“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 19 July 2021 00:00

Prova di calcio e patriarcato

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“Prova” è una parola dai tanti significati e ritrovarla come titolo di uno spettacolo teatrale, suscita già curiosità. Che tipo di prova sarà? Quella che gli attori fanno prima di una messa in scena? Una difficoltà che il protagonista deve superare? Il racconto del tentativo di far funzionare qualcosa di posseduto o immaginato? La dimostrazione di un fatto accaduto, magari un delitto?

Va in scena nell’ambito del Campania Teatro Festival, per la sezione SportOpera. La presentazione ci suggerisce di guardare agli spettacoli di questa sezione sotto il filtro dell’hybris, ovvero “quella sorta di affronto convinto al volere degli dèi o, per dirla in altro modo, di quella ribellione istintiva, ma sistematica, al senso della fine”. Lo sport come sfida al superamento dei limiti fisici, oltre la vita e la morte.
Attilia Tinni, protagonista del monologo, non è una sportiva. Più volte ci ripete di essere un medico. È quindi una donna professionista, con un alto grado di istruzione. Tuttavia è anche la moglie di un allenatore di calcio, di una squadra di alta classifica. Non è specificato di quale categoria, forse non è importante. Importa che Attilia che ha costruito un suo percorso indipendente dalla propria famiglia d’origine, si ritrova a dover fare qualcosa verso la quale non ha mai avuto aspirazioni e per la quale non crede di avere competenze, solo in quanto moglie di un allenatore improvvisamente deceduto. La prova di Attilia è allora questa: dimostrare di essere capace di portare avanti una squadra che non ha quasi mai perso una partita. È anche la vera e propria prova che precede la messa in scena della sua presentazione agli uomini che dovranno seguirla. Durante la notte che precede il grande giorno della presa in carico della squadra, Attilia in camicia da notte e giacca da camera prepara parola per parola, azione per azione, gesto per gesto tutto quello che dovrà fare o dire. Suo unico sostegno sono gli appunti dal marito, un proiettore per i lucidi e una cotta per uno dei calciatori che dovrà guidare. La spiamo in minuti di vera e propria ansia. Come potrà convincere un’intera squadra a fidarsi di lei se non è lei per prima a fidarsi di sé stessa? Non è la sua insicurezza dei propri mezzi, sa di essere un ottimo medico, ma è insicurezza di fronte a questa prova che non crede di poter sostenere. Rosaria De Cicco, sola sulla scena, ci trasmette tutta la paura che Attilia vive. La fa vibrare nella sua voce che spinge velocemente via le parole e poi le riprende per pronunciarle ancora, per esprimere meglio ciò che pensa o ciò che gli altri vorrebbero sentire. La mette fuori con i suoi tremori durante i gesti più volte ripetuti, per una prova e poi una seconda ancora. Carica molto il nervosismo del suo personaggio fino a farci sorridere, quasi si prendesse gioco di Attilia, alle prese con un dramma che ormai è poca cosa se confrontato con la malattia fulminante e la morte inaspettata del proprio marito: solo lo strascico di qualcosa che è rimasto e che deve essere sistemato.
Capiremo, durante la prova, che Attilia qualche competenza di calcio ce l’ha, così da un approccio distruttivo a uno sport che avrebbe voluto mescolare con altri che per lei risultano più semplici, riesce ad arrivare alla costruzione di un vero e proprio schema di gioco. Scopriremo che aveva ereditato geneticamente certe conoscenze che forse aveva poi accantonato in un angolo remoto del proprio cervello, in quanto figlia d’arte anzi, discendente di un’importante famiglia di allenatori. Lo spettacolo è piacevole se lo si guarda con leggerezza e ci lasciamo coinvolgere dalla naturalezza con la quale Rosaria De Cicco fa vivere il suo personaggio. Tuttavia non posso fare a meno di riflettere. Devo farlo perchè di questo spettacolo devo scrivere e perché il calcio l’ho giocato e ho avuto compagne di squadra donne e ottime giocatrici, dirigenti donne, ho conosciuto bravissime allenatrici donne. Se uso il filtro dell’hybris per leggere lo spettacolo, la sfida al volere degli dèi, che hanno parlato attraverso la bocca del presidente della squadra, è superata dalla nostra eroina grazie alle sue nobili origini “quasi divine” e alle armi lasciatele in eredità dal consorte. Povera Attilia che sarebbe stata un ottimo medico sportivo. Povere donne che anche in uno spettacolo che si proporrebbe, almeno nella scheda di presentazione, di abbattere gli stereotipi e il pregiudizio secondo il quale il calcio è sport da uomini, si ritrovano ad essere personaggi caricaturali e che hanno forza infusa in esse dai grandi maschi che hanno avuto intorno, quelli che le hanno generate e quelli che hanno sposato. Ma gli autori, Roberto Azzurro e Paolo Coletta, sono uomini e quello che le femministe chiamano patriarcato è così radicato nella nostra cultura e così subdolo che riesce a sbucare fuori anche quando si hanno tutte le buone intenzioni di abbatterlo. Peccato, si può dire che ci hanno provato.





Campania Teatro Festival 2021
Prova
scritto da
Roberto Azzurro, Paolo Coletta
regia Roberto Azzurro
con Rosaria De Cicco
musiche Paolo Coletta
produzione Suoni e Scene
paese Italia
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Real Bosco di Capodimonte − Manifattura Della Porcellana, 25 Giugno 2021
in scena 25 giugno 2021 (data unica)

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