“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 16 December 2020 00:00

I mondi plurali di Ricardo Jaimes Freyre

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La collana Gli eccentrici, diretta da Loris Tassi per Edizioni Arcoiris dedica il suo spazio a un altro scrittore decentrato del periodo del Modernismo ispanoamericano. Se la rivendicazione dell’artista “eccentrico”, del maudit, avviene proprio in quel periodo, attraverso, per fare solo un esempio, il volume Los raros (“gli strani” o, appunto, “gli eccentrici”) pubblicato da Rubén Darío nel 1896, il lavoro di Loris Tassi ci invita a riscoprire autori non canonici.

È il caso degli uruguaiani Eduardo Acevedo Díaz e Julio Herrera y Reissig e di Roberto J. Payró o, in precedenza, di Eduardo L. Holmberg (modernista a modo suo). Si tratta di un periodo storico in cui è presente un ampio ventaglio di nomi e possibilità tuttora da elaborare e da scoprire. Lo scrittore boliviano naturalizzato argentino Ricardo Jaimes Freyre è uno dei paesaggi da restituire alla lettura. Vissuto tra il 1868 e il 1933, Freyre ci lascia un’opera eterogenea e complessa, in cui al materiale ricorrente dell’immaginario modernista (l’Oriente, la bellezza e anche gli oggetti raffinati e fragili) si affianca lo sguardo sul territorio andino e sulle sue eterogeneità. Non a caso, il volume è accompagnato dalla eccellente postfazione di Federica Arnoldi, il cui titolo Da Bisanzio alle Ande riassume la narrativa plurale del boliviano.
Se i primi racconti ripercorrono gli ori, i fasti e la melancolia, lo spleen, dello scrittore modernista, affacciato al progresso e al benessere della classe esportatrice latinoamericana, i successivi, in particolare Sulle montagne e In un meraviglioso giorno d’estate, raccontano una certa visione della cultura indigena in America Latina. Non che la cultura fin-de-siècle ignorasse la questione, tuttavia gli esponenti del modernismo, a differenza di altri autori loro contemporanei (ci riferiamo ad Alcides Arguedas, per citare il caso della Bolivia), proiettavano raramente il loro sguardo letterario sulla tematica dell’inclusione dell’altro e raramente si interessavano alle problematiche riguardanti l’identità culturale latinoamericana. La particolarità di Freyre – con riverberi interessanti sulla sua scrittura – dipende forse dal luogo di provenienza, la Bolivia, e dalla centralità dell’elemento indigeno, in particolare intorno a tematiche relative al darwinismo sociale o all’eugenetica.
Per questo, sebbene nei primi racconti la scrittura richiami le forme praticate dal Modernismo sin dalla pubblicazione di Azzurro… (1888) di Rubén Darío, la capacità dell’autore è quella di modellare un linguaggio letterario in grado di includere i fasti di Bisanzio e di restituire una lunga storia di ingiustizie e di lotte reali. Per farlo, Freyre evita facili ribaltamenti dialettici (l’eroe diventa malvagio e viceversa), per cui la cultura indigena non viene rappresentata dal lato acritico della storia, nel perenne rischio di richiamare l’altrettanto razzista paradigma del “buon selvaggio”. La cultura indigena come cultura viva, si esprime nell’opera di Freyre attraverso la conoscenza del territorio, l’uso di un sapere arcaico a vantaggio di un’istanza di liberazione. Allo stesso tempo, nel racconto In un meraviglioso giorno d’estate, la tradizione è il luogo dell’ingiustizia e la magia il vettore della vendetta.
Alla fine di questa breve recensione, un nuovo plauso a Gli eccentrici, una collana in grado di presentare, nel giro di quattro pubblicazioni, il complesso ritratto di un periodo letterario molto articolato e troppo spesso ridotto alla mera formula (pseudo)emancipatoria di prima produzione originale del continente rispetto alle lettere europee.





Ricardo Jaimes Freyre
Racconti
traduzione Alessio Arena
postfazione Federica Arnoldi
Arcoiris, Salerno, 2020
pp. 78

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