“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 02 December 2020 00:00

“Elegia Americana”: un’empatia dal carattere universale

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Dal 28 novembre sulla piattaforma Netflix è disponibile il nuovo film di Ron Howard, Elegia americana (titolo originale: Hillbilly Elegy), che vede protagoniste due grandi attrici, Glenn Close e Amy Adams, nel film rispettivamente madre e figlia, probabili candidate ai prossimi Oscar.

La sceneggiatura firmata da Vanessa Taylor è un adattamento cinematografico dell’omonimo libro di memorie del 2016 di J.D. Vance, un giovane ragazzo originario del Kentucky, precisamente del cuore di quella regione rurale denominata Appalachia, che trascorre però la maggior parte della sua vita in Ohio prima di trasferirsi a Yale per studiare Legge. Il giovane J.D., nel film interpretato da Gabriel Basso, come in un romanzo di formazione, nella sua crescita incontrerà molti ostacoli, a causa di una madre tossicodipendente, le cui relazioni amorose lo costringono a cambiare continuamente casa. L’unico affetto stabile sembra essere quello della nonna, che seppur anziana e burbera a tratti, è il collante dell’intera famiglia nonché grillo parlante e scudo, per il giovane ragazzo, dagli attacchi di ira della madre.
La pellicola parte dall’estate del 1997, quando J.D. aveva tredici anni; con la sua famiglia trascorre gli ultimi giorni di vacanza nella zona rurale del Kentucky. Mentre corre in bicicletta, alcuni concittadini ascoltano alla radio la predica del pastore che ricorda l’importanza della fede per superare la delusione di quel “sogno americano” che aveva animato gli ultimi anni e trasformatosi presto in un incubo. Molti giovani infatti avevano lasciato le zone rurali per recarsi nelle città in cerca di fortuna, trovando invece solo miseria, disoccupazione ed emarginazione. La fede non è evidentemente bastata a colmare la frustrazione di questa generazione che, da un lato si rimbocca le maniche per migliorare la propria condizione, ma dall’altro molto spesso cade in vizi e abuso di droghe e alcol, commettendo sbagli che segnano per sempre le loro vite.“Hillbilly” significa appunto lo scemo del villaggio, pesante etichetta destinata a chi risiede in campagna o sulle montagne e vive nell’arretratezza, in contesti nei quali Donald Trump ha poi raccolto parecchi consensi e voti nel 2016.
Il film però accenna soltanto al contesto sociopolitico per focalizzare l’attenzione sul dramma familiare. Questa scelta non è stata ben accolta dai critici americani secondo i quali, a differenza dall’autobiografia di Vance, non riesce a rappresentare la rabbia della classe media americana, dei sobborghi e di tutta una parte della popolazione lasciata ai margini dalla politica contemporanea. Il film ha ottenuto solo il 27% di consensi positivi su Rotten Tomatoes, sito web che raccoglie numerose recensioni ed è metro principale dell’accoglienza critica negli Stati Uniti, inoltre gli stessi abitanti della regione degli Appalachi, non si sono sentiti giustamente rappresentati nel film e accusano il regista (Premio Oscar per A Beautiful Mind), di aver calcato solo luoghi comuni e pregiudizi legati ai cittadini di quei luoghi. A parer mio, la finalità di Ron Howard non è raccontare una fetta della società americana, poiché vista in questo modo sarebbe in effetti un racconto fin troppo superficiale, un grande scivolone per un regista del suo calibro. In realtà io mi sono convinta che la volontà di Howard sia “meno ambiziosa” e sia quella di raccontare una famiglia tipo, un gruppo ristretto di persone che subiscono una realtà contingente che li schiaccia e mortifica distruggendone i sogni e le ambizioni. Nonostante ciò c'è poi il riscatto finale; anche gli ultimi possono avere una chance, se scelgono di combattere. Non è un caso infatti che ciò che accade e le relative cause e conseguenze riguardano esclusivamente i tre personaggi principali che assumono così caratteristiche universali e generiche.
La trama si sviluppa attraverso una serie di flashback tra il 1997 ed il 2011. J.D., ormai laureato in Legge, deve affrontare un colloquio presso uno studio di avvocati prestigioso, ma proprio alla vigilia riceve una telefonata dalla sorella, che gli chiede di raggiungerla in ospedale poiché la madre è in condizioni gravi a causa di un’overdose di eroina. Il ragazzo è costretto a ritornare a casa e nel viaggio rivive tutti i momenti dolorosi ma anche i bei ricordi condivisi con la madre e i suoi nonni. J.D. non dimentica mai le sue origini e si trova a difenderle anche durante una cena in cui gli interlocutori lo definiscono redneck (zotico), e a dover difendere anche sua madre. La giovane donna era infatti molto dotata, ma per la sua fragilità psicologica, dovuta a un’infanzia fatta di povertà e violenza, si era arresa alle difficoltà, cadendo in un vortice di depressione, schizofrenia e di abuso di droghe e psicofarmaci, alternando una condotta da madre affettuosa a quella di madre violenta ed egoista. Tutto il passato riaffiora e bruciano le cicatrici ancora vive nei ricordi di J.D., il quale deve scegliere tra la sua famiglia con i suoi drammi e la sua carriera. La famiglia, nonostante gli errori, le sue imperfezioni, resta l’unico valore saldo che unisce le vite dei personaggi ed è l’unica ancora di salvezza, la stessa ancora che darà a J.D. la spinta per affermarsi. La critica non è stata generosa nemmeno nei confronti della sceneggiatura, riconoscendo meriti solo alle interpretazioni magistrali delle attrici principali che invece di recente hanno difeso il lavoro di Howard: “L’universalità dei temi del film trascende la politica” ha affermato infatti Amy Adams, mentre Glenn Close ha aggiunto che “il film non è stato realizzato con un intento politico. Alla base c’è lo sguardo di Ron, e credo che lui sia riuscito a raccontare meravigliosamente la storia di questa famiglia specifica”.
La potenza del film va ricercata proprio nel carattere universale del suo racconto e dei suoi personaggi. Lo spettatore infatti, seppur vivendo in contesti diversi, è comunque un individuo che ha vissuto i propri drammi più o meno gravi, e per questo si riconosce nelle fragilità dei personaggi che sono fallibili eppure ci giungono simpatici, proviamo compassione per loro; anche se sono la causa dei loro stessi mali, suscitano in noi empatia. In un’epoca che ci vuole vittoriosi e forti, in cui corriamo per affermarci, per fare la scelta giusta, in cui sopravviviamo ai nostri sensi di colpa, scoprire che nonostante gli sbagli possiamo sperare in un riscatto e in un lieto fine è il messaggio di speranza che stavamo aspettando, soprattutto in un momento storico tanto privo di certezze.
È dunque facile comprendere perché nonostante la critica sia tra i dieci film più visti e amati su Netflix. Elegia americana è infatti elogio degli ultimi, di coloro che sono destinati a fallire e che trovano riscatto, degli antieroi, dei dimenticati, è film che può anche non piacere ma certamente non può lasciare indifferenti, vedere per credere.





Elegia americana
regia Ron Howard
soggetto J.D. Vance
sceneggiatura Vanessa Taylor
con Amy Adams, Glenn Close, Gabriel Basso, Haley Bennett, Freida Pinto, Sunny Mabrey, Bo Hopkins, William Mark McCullough, Jesse. C. Boyd, David Silverman II, Owen Asztalos
fotografia Maryse Alberti
montaggio James D. Wilcox
musiche Hans Zimmer, Dave Fleming
produttori Brian Grazer, Ron Howard, Diana Pokorny, Julie Oh, J.D. Vance, Karen Lunder
casa di produzione Imagine Entertainment
distribuzione Netflix
paese USA
lingua originale inglese
colore a colori
anno 2020
durata 117 min.

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