“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 04 February 2021 00:00

Gli oggetti, le cose. Per un’indagine semiotica

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Come per la società − per dirla con Theodor W. Adorno1 − l’oggetto (la cosa) è “un termine nel quale si riassume semioticamente un intero processo”.

L’oggetto (la res polisemica) è essenzialmente processo. Scriverne intorno alla sue funzioni e ai propri sensi equivale irrimediabilmente a suggerire un discorso sulla mitologia della vita quotidiana2 e, in conseguenza, sul paradosso semiologico attorno al quale la società è (e diviene) di massa3, e che a noi pare, oltreché il raffinato principio di un’interminata ricerca, il paradosso del contrappasso.
La società di massa trasfigura gli oggetti (le cose) in segni di sé stessi che potremmo definire come solipsistici o segni aggreganti: la funzione conseguente dell’oggetto, concreta e non mediata, viene prevalsa da un senso altro − che esso veicola − e da un significato che restituisce alla medesima funzione. Questo senso altro per Roland Barthes non può che essere pure un segno oltre in quanto soverchia e deborda “l’uso dell’oggetto”4. In proporzione inversa alla fatale correzione degli oggetti in segni propri della loro funzione, la società di massa tende ad occultare la reale significazione degli oggetti pronunciando un’ingannevole naturalità. Sicché, l’onere sociale della semiotica è proprio rivelare, al di là di ogni ragionevole dubbio, tale paradosso, nel quale si nasconde un senso profondo e infine soverchiante alla mera funzione dell’oggetto. Il sistema delle cose5 assurge simbolicamente a sistema di pretesti sino a prefigurarsi, per Jean Baudrillard, come presupposto per una possibile “critica dell’economia politica del segno”6 attraverso cui surrogare la categoria marxista del valore d’uso/valore di scambio con la performatività analitica della relazione significante/significato così mutuata dalla linguistica desaussuriana7. Ciò detto, la questio semiotica attiene essenzialmente allo studio della loro significazione: piuttosto che studiarne il senso in prospettiva funzionalista, gli oggetti sono esaminati per il modo in cui la forma ha il senso della funzione, per il modo in cui la materia significa il simbolo, per il modo in cui la tecnica restituisce alla religione.
La prospettiva significazionale (di significati veicolati da altri significati) è svolta da Roland Barthes8 attraverso il discorso del livello denotato (l’oggetto per la sua funzione) e del livello connotato (l’oggetto per il suo valore simbolico) che talvolta, e sempre più sovente, contribuisce a porsi come la sola reale funzione dell’oggetto per le convenzioni che essa connota nel triste apparato di servitù e adeguamento che afferisce la ratifica sociale di una personale collocazione economica. Il processo di reificazione sociale che il valore simbolico produce, pone la semiotica a varcare la soglia della linguistica per farsi scienza sociale e per impiegare lo studio delle cose al fine di comprenderne gli esiti nella comunità umana. In tal senso l’insieme delle cose non rimanda ad una prospettiva olistica ed elencatoria ma agisce come un sistema di differenze, una contrastante tramatura di significati che la semiotica reperisce per tracciarne la tessitura formale propria affinché dall’effettività fenomenica (responso orizzontale del processo comune) si giunga alla significazione (responso verticale del processo simbolico). Per compiere un percorso che consenta al semiologo sociale una reale comprensione degli oggetti (oramai carichi di simboli ma poveri di cose), si pone l’esigenza primaria di stabilire quali relazioni i soggetti intrattengono con le cose ovvero la piramide valoriale che il soggetto traccia all’oggetto.       
L’attitudine violentemente simbolica delle cose assume essa stessa un carattere funzionale, persino più che la funzione, all’interno del comparto sociale come luogo di consumo oltreché di produzione. Da qui il sistema di relazioni che unisce il soggetto con l’oggetto (o l’oggetto diversamente coniugato dal soggetto) e la struttura affabulatoria che ne consegue, così definita dalla reciprocità narrativa degli attanti9. Pertanto l’oggetto non ha valore ed interesse in sé, ma per la circostanza che esso è anelato e per i valori sociali che il soggetto protende al suo contenuto. S’intende che il valore della cosa agisce mimeticamente come valore per il soggetto, al fine di un’istituzione sociale o di un’individuazione economica, in conclusione di un’espressione identitaria.
L’oggetto così si disgiunge, e simultaneamente si riproduce, in una pluralità di valorizzazioni:

valore strumentale → l’oggetto in sé, corporeità materiale e utensile
valore utopico → realizzazione di una propria identità, congiunzione del soggetto con l’oggetto
valore ludico → negazione dell’oggetto in sé, dislocamento estetico ai fini sociali
valore critico → ri-pensamento dell’oggetto, opzione di scelta consapevole o egoistica   

Questa mera traccia d’analisi contribuisce all’intendimento semiotico del significato composito delle cose, dei loro valori e delle loro funzioni in atto al consumo. La semiosi difatti è l’istituzione di una reciprocità relazionale tra espressione e contenuto, per mezzo di un principio commutativo che sostiene lo studio delle medesime relazioni tra le componenti espressive e le componenti contenute.
Il simbolismo come funzione, l’oggetto delegato sostituito alla narrazione, nei suoi esercizi attivi e nei suoi esercizi sociali, consente di riflettere le cose come luoghi mobili della società, e l’ontologia delle cose è umana. Lo specifico contrassegno di questi nuovi soggetti sociali è l’ibridità: umani e non umani, puri ed escrementizi, viventi e mai vissuti10. Ma l’ibrido è la produzione di un terzo soggetto, un attante artificiale che tuttavia agisce con precipitoso dominio. La dimensione figurativa dell’oggetto ammette non solamente che esso sfugga alla propria oggettività (il proprio sé), ma che pure acquisti un’immanente natura individuale: nella relazione col soggetto, la cosa si costituisce al vivente e si produce oltremodo alla stessa relazione che in tale modo si forma aderita e partecipata, sebbene non inevitabilmente consensuale. Persino l’ibridità è della relazione: fatale che essa avvenga tra il soggetto e l’oggetto ma non conseguente ad una  simmetria consensuale, per cui l’oggetto svolge un ruolo testuale, atto al processo di significazione costitutiva11. Dacché l’oggetto assume un suo compito narrativo, i termini della propria funzionalità debordano sino a farsi termini del mito, che lo studioso indaga attraverso l’individuazione di relazioni paradigmatiche, essenzialmente gerarchiche, e relazioni sintagmatiche, essenzialmente relazionali. In tal senso, una seria analisi delle cose non deve impedirci di studiarne e la loro relazione nel contesto sociale d’uso e la loro mera struttura materiale, indagarne immanenza e trascendenza, segni variabili e segni invarianti.      
Concludendo, chissà che il paradosso barthesiano non sia un paradosso ontologico, irresoluto o scisso tra il fato e la necessità.






1) Theodor W. Adorno, Prismi. Saggi sulla critica della cultura, Einaudi, Torino, 1972
2) Cfr. Roland Barthes, Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 1974
3) Cfr. Roland Barthes, Elementi di semiologia, Einaudi, Torino, 1966
4) Roland Barthes, L’avventura semiologica, Einaudi, Torino, 1991
5) Cfr. Jean Baudrillard, Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano, 1972
6) Jean Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno, Editore Mazzotta, Milano, 1974
7) Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Editori Laterza, Bari, 1967
8) Vedi note 3 e 4
9) Cfr in relazione al discorso proposto e alla designazione degli attanti, Algirdas J. Greimas, Del senso, Bompiani, Milano, 1974
10) Una tematica simile è affrontata narrativamente da J. G. Ballard nei sui lavori, e, segnatamente, da Crash, Rizzoli, Milano, 2000, che muove dal carattere sintetico della società postmoderna.
11) Una simile circostanza si attesta sociosemanticamente, ad. es., nel processo di risemantizzazione dei non-luoghi in aree (o vuoti) fruibili come identitari, nella cura del tempo libero come produzione convulsa di atti tipici.

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