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Wednesday, 09 February 2022 00:00

Animali

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Dovremmo essere grati ai gatti, quelli
che si nascondono nei boschi, e a notte alta
si avvicinano alle case, scheletrici – braci negli occhi,
pelo strappato e atroce miagolio.

Cercano cibo, resti dei pasti di viziati
parenti domestici; vorrebbero accoppiarsi,
forse lottare e uccidere, nel sangue eredi
di linci e puma. Ci insegnano
a non temere le buone maniere, a provocare
l'educazione, fidando negli artigli e nelle ombre,
compagni della luna e delle streghe.

 

Invece pavidi preferiamo i cuccioli virtuosi
dei nostri appartamenti, nutriti
con croccanti leccornie, spazzolati odorosi
di pulito: specchi e ornamenti di noi.
Saldano i crediti, ci fanno debitori
di carezze e moine, aspettano festanti
il ritorno dei casalinghi ulissidi padroni.
Eccoli, i nostri dipendenti adorati;
i canarini, i mici, i pesci rossi.
E persino gli alani, i mastini, i sanbernardo.
Purché legati, levigati, da mostra. 

 

La libertà degli stormi quando migrano
in autunno, solidali in difesa dell'aria,
del cielo tutto loro, e ne sfidano la resistenza,
penetrandola. Trapassano nuvole cedevoli,
minacciano velivoli potenti, puntano in alto
e vincono, aperti, assolti da ogni colpa
da ogni dipendenza. Salutano l'estate nostrana
moritura, temerari cercando altri tepori;
ignari di confini e divieti, padroni
dello spazio, indifferenti al tempo che si vanta
tiranno, ma non sa trattenerli.

 

Il falco apollineo, amante del sole, della luce;
il falco dall'occhio spietato, dal volo
verticale, lontano da acquitrini e terriccio;
il falco ubbidiente al padrone, fedele
ai ritorni; assuefatto alle corti medievali,
alle cacce dei nobili, ai banchetti
negli affreschi nelle ottave dei poemi.
Si confonde di infinito e di azzurro,
in gloriosa ascesi verso l'alto,
il suo divino alto immisurabile. 

 

Gialli nella notte, spalancati occhi implacabili
a indagare nel fogliame, tra i rami neri intrecciati
salutando impassibili stelle: portinaia
del bosco, la civetta sapiente invoca in sorellanza
l'astro magico e diafano, lo corteggia
con canto sconsolato. Lugubramente adesca
prede indifese, pirateggia rapace, scarnifica. Poi
medita colpevole, stridendo; terrorizza.
Perciò la crocifiggono alle porte dei granai:
per tenere lontani gli spiriti malvagi, le ombre
dei cadaveri risorti – abbandonata dalla dea ateniese.

 

Tutt'uno con le onde che sovrasta nel salto,
con gli spruzzi salati, velo al sole, il delfino
si immerge nell'unico elemento innocente, sua culla
e tomba, si inabissa nel grembo del mare placenta:
poi risorge modulando un richiamo gioioso di vita,
puro gloria e alleluia, ringraziamento.
Ha compreso ogni mistero del profondo, sa svelarlo
nel tuffo esibito, nella lucida rifrazione
della pelle scivolosa: che siamo acqua e aria,
carne e vento, materia sacra dello stesso alito
vibrante, respiro abbandonato al tempo – a lui devoti,
riconoscenti, ligi.           





(tratto da Alida Airaghi, Elegie del risveglio, Sigismundus, Ascoli Piceno, 2016)

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