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Friday, 24 May 2013 02:00

Giappone: un'ingenua assimilazione

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"L’Europa è un concetto che non ha la propria origine in se stesso, ma nella sua costitutiva opposizione all’Asia […]. Sui monumenti assiri è stata rinvenuta la coppia concettuale: 'ereb' – il paese dell’oscurità o del sole calante – e 'asu' – il paese del sole nascente. Secondo la sua origine, e finché resta fedele a se stessa, l’Europa è dunque una potenza politicamente e spiritualmente antiasiatica".1 Probabilmente non è un caso che questa frase venga scritta da Karl Löwith ad apertura di un testo dal titolo Il nichilismo europeo; forse stupisce ancora meno che questo libro sia ideato e scritto tra il 1939 e il 1940, nel periodo in cui il filosofo monacense si trova in Giappone in veste di sensei.

 

Perché in Giappone

 

Nel 1936 Löwith è costretto a lasciare la Germania a seguito delle leggi razziali emanate dal regime nazista. Si reca in Italia, ospite di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, ma qui non trova una collocazione lavorativa. Cerca quindi un’occupazione in facoltà estere, anche lontane dall’Europa.
Purtroppo, per quanto siano influenti le sue conoscenze,2 tutte le trattative saltano, non ultima quella intrattenuta con Max Horkheimer per entrare a far parte dell’entourage dell’Istituto per la Ricerca Sociale: l’organizzazione mette a disposizione un posto, ma non uno stipendio.
Nella vita di Löwith fa allora la sua comparsa un personaggio conosciuto l’anno prima a Marburgo: Yoshitaka Sakaeda, il quale propone al filosofo di contattare il barone Kuki Shȗzȏ per trasferirsi in Giappone, nazione dove la filosofia tedesca è studiata appassionatamente.
Shȗzȏ, che era stato già allievo di Löwith, perora la causa di quest’ultimo e riesce a trovargli un posto nell’Università Imperiale Tohoku di Sendai.
Il 15 novembre 1936 Löwith sbarca insieme alla moglie nel luogo che lo ospiterà fino al 1941.

 

La vanità e la vacuità, l’essere e il  vuoto

 

I Giapponesi rappresentano un mondo inafferrabile, un mondo alla rovescia, dove "la maggior parte delle usanze, delle azioni e reazioni […] sono agli antipodi delle nostre".3 Tutto appare agli occhi di Löwith incomprensibile. Certo bisogna tener conto del fatto che alcune osservazioni del filosofo sono influenzate dal suo isolamento e che Löwith ha spesso un atteggiamento critico nei confronti della nuova cultura che gli si presenta; tuttavia egli non manca di rilevare che "chi viene dall’Europa e dai libri di scuola [e] sa che in Grecia e a Roma una religione pagana aveva modellato la vita pubblica, con stupore riscontrerà in Giappone lo stesso paganesimo spontaneo, con la sua consacrazione delle cose naturali e quotidiane, come se un cristianesimo non fosse mai esistito"4 cosicché, come scrive nel suo Curriculum Vitae presentato per poter tornare ad insegnare in Germania nel 1952, egli può comprendere "per la prima volta anche qualcosa del paganesimo e della religione politica dei Greci e dei Romani"5, uno degli aspetti più importanti per l’elaborazione del suo naturalismo filosofico. Tuttavia bisogna precisare che "il ritorno allo spirito 'classico' che il naturalismo di Löwith persegue, presuppone non già l’attaccamento spontaneo alle sorgenti inconsapevoli della vita, bensì l’attraversamento cosciente di tutto l’essere storico".6
Ed ecco la prima vera differenza tra europei e giapponesi: mentre la "vanità troppo umana [dell’uomo europeo], che ha la propria origine storica nella fede che l’uomo, in quanto unica creatura fatta ad immagine di Dio, occupa una posizione assolutamente privilegiata nella totalità del mondo naturale, ha impedito di riconoscere […] l’uomo come una natura"7, per il giapponese "chi sapesse fare di se stesso una pura vacuità, diverrebbe padrone di ogni situazione; ogni cosa fluirebbe senza impedimenti nella sua mente".8 In altre parole, l’uomo giapponese non ha mai conosciuto il cristianesimo e dunque l’idea che il mondo fosse qualcosa di cui appropriarsi.
Ma la differenza tra Occidente e Giappone affonda le sue radici in un terreno ancora più profondo: nella Grecia classica. Secondo Löwith lo spirito greco è contrassegnato da un movimento dialettico, di stampo dichiaratamente hegeliano, per cui il greco guarda all’estraneo allontanandosi o estraniandosi da se stesso e, dalla distanza così guadagnata, si appropria del diverso da sé. Questo è l’atteggiamento proprio dello spirito europeo.
La cultura europea e quella giapponese, inoltre, non potranno mai rassomigliarsi perché "il pensiero occidentale […] non sa pensare il “nulla” senza concepirlo come “qualcosa”, mentre il nulla supremo o vuoto nella visione buddista è il grado più ricco e perfetto di essere, il fondamento di ogni esistenza particolare, […] lo sfondo di ogni fenomeno".9 E questi sono alcuni dei motivi per cui l’acquisizione della cultura europea ad opera del Giappone, acquisizione che ha inizio nel 1868 con le riforme dell’imperatore Meiji, è del tutto acritica.

 

La paradossale assimilazione acritica

 

Dal principio primo della vuotezza – che è vera pienezza – dell’essere, hanno origine altri due elementi della cultura zen giapponese: il “lasciar essere le cose” e la paradossalità. Entrambi questi aspetti sono chiariti da Löwith proprio grazie all’aiuto di un aforisma nipponico: "dice una celebre sentenza zen: prima di aver meditato, le montagne sono solo montagne e i fiumi fiumi. Una volta raggiunto un punto di vista provvisorio sulle cose, montagne e fiumi cessano di essere montagne e fiumi in genere […]. Quando però si perviene alle perfetta visione della verità delle cose, la montagna torna ad essere semplicemente una montagna e il fiume un fiume".10
Il “Lasciar essere” zen impronta anche l’atteggiamento della cultura giapponese nei confronti dell’assimilazione europea. In relazione a questa bisogna porsi due domande: 1) cosa i giapponesi accettano della cultura europea; 2) in che modo lo fanno.
Per il primo punto bisogna sottolineare che la cultura nipponica, anche quella dei convertiti al cristianesimo o di chi aveva soggiornato in Europa, non viene realmente scalfita: i giapponesi non importano nessun principio morale, etico o culturale dall’Europa, quanto, piuttosto, esclusivamente il suo bagaglio tecnologico. Il secondo punto è già stato chiarito in precedenza: il Giappone accetta la cultura tecnologica europea in modo immediato. Proprio un atteggiamento del genere ha reso possibili le speranze di autorevoli intellettuali giapponesi; ad esempio R. Mori, in un testo dal titolo La verità sul Giappone (1886), aveva espresso la convinzione che fosse possibile unire il meglio della tradizione giapponese con quanto proveniva dalla cultura europea, per creare così una cultura perfetta, capace di assoggettare anche l’Europa. Risultato di questa idea, che secondo Löwith solo in taluni casi ha successo, è che "il modo di vita giapponese annovera due stili opposti, che si incrociano e invadono l’uno il campo dell’altro. La vita giapponese riceve la sua forma dalle tradizioni dell’antico Oriente ma anche dalle invenzioni del moderno Occidente, è perciò una vita a due livelli"11 e così "i giapponesi ai quali, nelle grandi città, sono offerti entrambi i modi di vita, si comportano come certi anfibi che respirano sia coi polmoni che con le branchie".12
Le osservazioni del filosofo monacense possono apparire intellettualistiche, radicali e troppo filosofiche. Eppure i successivi studi sulla cultura e sulla mente umana hanno reso evidente quanto il suo sguardo sia stato profondo e attento. In un testo recente, intitolato La mente multiculturale (2006), Luigi Anolli ha descritto i procedimenti che portano alla “creolizzazione” della cultura, ossia ad un "processo di contaminazione di aspetti e forme di vita provenienti da culture diverse".13 A questo elemento egli aggiunge il cosiddetto “situazionismo dinamico” secondo cui chi ha appreso più culture tende a modificare il proprio modo di agire in relazione al contesto in cui si trova. Queste teorie sono state riconosciute da Ying-yi Hong nei comportamenti di alcuni studenti cinesi che frequentano università americane: lo studioso si è reso conto che in contesti cinesi gli studenti presentano una condotta adeguata alla cultura cinese; viceversa, in contesti americani, essi si comportano da perfetti statunitensi. Questo atteggiamento, forse peculiarità dei soli paesi asiatici, per Löwith è indice di ingenuità; al contrario per Anolli e Hong rappresenta un elemento di grande crescita culturale.

 

Conclusione

 

La scelta tra queste alternative sembra dover poggiare su considerazioni personali, ma c’è un punto fondamentale che complica le cose; si tratta di un cortocircuito che lo stesso Löwith sottolinea: "il 'Giappone moderno' […] è al tempo stesso un fatto incontestabile e un’impossibilità. Tuttavia è proprio questa tangibile contraddizione a caratterizzare la vita moderna giapponese e a spingere alla realizzazione di ciò che sembrerebbe inattuabile: padroneggiare il progresso tecnico venuto da fuori e custodire viva al tempo stesso la tradizione inserendola nel progresso […].
Accade lo stesso fenomeno evidente nel Cristianesimo oggigiorno. La 'propaganda fidei' dispone la ripresa in San Pietro delle funzioni sacre con telecamere e collegamenti radio, come se la tecnologia moderna fosse neutra, un mezzo buono a qualsiasi scopo e non una potenza in sé, capace di mettere tutto al suo servizio".14
È, questo della tecnica, un tema cui non dovremmo mai concedere l’assopimento della nostra attenzione perché, come dice Günther (Stern) Anders, "la tecnica è oggi il nostro fato […] e se, forse, non siamo in grado di guidare la mano del nostro destino, non dovremo rinunciare a sorvegliarlo".15

 

 

 



1) K. Löwith, Il nichilismo europeo. Considerazione sugli antefatti spirituali della guerra europea, tr. It. F. Ferraresi, Roma-Bari 2006, p. 5.

2) Lettere di presentazione del filosofo sono scritte da Croce, Gentile, Leo Spitzer, Paul Tillich, Karl Jaspers; nel ’34 lo stesso Martin Heidegger aveva redatto una lettera di raccomandazione per l’allora allievo e amico.

3) K. Löwith, Scritti sul Giappone, tr. It. M. Ferrando, Soveria Mannelli (CZ) 1995, p. 25. Nel saggio Occidentalizzazione del Giappone e fondamento etico, Löwith incalza: "per cominciare gli oggetti sono maneggiati al contrario: dove prevediamo di spingere, loro tirano. L’ombrello, da chiuso, si tiene in mano per la cima e con il manico puntato a terra; l’indirizzo della corrispondenza ha il nome della località al primo posto e del destinatario all’ultimo; si legge e si scrive da destra a sinistra; il colore del lutto è bianco invece che nero; la cortesia vuole che la donna si scopra il capo se saluta un uomo […]. Gli stessi contrasti emergono nella sfera dei sentimenti e dei modi di pensare" (Scritti sul Giappone, pp. 25 e 26).

4) Ivi, p. 65.

5) Ricavo la citazione da O. Franceschelli, Karl Löwith. Le sfide della modernità tra Dio e nulla, Roma 1997, p. 212.

6) G. Carchia, Introduzione, in K. Löwith, Scritti sul Giappone, cit., p. 10.

7) K. Löwith, Dio, Uomo e Mondo. Nella metafisica da Cartesio a Nietzsche, tr. It. O. Franceschelli, Roma 2000, p. 148 (il corsivo è mio).

8) ID., Scritti sul Giappone, cit., p. 54 (corsivo mio).

9) Ivi, p. 50.

10) Ivi, p.72.

11) Ivi, p. 28.

12) Ivi, p. 83.

13) L. Anolli, La mente multiculturale, Roma-Bari 2006, p. 156.

14) K. Löwith, Scritti sul Giappone, cit., p. 75.

15) G. Anders, L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale (Vol. I), tr. It. L. Dallapiccola, Torino 2007, p. 17.

 

 

 

 

 

 

Karl Löwith
Scritti sul Giappone
traduzione italiana a cura di Monica Ferrando
Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 1995
pp. 116

 

Luigi Anolli
La mente multiculturale
Laterza, Roma-Bari, 2006
pp. VIII-211

 

Günther (Stern) Anders
L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale (Vol. I)
traduzione italiana a cura di Laura Dallapiccola
Bollati Boringhieri, Torino, 2006
pp. 322

 

Orlando Franceschelli
Karl Löwith. Le sfide della modernità tra Dio e nulla
Donzelli, Roma, 1997
pp. 250

 

Karl Löwith
Dio, Uomo e Mondo. Nella metafisica da Cartesio a Nietzsche
traduzione a cura di Orlando Franceschelli
Donzelli, Roma, 2000
pp. XXXVIII-197

 

Karl Löwith
Il nichilismo europeo. Considerazioni sugli antefatti spirituali della guerra europea
traduzione italiana a cura di Furio Ferraresi
Laterza, Roma-Bari, 2006
pp. XXVIII-101

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