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Monday, 07 September 2020 00:00

La commedia operaia di Alberto Prunetti

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“Gente strana i quattrinai. A quei tempi i riccastri io li compativo. Renato mi diceva che i ricchi erano delle mezzeseghe, c’avevano l’allergia alla fatica, stavano sempre a palle pari eppure erano sempre stanchi, perennemente infastiditi da cose che a noi ci facevano vento. E poi c’avevano le mani come uno scolapasta e ’un sapevano fa’ nulla. [...] coi miei occhi di bimbo vedevo che anche i figlioli dei ricchi erano davvero strani.

Poverelli, che pena, non gli permettevano di uscire per strada a giocare a pallone con noi. I genitori li spaventavano: dicevano che eravamo maleducati, che dicevamo le parolacce, che eravamo prepotenti, che picchiavamo. E così da piccini le strade erano nostre.
Dei figlioli dei ricchi nemmeno il puzzo. [...] Ricordi lontani, di quando eravamo tutto. Poi gli anni son passati e d’un tratto il mondo ha cominciato a girare alla rovescia: i figlioli dei quattrinai andavano in moto mentre noi s’era ancora con la bicicletta. Se li strapazzavi, minacciavano denunce. Te c’avevi il maglio di ferro, loro lo zio avvocato. D’estate te andavi a lavoro e loro in barca. [...] A metà anni Ottanta i ricchi s’erano comprati ogni cosa: il paese, il futuro e anche il calcio. Era diventata roba loro, mica nostra. E all’improvviso nessuno giocava più a pallone per strada. Spuntavano ovunque campi chiusi per il calcio a cinque con l’erba sintetica, sicuri, perché non c’eravamo noi, e noleggiabili a pagamento”.
In questo breve stralcio tratto dal nuovo romanzo di Alberto Prunetti, Nel girone dei bestemmiatori. Una commedia operaia (Editori Laterza, 2020), è possibile cogliere uno degli aspetti che attraversano l’intera trilogia che l’autore ha dedicato alla memoria del padre Renato – operaio deceduto dopo aver respirato “zinco, piombo e buona parte della tavola degli elementi di Mendeleev, fino a quando una fibra d’amianto trova la strada verso il torace” – e di tutti coloro che hanno vissuto a testa alta un’epoca in cui le cose si chiamavano ancora con il loro nome e l’esser parte della classe operaia era un vanto sbattuto “sul muso dei quattrinai”, prima che questi ultimi si prendessero tutto, pure il linguaggio e con esso l’immaginario operaio. “Quando ti portano via il nome e il diritto a esiste, ’un s’accontentano di vince’. Ti vogliono anche umilià... si son mangiati i salari, c’hanno portato via la fatica, il tempo e a volte anche la vita. Oh, ’un gli bastava, c’era rimasto il nome. Noi s’era i lavoratori, l’operai, e loro i padroni. Macché, nemmeno più questo. Siamo tutti ceto medio, dicono loro”.
La “trilogia working class di Prunetti ha preso il via con Amianto. Una storia operaia (Agenzia X, 2012 – Alegre, 2014), opera in cui l’autore ricostruisce la storia lavorativa del padre, il suo orgoglio operaio, la lotta in tribunale affinché fosse riconosciuta nell’amianto la causa della sua morte prematura, e la propria infanzia passata a tirar calci al pallone in strada davanti all’Ilva, a far risse sull’Aurelia fino a quando quel duro ma solidale mondo di acciaio ha lasciato il posto alla solitaria precarietà dei lavori cognitivi.
Nel secondo romanzo, 108 metri. The Working Class Hero (Editori Laterza, 2018), Prunetti racconta della sua temporanea immersione nell’infernale mondo del lavoro inglese deregolamentato dal thatcherismo confrontando la deregulation e lo smembramento sociale incontrati da quelle parti con l’esperienza della propria infanzia vissuta in un’epoca dura, certo, ma in cui, almeno, la società era retta da rapporti umani e da regole non scritte solidali e conflittuali incarnate dalla figura del babbo. Al ritorno dalla trasferta nella terra di Albione, il nostro  trova il padre ormai malto, avviato alla fine dei suoi giorni insieme a un mondo spazzato via dal neoliberismo che ormai ha conquistato anche la terra natia.
Nell’ultima prova editoriale ancora una volta Prunetti si preoccupa di dar voce a chi non l’ha più e ci porta direttamente all’inferno, ove il padre si trova, come nella vita terrena, a fare il manutentore, costretto a confrontarsi anche con un sommo poeta un po’ suonato e, soprattutto, un po’ troppo adulante il Costruttore per i suoi gusti. Visto che tutto vien lasciato andare alla malora, Renato, non potendo stare con le mani in mano e seduto “a palle pari”, si propone per fare un po’ di manutenzione chiedendo in cambio “una bicicletta, vino, sigarette e pastasciutta in abbondanza”, l’apertura di un bar sport infernale in cui vedere le partite di coppa, la possibilità di ascoltare le radiocronache del calcio dilettanti pisano e livornese con tanto di spuma, lupini e diritto a bestemmiare ma anche sindacalizzazione e niente cottimo. Armato del suo cacciavite si mette poi in testa di ridisegnare qualche sezione dell’inferno “senza perde’ tempo a ragionà con capi e capetti”. Ed ecco allora che al girone dei bestemmiatori aggiunge quello dei “brodi”, “gente che in vita sua ’un ha mai battuto un chiodo”, poi uno spazio dedicato a quelli che “mai si son messi una tuta blu addosso”, poi “ci so’ i pisani, che son d’una genia tutta loro” e così via.
Renato ha però un piano che svelerà ad Alberto un poco per volta, un piano segreto a cui sta lavorando insieme a Steve McQueen, “un altro compagno che s’è beccato il mesotelioma pleurico” esperto in evasioni.
Con spassosa ironia toscana, capace di preservare la narrazione dal rischio della retorica e della nostalgia, l’autore racconta storie di vita di Renato e della sua gente, storie che non possono essere sepolte sotto una coltre di silenzio e lo fa tra i suoni dell’armonica di C’era una volta il West di Sergio Leone, in un alternarsi di primissimi piani sui volti dei protagonisti, panoramiche su impianti industriali, scintille di saldature, filettature sigillate con la canapa, giunture realizzate a regola d’arte, pranzi domenicali smodati, tigri di Mompracem, radioline all’orecchio, calci, sputi e colpi di testa sui campetti di calcio di periferia, imprecazioni a raffica, preti gobbi dispensatori di figurine bianconere ai parrocchiani, vecchie automobili indistruttibili, prima che l’elettronica le togliesse dalle mani di chi con pochi attrezzi era in grado di smontare e rimontare il mondo, e sostanze velenose nell’aria respirate a pieni polmoni.
Con questa trilogia di romanzi l’autore si propone non solo di preservare queste storie ma anche di tramandarle alla generazione dei nipotini di Renato che ormai possono incontrarlo, insieme al suo mondo e alla sua gente, soltanto attraverso i racconti di chi ne serba ancora il ricordo. Alberto Prunetti si fa dunque cantore di quell’orgoglio operaio dato in pasto ai veleni da un sistema di produzione che, dopo aver sfruttato la generazione del dopoguerra concedendole le briciole del miracolo economico, dopo averla distrutta fisicamente, dopo averne minato la comunità, ora vorrebbe anche condannarla all’oblio.
Il lettore è avvertito: la classe operaia non va in paradiso, ma non è detto che accetti di restare per sempre all’inferno. Giù la testa! Il finale potrebbe essere col botto.





Alberto Prunetti

Nel girone dei bestemmiatori. Una commedia operaia
Editori Laterza, Bari-Roma, 2020
pp. 120

108 metri. The Working Class Hero
Editori Laterza, Bari-Roma, 2018
pp. 133

Amianto. Una storia operaia
(prima ed. Agenzia X, Milano, 2012) Edizioni Alegre, Roma, 2014
pp. 192

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