“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 23 June 2013 02:00

Deborah Willis: le nuove metamorfosi

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Alice Munro, una scrittrice canadese che tutti dovrebbero conoscere (tra le migliori, oggi, nel genere “racconto”), dice di Svanire: “The emotional range and depth of these stories, the clarity and the deftness, is astonishing” (La gamma emotiva e la profondità di queste storie, la chiarezza e l’abilità compositiva sono stupefacenti). Basterebbero queste poche pregnanti parole - apparse nel 2009 sulla copertina dell’edizione canadese del libro e riproposte nel 2012 su quella dell’edizione italiana della Del Vecchio - ad esemplificare, senza stare troppo a girarci intorno con belle e tortuose frasi, la bellezza - mi si perdoni il termine che nell’abuso va perdendo la sua carica semantica - e la qualità alta di questo libro di esordio di Deborah Willis.

La Willis è una scrittrice canadese, classe 1982, la cui giovinezza non è di alcun impaccio. C’è infatti maturità nelle sue short stories, una maturità che le permette di sviscerare i rapporti tra vecchi e giovani, padri e figli, senza palesare i limiti tipici di chi è ancora al di qua dell’età immortale. C’è una maturità che rende solida la struttura delle storie, che rende preciso il suo stile, che rende potenti i suoi personaggi.

Leggendo Svanire, si ha l’impressione che tutti i racconti siano riusciti (cosa rara, tenendo conto dell’eterogeneità tipica delle antologie), senza cali di tensione, e si sa che uno Scrittore deve saper essere, nel suo mondo, un abile e meticoloso demiurgo.

Ne scelgo uno. Si chiama Atmosfera; vi è un triangolo (non l’unico, nel libro) i cui protagonisti sono un padre, una figlia e una compagna della figlia. Lo scelgo per citarne un blocco nel quale sono facilmente percepibili diverse sfumature del talento della Willis:

 

“Edith portava amici a casa solo molto di rado da quando mia moglie non stava più qui, così interruppi ciò che stavo facendo (stavo mettendo a posto uno steccato) e mi incamminai per andare loro incontro sulla strada. Edith aveva quindici anni, età complessa, quindi questo probabilmente le avrebbe dato sui nervi, o probabilmente l’avrebbe imbarazzata. Suo padre con un rotolo di filo spinato appeso al braccio e le cesoie nella mano sporca. Questa ragazza, la sua amica, ovviamente veniva dalla città. Da una casa con le pareti rivestite di plastica e un prato ben curato.

- Papà, - disse Edith. - Questa è Rae.

La ragazza era alta, con la struttura fisica della betulla, quella sottile che usiamo come segnavento. Mi ricordava le ragazze che conoscevo quando ero giovane, e non mi piacevano la curva della sua schiena, i pantaloncini tagliati, i suoi strani occhi verdi. Non mi piaceva affatto, in generale, e non l’avrei invitata a cena se non avessi notato il modo in cui respirava. Come se stesse aspirando aria giù per la gola rivestita di carta vetrata e la trattenesse nei polmoni otturati. Come se ogni respiro fosse uno sforzo, e come se l’avesse meritato.” (p. 23)

 

Cosa sia poi questo svanire, è domanda che urge porsi. La Willis, in un’intervista, dice che non ha scritto a tema, ma che semplicemente, a posteriori, il suo editor ha colto una tematica comune (l’intervista è su Glamour, ad opera di Davide Musso: http://hounlibrointesta.glamour.it/2013/01/30/parla-deborah-willis-autrice-di-svanire/#?refresh_ce). Si percepisce l’intangibilità di tante cose, nonostante l’intelligenza della scrittrice sia di quelle capaci di sceverare tra fatti e sentimenti senza lasciare quasi nulla all’indicibile. Soprattutto si prende atto, come raramente accade tra gli individui, che l’esistenza è costellata di abbandoni, cessazioni, addii, e, dunque, di ‘sparizioni’: “La gente semplicemente scompare. Mia moglie se n’è andata. Mia madre ha raggiunto una vecchiaia robusta. E mia figlia la vedo solo raramente” (incipit di Affidarsi, p. 124). Certa che pur sempre si tratta di eventi che lasciano un segno più o meno profondo, la Willis spesso prende le mosse da essi per tracciare, con l’acutezza di chi ha sguardo ampio e mente lucida, la parabola schizofrenica dei suoi personaggi: le reazioni allo svanire inducono una mutazione, netta, a prescindere dallo statuto positivo o negativo. C’è un racconto, Quest’altro noi, in cui vi sono tre studenti - un uomo e una donna che si amano, e un’altra donna che condivide, con i due, un’amicizia ambigua -, che vivono come un unico essere, portando al parossismo il concetto di vita in comune (qui, infatti, si riesce ad andare oltre anche alla coppia e alla famiglia, in teoria le comunità dalla maggior forza aggregante). La Willis, a partire da una sparizione banale perché calcolabile (la donna amata che trova un altro uomo e lascia la casa), dimostra scientificamente quanto può essere rivoluzionata la vita da tale evento, quasi si tratti di elaborare un lutto e di ricominciare, altri da quel che si è stati. E in fondo questo è anche un libro di metamorfosi umane; leggere Svanire, allora, diventa un modo dilettevole di comprendere le logiche, non si sa fino a che punto ovvie o imperscrutabili, sottese alle dinamiche relazionali degli individui.

 

Deborah Willis

Svanire (2009)

traduzione di Anna Baldini e Paola Del Zoppo

Del Vecchio Editore, Roma, 2012

pp. 304

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