erotici, su ragazze da baciare, su strusciate clandestine; a loro viene facile quello che da noi sembrerebbe una sorta di Pierino contro tutti o Pierino con la supplente. Non abbiamo una tradizione in quel senso, non abbiamo i college.
I quattro sono snob e si riempiono di parole come Weltanschauung o Sturm und Drang, Adrian svetta sempre di più nelle sue elucubrazioni cristalline, Tony trova una ragazza di nome Veronica, che allieta quella strana solitudine che abita nei giovani nei college, dove tutti sembrano avere fascinazioni e simpatie come finti amanti di un film omosessuale.
Avere una ragazza a quei tempi non era esattamente la stessa cosa di oggi e Barnes lo scrive divinamente bene: "Sarà meglio che spieghi il significato dell'espressione «uscire insieme» di allora, perché poi il tempo l'ha modificato. Di recente mi è capitato di parlare con una donna la cui figlia le aveva confidato la propria angoscia. Era al secondo semestre di università e andava a letto con un ragazzo che nello stesso periodo era andato a letto con numerose altre ragazze, in modo esplicito e senza sotterfugi". I ricordi di Webster, sì perché, nel libro lui è anziano, appena andato in pensione, con un matrimonio naufragato alle spalle con Margaret e una figlia, Susie, che vede poco, su cui investe affettivamente tanto, soprattutto da quando lo ha reso nonno.
I ricordi di Tony si aggrovigliano, non tutto è lineare nel suo racconto, parliamo, ma lo dico io, di "memoria selettiva", per dare anche un po' di sintesi su quello di cui vado cianciando (questa prima parte è perfetta e scegli, se leggerla centellinando o rileggere due volte a fila). Come è Veronica? Tipica esponente upper class, molto attaccata a un fratello cinico e conscio dei suoi privilegi economici e intellettuali.
Tony viene invitato da Veronica a casa sua per un pranzo: una madre apprensiva, ma di gran classe, un padre fintamente ospitale e il fratello che non lo vede tanto è indifferente alla sua presenza.
Il pranzo ha qualcosa alla Henry James, convenzioni, ma anche piccole confessioni della madre, l'atteggiamento respingente del fratello, appunto. La differenza di classe è in ogni cosa, ma Tony pensa alle "sessioni masturbatorie" con Veronica che, quando decide di lasciarlo si concede con fredda riluttanza, come se fare l'amore fosse un addio.
Perché il vecchietto Tony ha scritto tutto ciò: perché Adrian si è suicidato ai tempi e la madre vuole che a Webster vadano il diario e cinquecento sterline.
Nella seconda parte, la traduzione impeccabile di Susanna Basso, diviene un po' "vecchio stampo", tra mail, Skype e chat varie.
Tony vive solo: ha divorziato dalla moglie, ma sono rimasti amici e Susie vive per conto suo. Margaret sa di Veronica, consiglia al marito di non iniziare con lei un rapporto via Internet, se pensa che ancora il suicidio di Adrian non sia stato rielaborato dopo decenni.
La vede e la rivede, la seconda volta è così (mi scuso per l'eccessiva presenza dello scritto di Barnes, ma aiuta e fa capire di cosa andiamo a leggere): "Quando ho depositato a terra le borse, ha alzato lo sguardo e mi ha fatto un mezzo sorriso. Ho pensato: beh, non sei poi cosí sciatta e baffuta, mi pare. − Sono sempre calvo. Si è attestata su un quarto di sorriso. − Che cosa leggi? Ha girato la copertina del tascabile dalla mia parte.
Qualcosa di Stefan Zweig. − Vedo che sei arrivata in fondo all'alfabeto, finalmente.
Chi può esserci ancora, dopo Zweig? − Come mai all'improvviso mi sentivo nervoso? Parlavo di nuovo come quando avevo vent'anni. Senza contare che non avevo mai letto niente di Stefan Zweig".
La presenza di Veronica mette sulla graticola Tony che si va chiarendo con la scusa dei ricordi: è stato un marito mediocre, un padre mediocre, un amico mediocre che non seppe perdonare perché ai tempi del college, Veronica scelse Adrian come scelta finale. Tony è un ripiego, la sua è stata una vita così così.
Ho detto troppo, la seconda parte non andrebbe toccata e invece io mi sono invischiato in una trama che non finisce più.
C'è qualcosa di sublime nella scrittura di Barnes, io chiudevo e riaprivo il libro, ma non riuscivo a liberarmi di lui e ne parlavo con tutti. I capolavori rendono i lettori un po' deficienti. In questo romanzo non c'è una parola in più né una parola in meno. Con la traduzione perde un po'. Non so cosa hanno scritto gli altri, poi mi avvento su una recensione seria di Il segno di una fine di Julian Barnes. Non capisco molto, ma insomma capolavoro è una parola che non uso solo io.

 

 

Julian Barnes
Il senso di una fine
traduzione di Susanna Bosso
Einaudi, Torino, 2012
pp. 160

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